Quanti preconcetti sugli istituti tecnici

Sono tanti i genitori italiani che ritengono il liceo l’unica scelta valida per i figli. Eppure i dati dicono che per un posto in campo pubblicitario o in un’azienda sarebbe meglio scegliere un percorso diverso ma dal futuro assicurato

In Italia il 68% dei diplomati negli istituti tecnici trova lavoro entro tre anni (dati Ocse). E la percentuale sale all’83% per chi si iscrive a un Istituto tecnico superiore (la nuova “università” delle professioni tecnologiche). Le aziende chiedono figure sempre più specializzate e nel 2018 le iscrizioni ai tecnici hanno segnato un +0,4%. «Questa formazione non è più ritenuta di serie B, anzi» spiega Luca Monti, presidente di Meet, associazione per l’innovazione dei sistemi e degli strumenti di orientamento. «Le famiglie hanno cominciato a cambiare atteggiamento: nei casi di incertezza tra tecnico e liceo preferiscono il primo con un diploma che fornisca un titolo spendibile nell’immediato piuttosto che anni di studio e spese universitarie». Qui, allora, sfatiamo i luoghi comuni legati a questo percorso di formazione.

Gli istituti tecnici sono destinati agli studenti meno brillanti

Chi è bravo a scuola va al liceo: ecco un luogo comune molto diffuso. «È dovuto in gran parte al fatto che nelle scuole medie non ci sono servizi di orientamento adeguati: la guida sulla prosecuzione degli studi spesso è affidata solo alla buona volontà degli insegnanti di italiano» spiega Luca Monti. «In realtà, la distinzione da fare non è tra chi è più bravo e chi meno ma tra chi preferisce trascorrere ancora anni sui libri di scuola e chi ha già le idee chiare sul proprio lavoro futuro e desidera sviluppare competenze pratiche. I ragazzi che si vedono come grafici pubblicitari, responsabili di laboratorio, collaudatori, direttori commerciali o guide turistiche faranno bene a scegliere un istituto tecnico dove esprimere le loro potenzialità».

Danno un bagaglio culturale minore

Per fare in modo che i ragazzi incerti possano passare da una scuola all’altra senza problemi, per esempio da un tecnico a un liceo e viceversa, le riforme hanno cambiato la didattica del biennio di tutti gli istituti: oggi è basata su competenze generali e trasversali (tra queste l’italiano e le lingue straniere che negli istituti tecnici sono più curate). La formazione raggiunge il massimo se dopo ci si iscrive agli Istituti tecnici superiori: sono biennali, alternativi all’università e dedicati all’alta tecnologia. «Sono nati per colmare il gap tra le competenze che chiedono le aziende e quelle che possiedono i diplomati» spiega Giovanni Biondi, presidente di Indire, l’Istituto nazionale per l’innovazione nella scuola. «Chi esce da un tecnico oggi non ha davanti solo il lavoro o l’università ma la possibilità di arricchire il suo bagaglio culturale con competenze di alto livello richieste dalle industrie 4.0». Per potenziare questo canale di formazione il governo ha stanziato 400 milioni di euro che serviranno agli Its e porteranno gli iscritti dai 10.972 attuali a 100.000 entro il 2020.

Non preparano bene all’università

La metà dei diplomati agli istituti tecnici, in realtà, poi si iscrive all’università e costituisce lo zoccolo duro delle matricole alle facoltà tecniche (come Ingegneria) che oggi garantiscono lavoro. «Non è così automatico che all’università gli ex liceali siano più bravi dei diplomati tecnici» chiarisce Monti. «Anzi. Proprio grazie alla ristrutturazione dei bienni, anche nella didattica dei tecnici si è rafforzato il concetto di “imparare a imparare”, tipico dei licei e fondamentale per gli studi universitari».

Avviano a lavori poco prestigiosi

«Il prestigio di un lavoro è una questione di percezione: basti pensare al mestiere di chef, oggi risorto sulla scia delle trasmissioni tv dedicate alla cucina. Così le iscrizioni alle scuole professionali alberghiere sono decollate» fa notare Giovanni Biondi. «Vale anche per gli altri istituti: con l’avvento dell’industria 4.0 la figura del tecnico con la tuta blu e le mani sporche è ormai un ricordo. Oggi questo professionista ha le competenze che servono a fare funzionare le macchine attraverso i computer. E man mano che la tecnologia pervade i settori produttivi il lavoro si nobilita».

Non sono adatti alle ragazze

L’evoluzione tecnologica tende a rendere marginale la fatica fisica, aprendo la porta alle donne. «Nei lavori tecnici oggi sono richieste doti che spesso sono più sviluppate proprio nelle ragazze, come le capacità organizzative, la creatività e lo spirito critico» spiega Biondi. L’ultima riforma ha poi aggiunto nuovi indirizzi dedicati come il Sistema Moda che diploma campionaristi, tecnici del controllo qualità, responsabili di produzione. «In Italia però c’è ancora la resistenza di alcune famiglie» conclude l’esperto. «Spesso nei percorsi di alternanza scuola lavoro le ragazze sono attirate dai mestieri tecnici tradizionalmente maschili ma sono poi i genitori a indirizzarle verso i soliti percorsi».

Professionali: ecco le novità

Dal prossimo anno scolastico cambiano anche gli Istituti professionali che si distinguono dai tecnici perché garantiscono quasi esclusivamente competenze pratiche e forniscono manodopera alle imprese. Da settembre ci saranno più insegnanti, più ore di laboratorio e più indirizzi. Oltre a quelli esistenti, si potrà scegliere anche tra: industria e artigianato per il made in Italy, pesca e produzioni ittiche, servizi culturali e dello spettacolo, gestione delle acque e risanamento ambientale (qui il sito del Ministero dedicato all’orientamento).

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