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Meglio il lavoro dei sogni o quello che ti fa guadagnare?

Secondo i Millennials, i giovani tra 15 e 30 anni, è più importante fare il lavoro dei sogni piuttosto che quello ben pagato. Per questo sono pronti a studiare, per raccogliere le competenze professionali necessarie. Quindi ci chiediamo: "gli sdraiati" di Michele Serra si stanno dando da fare? Sembra di sì, anche se le aziende non sempre sono già pronte ad accoglierli. Lo rivela uno studio

Sanno quanto sia importante studiare. Tanto che se non riescono a proseguire gli studi, ne sono dispiaciuti. E lo fanno perché vogliono trovare il lavoro dei loro sogni: no, non quello che paga di più, ma quello che potrà appagarli e divertirli. Più leggeri? Sognatori? Abituati bene? Questo è solo una piccola parte di un ritratto fatto da una ricerca della Clark University di Worcester, nel Massachusetts, sulle aspettative professionali e sul percorso di studi dei Millennials americani, i cosiddetti “adulti emergenti”. Una
ricerca che racconta molto anche della cosiddetta Generazione Y – termine usato spesso come sinonimo di Millennials – nel nostro Paese.

La tecnologia è il loro pane
Chi sono i Millennials? La generazione nata tra gli anni Novanta e il nuovo millennio, tra i 15 e i 30 anni circa, figli di chi ha vissuto il baby boom, cresciuti tecnologicamente connessi, socialmente programmati per il multitasking, abituati a usare smartphone e internet come una seconda pelle. Ma sono anche quelli che Michele Serra nel suo libro definisce “gli sdraiati”, ovvero viziati e pigri, cresciuti nella bambagia e così via. Sono loro comunque a soffrire maggiormente oggi della crisi del mondo del lavoro. Il 40 per cento tra loro in Italia (dati Istat 2014) sono nel gruppo dei Neet (not in education, employed or training), ovvero completamente disoccupati, dallo studio e da una qualsivoglia professione. Vivono dell’aiutino, dei genitori magari, per l’affitto e le vacanze, fanno lavoretti saltuari, ma spesso faticano a trovare anche quelli: il panorama davanti a loro è fatto di stage (pochi), contratti di
formazione che non si trasformano mai in altro, piccoli impieghi e lunghe pause.

Nelle aziende (quando ci arrivano) sono innovatori
Eppure, quando arrivano in azienda, fanno un gran bene alle altre generazioni: uno studio dell’università di Milano-Bicocca racconta come si tratti di una generazione di pionieri nei confronti delle tecnologie emergenti, autonomi e veloci nell’utilizzarle rispetto a chi
arriva dalle generazioni precedenti, abituati anche a lavorare in squadra, flessibili, una vera ventata di novità e opportunità per il mondo aziendale. Peccato che la stessa ricerca evidenzi anche come le imprese non siano ancora pronte ad accoglierli e a sfruttarne appieno le potenzialità. Un “digital divide” difficile da colmare, almeno rispetto alla situazione italiana, o meglio, per chi
riuscirà a farne tesoro, una enorme opportunità per una svolta culturale e innovativa delle aziende stesse.

Meglio un bel lavoro che un lavoro ben pagato
E loro, i Millennials, in attesa di un lavoro o davanti a un percorso di studi, come immaginano il loro futuro? Intanto cercano eccome un buon lavoro, ma il significato di “buono” è più vicino all’amore per la professione che allo stipendio alto. Il 60 per cento degli intervistati in età da college americani dichiara infatti di preferire il lavoro dei sogni al lavoro meglio remunerato. I Millennials credono nell’istruzione superiore e universitaria come leva per “avere maggiori chance di trovare il lavoro giusto” ma anche per “potersi formare in aree specifiche”. Dunque desiderano arrivare al loro impiego preparati: la gavetta forse è diventata un’idea lontana? Di certo oggi si affida alla scuola una maggiore aspettativa anche pratica rispetto alle generazioni precedenti.

La loro forza è la flessibilità

Sognatori sì, ma anche profondamente coscienti di quel che li circonda: se interrogati sul mondo del lavoro, i Millennials dichiarano (89%) che non importa quale lavoro staranno facendo, loro proveranno a farlo al meglio. Se interrogati tra i problemi affrontati sul lavoro (per quella minoranza che è giù impiegata), 3 su 5 parlano della fatica di conciliare vita privata e lavoro e 7 su 10 sono preoccupati per non aver fatto progressi professionali da quando sono entrati in azienda. Ma la loro elasticità e flessibilità resta la carta vincente: la maggioranza sa che tra 10 anni non farà non solo lo stesso lavoro, ma che probabilmente non sarà occupato più nemmeno nello stesso settore. E non pare preoccuparsene.

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