Ivan Zaytsev ha giocato a Perugia, Roma, Latina, Macerata e, all’estero, nella Dinamo Mosca. In Na

Ivan Zaytsev ha giocato a Perugia, Roma, Latina, Macerata e, all’estero, nella Dinamo Mosca. In Nazionale ha esordito nel 2008 dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana

Le confessioni di Ivan Zaytsev, lo zar del volley italiano

Il rapporto complicato con i genitori, icone dello sport sovietico. Il primo tatuaggio, fatto a 19 anni. L’amore per la moglie, senza la quale si dice perso. Alla vigilia dei Mondiali, il capitano degli Azzurri traccia un bilancio della propria vita, in campo e fuori. E guarda al prossimo obiettivo: «Migliorare l’argento delle Olimpiadi di Rio»

I 30 anni, per un uomo, coincidono con il primo bilancio di vita. Per Ivan Zaytsev, che taglierà il traguardo il 2 ottobre, il saldo tra vittorie e sconfitte è decisamente positivo. Dalle seconde ha imparato molto, ma è delle prime che questo monumentale pallavolista – 204 centimetri, 92 chili, un record personale di battuta alla velocità di 134 chilometri orari – porta i segni sulla pelle. «Il primo tatuaggio l’ho fatto a 19 anni, quando giocavo a Perugia» ricorda. «C’è scritto “My life, my rules”. Avevo capito che il volley poteva essere davvero la “cosa” della mia vita ma che in alto ci sarei arrivato, e rimasto, seguendo le mie regole e non quelle di qualcun altro».

Riferimento non banale se guardiamo alla biografia del campione. Ivan è figlio di 2 icone dello sport sovietico: il padre Vjaceslav era uno dei più forti palleggiatori di sempre, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca 1980; la madre Irina, ex nuotatrice, è stata primatista nei 100 e 200 metri rana. Ivan è nato a Spoleto, dove mamma e papà si erano trasferiti per lavoro, e ha optato per la cittadinanza italiana. «Riconoscere i miei genitori come una presenza importante creava in me una sorta di sfida nel cercare di raggiungerli ma contemporaneamente generava un disagio sempre più forte» ammette. È come se i suoi tatuaggi (ai quali ha dedicato un documentario, Lo zar della pallavolo) avessero compiuto lo stesso percorso: da manifesto di ribellione ad altare delle consapevolezze acquisite.

«Siamo una delle squadre migliori»

Per quanto riguarda il volley, non è difficile immaginare quale regalo desideri Ivan per i suoi 30 anni, visto che spegne rà le candeline appena 2 giorni dopo la finale del Mondiale maschile che lui e gli Azzurri, di cui è capitano, vogliono giocare da protagonisti. «Ci siamo allenati bene e vogliamo fare bene» sintetizza. «Questa Italia è una squadra di alto livello, ci sono veterani come me, giovani esperti e ragazzi alla prima convocazione. Rispetto ad altre Nazionali abbiamo anticipato un po’ il ricambio generazionale. Ma il Mondiale è il torneo più complicato da disputare, specie con la formula a gironi che è stata introdotta: si gioca in città e Paesi diversi, e i gironi obbligano a mantenere alte forma e concentrazione per quasi 1 mese. Sarà più dura che a Rio 2016». Il riferimento all’argento olimpico, picco di popolarità mai più eguagliato, non è casuale. «Se stai per chiedermelo: no, i 5 cerchi non me li sono tatuati, troppo banale per un atleta» dice ridendo. «Scherzi a parte, quest’anno sul podio vedo le stesse favorite di allora: Brasile, Italia e Usa. Speriamo non nello stesso ordine! Ma anche la Russia può sorprendere».

Come arriviamo all’appuntamento dei Mondiali Maschili?

Anche in questo caso, Ivan ha le idee chiare: «La pallavolo in Italia è ancora uno sport dilettantistico nella forma, eppure qui ci sono il campionato più tecnico, i migliori stranieri, le squadre più forti, i palazzetti sempre pieni con delle bellissime tifoserie, ma tutto questo non ha i ritorni che meriterebbe». Un campione si riconosce anche dallo scarso ricorso alla retorica, e Ivan non fa eccezione: «Io non ce l’ho con il calcio, anzi. Come sport siamo secondi dietro di loro per tesseramento giovanile, e davanti per quello femminile. Dovremmo prenderlo a esempio per la capacità che ha di attirare sponsor e introiti facendo parlare di sé ogni giorno e non, come purtroppo succede a noi, ogni 4 anni. E solo se si vince qualcosa». Dopo i Mondiali sarà tempo di fare le valigie per Modena, la prossima squadra di Ivan in serie A, guidata dal monumento del volley tricolore Julio Velasco: «Non vedo l’ora».

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«Dobbiamo mostrarci superiori all’odio»

Tra un allenamento e l’altro, Ivan cerca di passare più tempo possibile con la famiglia. Sua moglie Ashling Sirocchi, ex modella italo-irlandese, ha lasciato il lavoro alle Nazioni Unite per diventare la sua manager. «Ci siamo conosciuti a una partita di beach volley. Lei ha 2 anni più di me, e ci sono voluti un po’ di tempo e le astuzie di qualche amico comune perché si decidesse a frequentarmi. Senza lei sarei perso, a casa e fuori». La coppia ha 2 figli: Sasha, che a 4 anni è la copia in miniatura del padre, e Sienna, 8 mesi, diventata suo malgrado l’oggetto di una bufera social quando il padre ha postato su Instagram la foto della sua vaccinazione. «Se sei un personaggio pubblico dovresti fregartene di queste cose» osserva «e io di solito faccio così: quando qualcuno mi scrive “zingaro di m…”, e purtroppo capita spesso, sorrido e passo oltre. Ma leggere commenti in cui, nel nome di teorie insensate, tranquilli padri e madri di famiglia auguravano una morte atroce alla figlia di qualcun altro mi ha fatto davvero male. Dobbiamo mostrarci superiori all’odio, ma contemporaneamente dobbiamo capire cosa lo scateni e ripartire da lì, dall’educazione e dalla convivenza civile».

La finale dei Mondiali sarà a Torino

Si parte il 9 settembre, al Foro Italico di Roma, con Italia-Giappone. Ma i Mondiali di volley 2018, per la prima volta, saranno ospitati da 2 Paesi diversi, Italia e Bulgaria: 2 gironi per ogni Paese, per un totale di 24 squadre (da noi, oltre a Roma, le città ospitanti sono Milano, Bologna , Bari e Firenze). Le vincenti e le migliori seconde arriveranno alla Final Six che si disputerà dal 26 al 30 settembre al PalaAlpitour di Torino: subito altri 3 gironcini da 3 squadre, poi semifinali incrociate e finalissima.

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