

In realtà Mariapia Torre, insegnante di lettere in una scuola secondaria di Gorizia, la chiama scuola di “vicinanza”. È un'avventura nuova, complessa, che vede i prof fare di tutto per seguire i loro alunni. Anche quelli che non hanno il computer. E che mandano le foto dei compiti
Faccio didattica a vicinanza. Ieri sera finalmente li ho raggiunti. Tutti. Proprio tutti. L’ultimo di cui non sapevo nulla, che non rispondeva da giorni. Mi ha scritto poche righe, ma lo ha fatto. «Prof, posso mandarle le foto dei compiti sul quaderno? Non ho il computer». Cerco di capire ciò che è scritto in alcune foto scattate alle pagine del quaderno. Con tutte le correzioni e le cancellature. Si vede persino l’ombra della sue mani che copre parte del foglio ... Intravedo una tovaglia bianca a fiori rossi di sfondo.
«Non riusciamo a caricare i compiti nel registro, ma i video li abbiamo visti, sa prof». «Prof, non riesco a caricare i compiti di inglese. Glielo dice lei alla prof che non riesco?». E la mamma che al telefono mi chiede: «Prof, per favore, gli parli lei. Non vuole fare nulla. Solo videogiochi». Cerco le parole giuste. Il giorno dopo inizia a mandarmi il suo primo lavoro... e sono felice.
«Prof, il link non si apre». «Prof, quando facciamo la prossima video lezione?». «Prof, mi scusi, ma mi spiega di nuovo il predicativo del soggetto? Prof, ma vivere è un verbo copulativo?» Ah, sì, VIVERE.
Un genitore ieri mi ha scritto: “ringrazio lei e tutti gli insegnanti per l’impegno e la tenacia che state dimostrando nello stare vicino ai nostri ragazzi”. E non ci sono note ministeriali che tengano. Faccio didattica a vicinanza. Mi piace tanto chiamarla così, la mia, la nostra, colleghi, didattica a distanza. Forza colleghi ce la faremo.
(Mariapia Torre)
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