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Le 5 trappole dello smart work

Il lavoro agile (adottato dal 17% delle aziende italiane) dovrebbe aiutarci a conciliare meglio privato e professione. Ma, avvertono gli esperti, nasconde 5 trappole. Da cui bisogna imparare a difendersi

All’estero è una realtà, tanto che in Svezia si sperimenta la riduzione “nazionale” dell’orario di lavoro da 8 a 6 ore. Da noi lo smart work, la possibilità di lavorare lontano dall’ufficio con tempi adatti alla nostra vita, inizia a ingranare ora. A Milano il 18 febbraio si celebra la Giornata del lavoro agile (www.lavoroagile.it), mentre in Parlamento si discute un disegno di legge per dare garanzie a chi sceglie formule smart. Ma siamo sicuri che seguire un progetto a distanza o uscire prima dall’ufficio sia un vantaggio e ci renda più felici? Secondo uno studio dell’università di Standford, no: il tempo libero serve a poco se non è sincronizzato con quello di familiari e amici. Ecco 5 trappole nascoste della flessibilità a cui fare attenzione.

CON IL CONTRATTO A PROGETTO ORGANIZZI I TUOI ORARI MA PERDI LA FORZA DEL TEAM
Marco Vitiello docente di Psicologia del lavoro all’università La Sapienza di Roma.
«Chi sceglie di lavorare a obiettivi spesso non ha vincoli di orari né di luogo, ma solo scadenze da rispettare: non importa dove tu sia, basta che ciò che ti viene assegnato sia pronto al momento giusto. Stare fuori dall’impresa evita i tempi morti e le distrazioni dell’ufficio ma ha anche dei contro: può mettere in crisi la capacità di fare squadra, perché le relazioni sociali sono importanti e i risultati migliori si ottengono in team. È una flessibilità adatta a chi ha impieghi creativi o individualisti come il web designer o il traduttore, ma non è indicata per chi ha bisogno di continui feedback e non si accontenta di interagire via mail. Una soluzione può essere “presenziare” in azienda almeno un paio di giorni a settimana per partecipare alle riunioni: se sono mirate e non diventano incontri-fiume, sono occasioni preziose per generare nuove idee e non sentirsi fuori dal gruppo. Oppure, si può affittare una postazione in un coworking: diventerà un luogo per invitare clienti o colleghi e incontrare professionisti di altri settori con cui condividere esperienze. E scambiare due chiacchiere davanti a un caffè».

I TURNI E I MESTIERI A CHIAMATA COSTRINGONO ANCHE PARTNER E FIGLI A ESSERE SMART
Andrea Solimene fondatore di Seedble, società di consulenza che si occupa di innovazione digitale e lavoro agile, autore della guida The Smart Working Book (gratis online).
A volte sembra la soluzione ideale: lavorare nei weekend, di sera o per un mese intero (i cosidetti “on call job”) per liberarsi dagli orari d’ufficio. Non sempre, però, il tempo che si guadagna coincide con quello del resto della famiglia. Secondo Andrea Solimene «scegliere gli orari atipici è una pratica già diffusa tra freelance come grafici, consulenti o programmatori ed è sempre più frequente tra i millennials, le generazioni nate dagli anni ’80 in poi. Per loro trovarsi al pc alle 3 del mattino è normale, specie se non hanno ancora bambini. Per chi ha figli entrano invece in gioco variabili diverse nella gestione del tempo, che vanno studiate a fondo: non c’è nulla di “smart” se è il capo a imporre turni o disponibilità extra». Meglio, quindi, contrattare una flessibilità più in sintonia con i tempi della famiglia, da gestire in modo autonomo senza l’obbligo di timbrare il cartellino dalle 9 alle 18.

CON IL TELELAVORO PASSI DALLA “GABBIA” DELL’UFFICIO A QUELLA DI CASA
Fiorella Crespi direttore dell’Osservatorio Smartworking del Politecnico di Milano.
«Se non si adottano le giuste precauzioni l’offerta di un lavoro a distanza può trasformarsi in un’arma a doppio taglio: se si deve garantire la stessa reperibilità al pc di quando si stava in azienda, non si tratta di vera flessibilità ma solo di un trasferimento di luogo che, in certi casi, non aiuta nemmeno la concentrazione. Per esempio, chi ha bambini piccoli a casa viene spesso interrotto dalle richieste di attenzione. Può far comodo a chi vive lontano dalla sede aziendale oppure a chi ha figli grandi, ma lo svantaggio di dover garantire una reperibilità dalle 9 alle 17 resta. Alcune aziende stanno superando l’inconveniente chiedendo al lavoratore una presenza su fasce orarie ridotte ma concordate, per evitare che i colleghi in sede restino bloccati. Per il resto della giornata si può pianificare il lavoro in autonomia, dotandosi di accorgimenti tecnologici che risolvano le emergenze anche se si è lontani dal computer, come uno smartphone con auricolari che prende appunti mentre telefoni o che permetta la teleconferenza».

IL PART TIME PUÒ RICHIEDERE ACROBAZIE TRA SCRIVANIA E FAMIGLIA
Adele Mapelli senior consultant di Wise Growth ed esperta di diversity management.
«Molte donne scelgono il part time per stare con i figli o per accudire un familiare ma non sempre risolvono il problema della conciliazione: la prova è che chi fa il tempo parziale, in media, usufruisce di più permessi e congedi. Questo perché si tratta di una flessibilità spesso solo di facciata, con orari ancora più rigidi del tempo pieno che obbligano a incastri complicati: se ho il figlio che esce da scuola alle 15,30 e stacco dal lavoro alle 16, dovrò comunque delegare il compito di ritirarlo a nonne o baby sitter. In più, le ore che guadagno dall’ufficio non sono vero tempo libero ma un secondo lavoro che costringe a mille acrobazie, ovviamente senza essere retribuito. La soluzione? Pensare a una riduzione di orario tagliata su misura delle proprie esigenze o a un’alternativa al part-time senza vincolarsi alla presenza in ufficio e alla penalizzazione di retribuzione: in caso di figli grandi, si può proporre di uscire prima e di recuperare di sera da casa. Se si trova un accordo ne beneficia anche l’impresa: avrà un dipendente meno stressato che garantirà comunque un full time, senza caricare gli altri dipendenti di lavoro extra».

CELLULARI E TABLET AZIENDALI TI RENDONO REPERIBILE 24 ORE SU 24
Sonia Bertolini sociologa del Lavoro dell’università di Torino.
Capita a tutti di ritrovarsi a controllare le mail dopo cena o durante le ferie. Secondo una ricerca, il 21% dei professionisti e manager dichiara di lavorare anche 15 ore extra alla settimana a causa degli smart device come tablet e cellulari aziendali. «Il risultato è che non stacchiamo mai e lasciamo che la professione invada il nostro privato» dice Sonia Bertolini. «Per questo bisogna imparare a mettere dei paletti. Anche il disegno di legge in Parlamento prevede che vengano stabiliti i periodi di “riposo” per chi lavora in modo flessibile: il mio consiglio è prendere accordi con l’azienda, meglio se scritti, sulle fasce di reperibilità e sulla retribuzione di eventuali extra time. L’altra arma per non trasformarsi in “schiavi” è l’autocontrollo: se non ci sono emergenze, rispondere a una mail alle 10 di sera è inutile e il mondo non crollerà se si aspetta la mattina dopo».

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