Ritorno al lavoro dopo un figlio: c’è una novità

Al via una sperimentazione di un anno per agevolare il ritorno al lavoro delle donne dopo la maternità. Alle imprese è concessa una decontribuzione al 50%. Ma servirà davvero ad aiutare le donne?

È uno dei problemi principali per le donne lavoratrici: ritornare in ufficio o in azienda dopo la nascita di figlio. Da un lato le difficoltà nella gestione degli impegni familiari e di quelli lavorativi, dall’altra le aziende, che spesso vedono il rischio di una “minore produttività” da parte di una donna dopo la maternità. Per questo nella legge di Bilancio è previsto un incentivo proprio alle imprese, sotto forma di decontribuzione al 50% per le lavoratrici madri. Ma funzionerà davvero? Ecco cosa ne pensano due esperti a confronto.

Lavoro: in un anno si sono dimesse 37mila neomamme

VEDI ANCHE

Lavoro: in un anno si sono dimesse 37mila neomamme

Lo “sconto” per le aziende

L’incentivo è rivolto alle aziende, che avrebbero il 50% “di sconto” sui contributi previdenziali da versare per la propria dipendente, per un anno. La norma, come anticipato da Il Messaggero, è sperimentale e dunque varrebbe solo per il 2022. «In effetti l’attuale bozza di manovra 2022 all’art. 35 ci parla di una decontribuzione sperimentale per il solo 2022. Dunque sembra sia di durata solo annuale e che però il legislatore ponga le basi, in caso di successo e sopravvenienza dei fondi necessari, per confermarla anche dopo il 2022» spiega Antonello Orlando, consulente del lavoro ed esperto della fondazione studi Consulenti del Lavoro.

A un anno dalla nascita cade la protezione contro il licenziamento

Insomma, se i risultati fossero positivi, si deciderà l’eventuale proroga della misura. Ma non è troppo poco un anno? Le aziende sarebbero comunque incentivate? «Sicuramente per i datori di lavoro in Italia è un incentivo a proseguire il rapporto dato che, come noto, una volta trascorso un anno di vita del bambino, cade il divieto di licenziamento. La decontribuzione incentiva a fidelizzare, mantenere e dare ulteriori input alla lavoratrice madre: eventuali premi/bonus dati nell’anno dell’esonero al 50% non hanno una soglia massima di risparmio – spiega l’esperto – A differenza di molti incentivi, che possono prevedere ad esempio un tetto massimo di 3.000 euro, non c’è una cifra limite, ma solo la percentuale di riduzione. Questo per i dirigenti è un progresso non indifferente perché consente un risparmio importante».

Servirà a far tornare al lavoro da mamme?

Sulla reale efficacia del provvedimento per le donne, invece, resta qualche dubbio da parte di chi si occupa di madri e fiscalità, come Carolina Casolo, fondatrice di Sportello Mamme: «Non credo assolutamente che sia una leva utile per il rientro delle donne nel mondo del lavoro. Come spesso succede, si sposta sul privato l’assenza di un welfare statale utile. Il problema per cui le donne dopo la maternità rimangono tagliate fuori dal mondo del lavoro non dipende certo dal costo della lavoratrice per l’azienda. Semmai dipende dalla mancanza di una strutturalità e di misure adeguate che possano aiutare la neo mamma lavoratrice a conciliare lavoro e famiglia. E poi, se confermata, sarebbe una misura sperimentale di un anno, ma dopo? Le aziende che decidessero di sfruttare questa agevolazione ed investire magari in misure utili alle madri lavoratrici, come ad esempio un nido aziendale, poi come dovrebbero comportarsi? Assumendosi dal secondo anno un aumento contributivo e anche il costo strutturale? Non ha senso. Non si tratta, secondo me, di una misura efficace».

Basta conciliare lavoro e famiglia: occorre condividere

VEDI ANCHE

Basta conciliare lavoro e famiglia: occorre condividere

Le lavoratrici autonome sono escluse

Esiste un altro limite alla norma: è prevista solo per le madri lavoratrici dipendenti: «Non comprendo perché escludere da potenziali misure le lavoratrici autonome, martoriate dal punto di vista previdenziale. La categoria più in crisi in assoluto tra le neo mamme lavoratrici non è incentivata in alcun modo. Mai. È vergognoso se si pensa che dal 2021 la previdenza per questo target è addirittura aumentata – sottolinea Casolo – È chiaro che chi crea questi strumenti non ha alcuna contezza di quanto succede realmente. Ricordiamo sempre che, se va bene, una libera professionista riceve l’erogazione dell’indennizzo quando il minore ha compiuto circa 1 anno, oltretutto dovendo pagare un consulente che la assista nella presentazione della domanda e nella liquidazione, dato il farraginoso sistema studiato da INPS».

Per le lavoratrici autonome, dunque, è previsto solo l’articolo 69 che, come spiega Orlando, «riguarda le iscritte a qualsiasi gestione, anche alla gestione separata. Prevede una proroga di durata della indennità di maternità di 3 mesi – spiega il consulente del lavoro – a patto che abbiano un reddito basso. In particolare il riferimento è a un reddito inferiore a 8.145 euro rivalutato. Dunque sono due provvedimenti ‘corali’, anche se con finalità differenti».

La riduzione non ha ripercussioni sulla pensione

Quanto alla pensione, invece, non cambierebbe nulla perché l’assegno non subirebbe variazioni. Questo è un aspetto molto importante, nel momento in cui si sta discutendo di una riforma pensionistica: «Infatti, non ci saranno ripercussioni sulla futura pensione perché la norma specificherà le modalità, ma in ogni caso i contributi saranno accreditati in misura piena e non ridotta» conferma Orlando.

Riproduzione riservata