L’alternanza scuola-lavoro funziona davvero?

  • 26 06 2017

I più bravi, e fortunati, hanno trovato un lavoro o fondato una start up. Ad altri è andata molto peggio, costretti a fare volantinaggio o a lavare i bagni di un ufficio. Benvenuti nel girone, qualche volta infernale, dell’alternanza scuola-lavoro. È il programma, obbligatorio dal 2015, per cui gli studenti dell’ultimo triennio delle superiori svolgono periodi “sul campo” con l’obiettivo di iniziare a conoscere il mondo del lavoro. Nel 2015-2016 ha coinvolto 652.000 ragazzi e nel prossimo anno scolastico, secondo le stime del governo, interesserà circa 1 milione e mezzo di giovani.

Pro e contro dell’alternanza scuola-lavoro

«Come primo impatto, gli studenti sono contenti dell’iniziativa. E sanno che l’alternanza serve per imparare, non è un canale che in automatico porta a trovare un’occupazione» dice Maddalena Gissi, segretario nazionale della Cisl scuola. Il punto è che al programma partecipano 5.000 istituti in tutta Italia. E l’alternanza obbligatoria si trasforma in un calderone micidiale. I giovani frequentano multinazionali o piccole attività artigianali. Sono coinvolti in attività di ristorazione e volontariato, c’è chi offre assistenza fiscale ai Caf dei sindacati, chi consiglia libri nelle biblioteche pubbliche o fa da guida turistica, o ancora passa giornate accanto agli uomini della Guardia di finanza e della Capitaneria di porto.

«Abbiamo svolto mansioni chiare in posti ben organizzati»

Alcuni ritengono la propria esperienza positiva. Gli studenti dell’Iti Malignani di Udine, per esempio, sono appena stati premiati nell’ambito della competizione Biz Factory per aver creato la start up MaCo Innovation JA, che produrrà un burro cacao usa e getta. Mentre per il premio “Amministrazione, Cittadini, Imprese”, promosso dal Miur e dall’associazione Italiadecide, hanno ricevuto un riconoscimento l’Istituto comprensivo statale di Alassio (Sv), il liceo classico Quinto Orazio Flacco di Portici (Na) e l’istituto tecnico Giulio Natta di Bergamo.

E sono ben organizzati e supervisionati dal ministero dell’Istruzione i progetti dei Campioni dell’alternanza (istruzione.it/ al ternanza/campioni.shtml): 16 soggetti, per lo più grandi società, si sono impegnati a coinvolgere in 3 anni un numero di studenti pari al 2% della loro forza lavoro totale. Per alcuni ragazzi l’esperienza in azienda è già diventata un lavoro. Simone Natalini dalla maturità all’Itis Armellini di Roma è passato direttamente a un contratto di apprendistato al gruppo Almaviva, dove si occupa di servizi cloud per le imprese. «In azienda ho trascorso 2 periodi di scuola-lavoro durante i quali abbiamo creato una app che migliorerà il sito della scuola» racconta. «Perché ha funzionato? Il progetto era chiaro, legato ai miei studi e con il giusto mix fra teoria e pratica».

«Abbiamo fatto esperienze sul campo non coerenti con i nostri studi»

Per molti il bilancio non è soddisfacente. «Quando è scattato l’obbligo, le scuole erano impreparate. E ancora oggi molti progetti poggiano solo sulla buona volontà di insegnanti che si mettono al telefono per chiamare imprenditori e associazioni del territorio, stringendo gli accordi uno a uno» aggiunge Maddalena Gissi della Cisl scuola. I problemi sono tanti. Se c’è carenza di imprese, dove mandi i ragazzi? In Sardegna, Molise o Campania, gli studenti arrivano a spendere 2-300 euro di trasporti per raggiungere luoghi a 60 chilometri da casa. E poi, che cosa faranno i giovani una volta “ingaggiati”? Massimo, alunno di un liceo milanese che preferisce non citare la propria scuola, è stato inviato in una piscina comunale: «Altro che tutor. Passavo i giorni a fare assolutamente niente» spiega. E Nadia, che frequenta il quarto anno di un istituto alberghiero di Bari con indirizzo ristorazione, racconta: «La prima esperienza, in un ristorante, era stata tutto sommato positiva» dice. «La seconda volta, quando sono arrivata agli stand di una fiera, ho scoperto il mio compito: distribuire volantini per 10 ore. Questa sarebbe formazione?».

«Abbiamo dovuto sobbarcarci spese extra»

I costi sono una nota dolente. L’Unione degli studenti ha condotto un’indagine tra 15.000 ragazzi di 9 regioni, ottenendo numeri poco incoraggianti: il 57% ha giudicato l’esperienza non coerente con gli studi e il 37% si è sobbarcato spese extra. «Da 2 anni chiediamo al ministero di adottare uno statuto dove specificare tutele relative a tempistica, copertura dei costi e diritto dei ragazzi a essere informati sulle mansioni da svolgere» dice Francesca Picci, coordinatrice nazionale dell’Unione degli studenti. «E vorremmo essere coinvolti nella scelta dei percorsi, non solo attenerci a quelli decisi dalla scuola come avviene oggi». Che non tutto fili liscio il governo lo sa, ed è corso ai ripari dando più risorse: si è appena chiuso un bando ministeriale pronto a finanziare centinaia di progetti, sfruttando 140 milioni di fondi europei. E l’Anpal, l’agenzia governativa per il lavoro, emanerà un bando per assumere 1.000 tutor da inviare nelle scuole per affiancare gli insegnanti nella gestione dell’alternanza. Ma tempi e criteri della selezione non si conoscono ancora.

È diversa dallo stage e dall’apprendistato

L’alternanza scuola-lavoro esiste dal 2003, ma è diventata obbligatoria con la legge 107 del 2015, la cosiddetta Buona scuola. Gli studenti dell’ultimo triennio delle superiori devono partecipare a periodi di inserimento in aziende, associazioni sportive e di volontariato, enti culturali e ordini professionali, che uniscano formazione teorica e attività pratica. Il totale delle ore previste è 400 per gli istituti tecnici e 200 per i licei, anche fuori dall’orario scolastico e persino durante le vacanze. L’alternanza scuola-lavoro non va confusa con un generico tirocinio perché, come specifica il sito del ministero dell’Istruzione, è obbligatoria e strutturata su 3 anni. Ed è anche diversa dall’apprendistato, perché ha una finalità formativa e non è un contratto di lavoro. Lo studente può usare badge aziendali, ha diritto alla copertura Inail, però non può essere impiegato in orari notturni e per lui non è prevista una retribuzione. In linea di principio, i costi per partecipare a questi progetti non dovrebbero gravare sulle famiglie. Secondo il Miur, lo studente può godere di rimborsi per i trasporti o di buoni pasto, ma solo se l’ente ospitante li offre o se lo stanziamento erogato dallo Stato per ogni progetto è sufficiente a coprirli. Un caso che, almeno finora, si è verificato di rado.

Dove trovare le imprese

Sul sito scuolalavoro.registro imprese.it c’è l’elenco delle aziende, divise per provincia, pronte a ospitare progetti di alternanza scuola-lavoro.

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