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Lavoro in affitto: cosa sapere se ti assume un’agenzia

  • 27 05 2016

Mezzo milione di italiani sono impiegati in un'azienda ma non sono dipendenti diretti. Ecco cosa prevedono i contratti di lavoro in affitto con un'agenzia

Sei giovane e in cerca di occupazione? Con buone probabilità, chi ti aprirà la porta sarà un’agenzia di somministrazione lavoro. Quelle che abitualmente chiamiamo interinali. Si ricorre sempre di più ai lavoratori “in affitto”: oggi sono 465.000 persone e il 60% è under 30. «Grazie agli sgravi contributivi che il governo concede dal 2015, in un anno sono raddoppiati gli assunti a tempo indeterminato presso queste agenzie, circa 45.000» spiega Alberto Russo, ricercatore di Diritto del lavoro della Fondazione Marco Biagi (università di Modena e Reggio Emilia). Certo, però, non è un mondo privo di ombre. Si lavora in un’azienda, ma si riceve la busta paga da un’altra. Con l’aiuto degli esperti facciamo chiarezza.

QUALI SONO LE FORME PIU’ USATE DI LAVORO IN AFFITTO? Nella stragrande maggioranza dei casi è il contratto a termine, seguito da quello a tempo indeterminato (circa il 10% sul totale) e dal rapporto “a chiamata”, in cui il lavoratore viene utilizzato in caso di necessità: basta un preavviso di almeno 24 ore. «Quest’ultima è una modalità ormai scarsamente utilizzata anche tra gli stagionali del turismo o della ristorazione: è sostituita dal voucher, meno oneroso per le aziende» dice Andrea Siletti, direttore commerciale dell’agenzia per il lavoro Adecco in Italia.

CHI E’ IL DATORE DI LAVORO? Tecnicamente è l’agenzia. Che è responsabile di tutti gli aspetti legati ad assunzione, retribuzione e fine del rapporto. Ed emette i bonifici per pagare lo stipendio. Quella in cui si viene mandati a prestare la propria opera si chiama impresa utilizzatrice, con cui il lavoratore non firma alcun contratto.

A QUALE STIPENDIO HA DIRITTO CHI E’ ASSUNTO TRAMITE AGENZIA? Gli spetta lo stesso trattamento economico di coloro che sono assunti direttamente dall’azienda: uguale stipendio, Tfr, ferie, contributi previdenziali ed eventuali premi di produzione. Se si svolge un’attività regolata da un contratto nazionale di categoria, si deve essere inquadrati secondo quelle regole e beneficiare di quanto previsto, come la quota di iscrizione a una cassa assistenziale.

PERCHE’ QUESTO CONTRATTO CONVIENE ALLE AZIENDE? Un lavoratore in affitto costa di più all’impresa che, oltre all’ammontare della busta paga, versa una commissione all’agenzia per ogni ora lavorata. Però l’impresa ci guadagna in flessibilità. Non ha compiti burocratici da sbrigare e può impiegare il personale solo finché ne ha bisogno, «per esempio, per far fronte a picchi di produzione» dice Alberto Russo della Fondazione Marco Biagi. E se la missione termina, ma mancano ancora alcuni mesi alla scadenza del contratto, spetta all’agenzia trovare una collocazione al lavoratore. «Paragonata all’ufficio interno delle risorse umane, l’agenzia permette di selezionare una figura necessaria in meno tempo e scegliendo tra un elenco ampio» aggiunge Siletti di Adecco.

IL LAVORATORE IN AFFITTO HA DIRiTTO ALLA DISOCCUPAZIONE? Sì. Può accedere alla Naspi (l’indennità di disoccupazione dell’Inps), avendone i requisiti. Ma ci sono forme di sostegno in più erogate da due enti specifici (Ebitemp e Forma.temp): una somma una tantum di 750 euro, dopo 45 giorni di disoccupazione e almeno 5 mesi di lavoro nell’ultimo anno; e un assegno di maternità di 2.250 euro, per le donne cui scade il contratto interinale nei primi 6 mesi di gravidanza, ma che non hanno i requisiti per la maternità Inps.

QUANDO IL LAVORO IN AFFITTO E’ VIETATO? Se serve a sostituire personale in sciopero o usare risorse in unità produttive interessate da licenziamenti collettivi o procedure di cassa integrazione.

UN CONTRATTO CON UN’AGENZIA PUO’ ESSERE MEGLIO DI UN CONTRATTO DIRETTO? Se si è assunti a tempo indeterminato, sì. Il Jobs Act, dal 2015, di fatto consente di licenziare una persona per motivi di natura economica, dietro il pagamento di un risarcimento. Questo succede se viene soppresso un reparto e non c’è più bisogno di quella particolare figura professionale. «Se invece si lavora per un’agenzia, tale situazione in pratica non succede mai, perché sarebbe impossibile di fronte al giudice dimostrare che non ci siano altre opportunità di utilizzo. Quindi, in questo caso, il lavoratore è più tutelato» dice Siletti di Adecco.

Ed ecco le testimonianze di 4 persone che hanno sperimentato un contratto di lavoro somministrato.

 «Non mi hanno dato lo stipendio previsto»

Tiziana, 31enne della provincia di Milano, racconta: «Ho lavorato con un contratto di lavoro in affitto presso uno dei Padiglioni di Expo. Avrei dovuto essere inquadrata con il contratto del commercio, ma a me e altri ne è stato applicato un altro con una differenza di retribuzione di quasi 200 euro al mese. Dicevano che era una questione di budget. Ora sono partite le cause tramite il sindacato e speriamo che ci diano quanto dovuto».

 

«Dicono che a me non spetta il premio di produzione»

Vito ha 25 anni, vive vicino a Potenza e dice: «Sono operaio, a tempo indeterminato, in un tabilimento della Basilicata. Ma fino all’anno scorso ero un interinale. L’azienda distribuisce i premi di produzione legati ai risultati del 2015, che spetterebbero a quanti abbiano contribuito a quegli utili. Però li sta ricevendo solo chi era era assunto direttamente. Finora l’agenzia e l’impresa si rimpallano le responsabilità. La prima dice che non era informata, la seconda che non ha competenza sulle paghe degli interinali. Io voglio che mi riconoscano il premio».

 

«Solo grazie al sindacato ho ricevuto il bonus asilo per mio figlio»

Lucia, 35 anni, della provincia di Varese, spiega: «Durante il primo anno di vita di mio figlio ero dipendente a termine di una società di marketing. Parlando con una collega, ho saputo che chi è assunta in somministrazione ha diritto a un bonus asilo di 100 euro al mese, fino al terzo anno del piccolo, quando abbia almeno 3 mesi di lavoro alle spalle nell’ultimo anno. Era il mio caso, ma l’agenzia non me l’aveva segnalato. Con l’intervento del sindacato ho ottenuto, a posteriori, un anno intero di questo sostegno che mi spettava».

 

«Preferisco il contratto con l’agenzia a quello con un’azienda»

Paola, 49enne milanese, racconta: «Sono l’assistente del direttore di una multinazionale del lusso. Anche se nel 2015 mi hanno proposto l’assunzione diretta in azienda, ho preferito tenermi il contratto a tempo indeterminato con l’agenzia. Non voglio legarmi a una sola situazione, ma affrontare nuove esperienze ogni 2-3 anni. Ammetto di essere un profilo ricercato: parlo due lingue straniere, ho anni di esperienza e non temo di restare a casa».

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