Tutti in bici: ma le nostre città sono pronte?

Le vendite di biciclette sono salite del 60% e sono in arrivo incentivi statali. Intanto, sempre più lavoratori si spostano pedalando. Perché le due ruote diventino un mezzo di trasporto davvero diffuso e sicuro, però, occorre intervenire sia sulle strade sia sugli uffici

Il 3 giugno l’Italia festeggerà la Giornata mondiale della bicicletta con il 60% in più di gente che pedala. Di tanto, a maggio, potrebbero aumentare le vendite delle 2 ruote secondo Ancma, l’Associazione nazionale ciclo motociclo accessori. Merito degli incentivi previsti dal governo, anche per l’acquisto delle elettriche. E dell’esplosione di piste temporanee nelle grandi città dovuta alla necessità di non assembrarsi sui mezzi pubblici nelle fasi post Covid-19.

«Mai viste così tante bici in centro» conferma Marco Diana, docente di Pianificazione dei trasporti al Politecnico di Torino. «Ma le città non sono ancora pronte per permettere a tutti di andare al lavoro su due ruote o di percorrere anche solo gli ultimi chilometri in combinata con treno e metro. Perché non sono progettate per la mobilità sostenibile e presentano rischi per la sicurezza». Adesso che la percezione è cambiata, cosa ci manca esattamente per muoverci a Roma e Napoli come ad Amsterdam o Copenaghen?

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Le piste ciclabili sono solo il primo passo

Le città dove da sempre in Italia si pedala di più sono Bolzano, Pesaro, Ferrara e Treviso: un quarto degli abitanti si sposta ogni giorno in bici. «Sono centri medio-piccoli e le distanze tra casa e lavoro sono minime» spiega Diana. «Prendere la bici a Roma per andare e tornare dall’ufficio è più complesso, non solo per via di salite, distanze e sanpietrini: mancano ancora collegamenti e infrastrutture che rendano efficiente e sicuro un intero viaggio, senza che il pendolare su due ruote sconfini in strade trafficate o si trovi incastrato fra le auto al semaforo».

Nonostante nella Capitale tanto sia stato fatto e dall’Eur sia partita la realizzazione di 150 chilometri di piste transitorie, la vera svolta, cioè il Grande raccordo anulare ciclabile, è ferma alle prime fasi e la percentuale di ciclisti (lo 0,5% secondo l’Istat) è ancora lontanissima dalla media europea dell’8%, raggiunta in Italia solo dal Trentino Alto Adige. Il dato resta basso nonostante i chilometri di ciclabili siano aumentati di oltre il 50% negli ultimi 10 anni.

«Il problema è che spesso ci concentriamo solo sulla creazione di piste, tralasciando altri aspetti che devono andare di pari passo, per esempio i parcheggi per lasciarle in sicurezza o i collegamenti tra centro e periferie» continua il docente. «Deve cambiare l’aspetto della città, la sua visione d’insieme: per esempio, regolamentando il traffico in modo da rendere intere strade percorribili in bici, con l’istituzione di zone dove la velocità per i mezzi a motore è limitata e le bici possono conviverci, come in parte si sta facendo a Milano. Le piste poi vanno progettate tenendo conto di tutta l’architettura urbana, da noi i ciclisti fanno la gimkana tra i dehors dei locali o trovano i cassonetti della spazzatura a limitare la visuale».

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I pendolari sono penalizzati

Grazie a questa visione d’insieme negli ultimi anni sono diventate a misura di ciclo città che prima non lo erano. «Anche quelle vaste e dalla mobilità complessa» spiega Marco Mazzei, presidente di Milano bicycle coalition. «Per esempio Londra, dove fino a 10 anni fa le bici erano rare: grazie alle ciclovie che collegano in sicurezza periferie e centro oggi alle 7 del mattino ai semafori vedi gli ingorghi di bici, non di auto. O Bogotà, la città per eccellenza assediata dal traffico: ha dedicato intere arterie al traffico ciclistico».

Anche Lisbona, città collinare, con investimenti combinati in comunicazione, educazione e infrastrutture che prevedono l’attraversamento della città evitando strade oltre il 4% di pendenza, è diventata quasi tutta ciclabile. In Italia i piani di mobilità sostenibile ci sono, perché la legge impone alle amministrazioni di dotarsene. Ma hanno bisogno ancora di un po’ di tempo e lavoro per uscire dalla carta e diventare realtà.

Persino Milano, che con il piano “Strade aperte” è stata lodata in tutto il mondo, deve ancora sciogliere il nodo dell’intermodalità. «Da 10 anni puoi portare la bici gratis in metro ma non nelle ore di punta, cioè quando devi andare al lavoro. E su Trenord si paga il biglietto per il mezzo. I pendolari sono penalizzati». Mentre a Genova il primo tratto dei 130 chilometri previsti di ciclabili di emergenza si trova fra la strada e i parcheggi delle auto mettendo a rischio proprio la sicurezza dei ciclisti.

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Le aziende devono fare la loro parte

Il dato positivo è che la volontà di fare qualcosa è sempre più forte e anche il Sud si sta risvegliando, spesso dal basso. A Palermo, per esempio, sta nascendo la “Consulta delle biciclette” sul modello di Bologna: coinvolge le associazioni di ciclisti per creare un nuovo piano di mobilità. A Napoli, dove il movimento “critical mass” è forte, è tornato il bike sharing, è prossima la realizzazione di 30 nuovi raccordi che collegano un segmento di ciclabile all’altro ed è in progetto un piano di parcheggi apposito.

Se le amministrazioni devono fare di più, anche ai privati spetta la loro parte. «Molte persone concepiscono la bici solo come mezzo sportivo, la inforcano la domenica ma non ci andrebbero mai al lavoro» spiega Mazzei. «Perché le nostre aziende non sono bike-friendly: dovrebbero prevedere spogliatoi e docce, allentare la presa sul dress code da ufficio che non è certo comodo per chi arriva in bici, prevedere parcheggi sicuri, fornire abbonamenti e convenzioni per la manutenzione periodica del mezzo e formazione sulla sicurezza. Oltre che incentivare l’uso della bici per i propri dipendenti». Ma per questo basta pochissimo, come dimostra la nuova sede milanese di Linkedin: ha messo a disposizione dei lavoratori una flotta di bici aziendali e non ha previsto parcheggi per auto.

Qual è il modello giusto di bici?

Il prezzo delle bici elettriche si è abbassato: se prima superava i 2.000 euro, adesso ne servono in media 1.600. Anche il design è migliorato. In più, fino al 31 dicembre, ci sono gli incentivi: il 60% del costo fino a 500 euro (per le modalità si aspetta il decreto attuativo).

Ma quale bici conviene comprare per andare al lavoro? «Dipende dalle singole necessità» spiega Marco Mazzei. «Per i pendolari che devono usarla in combinata con treno e metro conviene la pieghevole, che ormai è una bici a tutti gli effetti: costa di più ma sui mezzi la porti come una valigia e in ufficio la “parcheggi” accanto alla scrivania. Per chi affronta percorsi accidentati come gli acciottolati e i cordoli dei nostri centri storici serve una city bike con ruote larghe e pedalata alta. Per chi affronta percorsi molto lunghi e vuole pedalare anche nel weekend, magari fuori porta, è ideale la gravel, un modello a metà tra bici da corsa e mountain bike, veloce e perfetta per ogni fondo stradale. Per tutti, infine, sono consigliate le borse laterali: pedalare a 30 gradi con lo zaino da lavoro sulle spalle è un’impresa».

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