British singer Amy Winehouse performs at
British singer Amy Winehouse performs at the Glastonbury Festival at Worthy Farm, in Glastonbury on June 28, 2008. AFP PHOTO/BEN STANSALL (Photo credit should read BEN STANSALL/AFP/Getty Images)

La storia triste di una grandissima cantante: Amy Winehouse

Esce oggi un commovente documentario sulla vita di Amy Winehouse. Per scoprire la ragazza che è stata dietro al successo, ai paparazzi e l'autodistruzione. E le bellissime canzoni

Il giorno in cui è morta Amy Winehouse, 4 anni fa, ho pensato che fosse un peccato perché aveva fatto solo due album (Frank e Back to Black, Lioness: hidden treasure è uscito postumo), uno più bello dell’altro, e avrei voluto averne ancora e conoscerla un po’ di più.

Ieri, il 14 settembre, avrebbe compiuto 32 anni. E oggi, nelle sale esce il documentario Amy, the girl behind the name di Asif Kapadia che, per la prima volta, mostra la ragazza che è stata, dietro ai successi, agli scandali, ai paparazzi, all’autodistruzione, ai tatuaggi e il look da pin up punk.

Una ragazza che scriveva poesie d’amore e le metteva in musica. Che aveva la voce di una grande cantante jazz e il destino maledetto di chi non riesce a vivere.

Malata di bulimia, dipendente dall’alcol e dalle droghe. Con la necessità di essere amata, prima dal padre poi da Blake Fielder, così forte da annullarsi.

Il film è bellissimo. Non solo perché ci fa vedere gli ultimi anni, quelli più conosciuti. Ma apre una finestra anche sulla Amy quasi bambina: 16enne con una passione per il jazz più grande di lei. Sorridente, intelligente, sveglia.

Ci sono le amiche, i ricordi dei tour in macchina da una città all’altra, il suo primo manager a cui è stata legatissima (un ragazzo inglese dalla faccia pulita). C’è la normalità, non solo la diva.

Ma c’è anche tanta sofferenza.

C’è Blake, un ragazzo senza doti particolari ma con un’infanzia difficile e un bagaglio enorme sulle spalle, Amy lo sentiva vicino, lo ha amato tantissimo. Per questo l’ha sposato. Per questo l’ha seguito nel suo percorso di autodistruzione.

Le canzoni che conosciamo sono per lo più rivolte a lui, al loro rapporto controverso, come in Back to black, Love is a losing game o I heard love is blind. Scriveva come per catarsi, per stare meglio, per buttare fuori quello che le bruciava dentro.

Ma scriveva anche testi molto divertenti e insolenti come Rehab, il brano che celebra il rifiuto della riabilitazione, nato dopo una delle sue prime crisi.

Se amate questa cantante come me andate a vedere Amy, the girl behind the name (rimane in sala solo per tre giorni). Ma anche se non l’amate o la conoscete poco vi piacerà: è un film talmente forte e commovente che vi lascerà qualcosa dentro.

 

 

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