Fino al 2 giugno 2018 il Museo delle Culture (Mudec) di Milano celebra l’artista messicana con più di 100 opere tra dipinti, disegni e fotografie inediti in Italia. La mostra si intitola "Frida Kahlo. Oltre il mito"

Perché siamo tutte fan di Frida Kahlo

Nei suoi quadri ritraeva i drammi fisici e le tragedie sentimentali. La pittrice messicana, però, è stata più di un’artista: è diventata una bandiera, un’icona, un volto da esibire sulle T-shirt. Un simbolo di forza e di volontà. Che ancora oggi il mondo celebra. Tra musei, sfilate e canzoni

La pittrice messicana. La ragazza con la colonna vertebrale frantumata, il busto chiuso sul torace come una gabbia. La donna di Diego Rivera. L’amante di Lev Trotskij e di André Breton, ma forse anche di Tina Modotti. La femminista. La comunista irriducibile, la rivoluzionaria. La donna con i baffi. Anche se abbiamo informazioni spezzettate, sempre un po’ vaghe, alla fine tutti conosciamo Frida Kahlo. Come accade per i capolavori, per i miti, non abbiamo bisogno di sapere ogni cosa perché la loro sostanza ci scorre già nelle vene. Ma di Frida cosa scorre esattamente? Al di là della Frida mania, delle retrospettive, delle magliette, dei murales, cosa fa di lei un modello?

Trasforma il suo dolore in bellezza

Il caldo soffocante di settembre, una giornata come tante in Messico. È il 1925 e Frida esce da scuola, mano nella mano con Alejandro, il primo innamorato. Ma ecco l’autobus. Salgono in fretta e Frida sorride radiosa: non sa che la sua vita tra pochi minuti cambierà per sempre. L’autista si volta per rispondere a una donna. Attento, il tram! Troppo tardi, nessuna frenata: l’autobus si schianta contro il muro. 15 fratture, forse di più. 32 operazioni chirurgiche. Per mesi, il letto diventa la casa di Frida Kahlo. La mamma amorevole le appende uno specchio sul soffitto del suo letto a baldacchino: per vedersi, per sentirsi meno sola. Eccoti là, sei sempre tu, esisti ancora: dipingersi diventa un modo per sopravvivere. Ma Frida non ritrae solo se stessa. Con la sua arte trasforma il dolore in bellezza. Ritrae senza vergogna la sofferenza di una donna. In seguito per lei non c’è solo il dolore fisico, concluso con l’amputazione della gamba destra, ma anche quello per un matrimonio (con il pittore Diego Rivera) costellato d’infedeltà; e poi quello per l’impossibilità di avere dei figli.



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“Autoritratto come Tehuana” – 1943


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Autoritratto


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Frida Kahlo e Diego Rivera


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Il merchandising con l’immagine di Frida esposto al Mudec


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Beyoncé vestita da Frida


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Una sfilata di Dolce & Gabbana


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Una sfilata di Rodarte


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Una sfilata di Etro

Sfida il maschilismo con il colore

Frida è diventata un’icona perché è uno specchio. «L’attrazione che noi donne proviamo per lei» dice la critica d’arte Pia Capelli «va oltre i suoi meriti di pittrice. Io credo abbia a che fare con la lucidità e la potenza del suo racconto di sé: lei si guarda e si rappresenta con un’immediatezza – una crudeltà a volte – che ci appartengono, per l’abitudine che abbiamo di metterci continuamente in discussione». Basta andare al Mudec, il Museo delle culture di Milano (che ospita fino a giugno una mostra a lei dedicata) per capirlo: davanti a un suo quadro vediamo, anzi sentiamo, questo. Frida siamo noi. Frida ci insegna qualcosa in più del dolore. “L’amore non è che una sfida/Come per Frida, come per Frida”. Così cantano i The Kolors nell’ultima canzone presentata a Sanremo. Tutto è sfida per Frida Kahlo. Le tinte tenui non esistono. Né nella vita né sulla tela. E questo si trasforma in stile, va oltre la sofferenza. Già: perché lei solcava il mondo, ne scompaginava la superficie con la forza dei colori. Con i colori dei suoi abiti, innanzitutto. Indossava quasi sempre la tehuana, il costume matriarcale della zona di Tehuantepec, in Messico. Un legame con la cultura indigena, ma anche una sfida alla società capitalista e al maschilismo. Il colore contro il mondo, sempre. «Un contrasto potente, tale da renderla icona di uno stile che non conosce uguali nella storia dell’arte» scrive Massimiliano Capella, autore del saggio Iconic Frida (appena pubblicato per Centauria). Ecco la sua corazza: gonnelloni, ricami, fiori e farfalle tra i capelli, trecce, gioielli precolombiani, 2 gocce di Shalimar. «Tutti i dettagli con cui ha costruito il suo mito» dice Pia Capelli «rappresentano la forza di una sopravvissuta, viva nella sua sofferenza e orgogliosa nella sua unicità».

Esprime la libertà di essere se stessa

Cammina vestita così anche al Central Park di New York, Frida. È il 1932, e l’America s’innamora subito di lei. S’innamora di lei Clare Boothe Luce, direttrice di Vanity Fair. S’innamora di lei Vogue America. Dal 1937, quando compare su Vogue con altre compatriote, il mondo non ha mai smesso di celebrarla, la moda di citarla. «Attraverso lo stile indigeno Frida esprime la libertà di essere se stessa» dice Massimiliano Capella. «Era una donna che viveva senza maschere». E questa è una libertà che le donne hanno sempre in testa, oggi più che mai. Silvia Bacci, esperta di comunicazione culturale, appena può si veste insieme a un gruppo di amiche come la pittrice messicana, e dice: «Di Frida amo la violenza della sua bellezza. Le sopracciglia, la peluria dei baffetti si contrappongono ai tradizionali canoni estetici. Quello che si avverte in modo dirompente è la sensualità della sua forza, del genio creativo, della voglia di vivere nonostante tutto». Nessuna tinta tenue. La forza e la volontà come le cose più sexy che ci siano. «A Frida non invidiamo certo gli incidenti, la vita breve, gli amori sofferti» dice Pia Capelli «ma forse quella capacità di guardare “in camera” senza mai abbassare lo sguardo». Nel 1938, il catalogo che accompagnava la sua prima personale a New York definiva la personalità della pittrice “un nastro intorno a una bomba”. 80 anni dopo è ancora così: Frida Kahlo continua a parlarci. Anzi a esplodere, nel nostro cuore.

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