Putin e Erdogan

Russia e Turchia: le ragioni dell’odio

Il presidente russo Vladimir Putin e quello turco Erdogan sono ai ferri corti: all'origine degli attriti, l'abbattimento di un aereo militare russo da parte di un F16 turco. Ma perché le due potenze si fanno la guerra? E cosa c'entrano l'Isis e l'Occidente? Abbiamo fatto chiarezza.

È una tensione continua, fra Russia e Turchia. Uno scontro fatto di sanzioni, di sospensioni di progetti economici già avviati, di viaggi possibili solo con visto. Persino di stop a ingaggi di giocatori di calcio. All’origine degli attriti fra le due potenze, l’abbattimento di un aereo militare russo, da parte di un F16 turco e l’uccisione del pilota. Anche i due capi di Stato non se la sono mandata a dire. Vladimir Putin ha avvertito la Turchia: “Si pentirà di quello che ha fatto”; ed il presidente turco Erdogan a sua volta ha replicato: “La Russia commercia petrolio con l’Isis”. Perché queste tensioni fra Mosca ed Ankara?

La Siria nel mirino di entrambi

Turchia e Russia hanno interessi contrapposti in Siria. La prima vuole destituire il presidente siriano Bashar al Assad, che appartiene alla setta degli alawiti, affiliati agli sciiti. Erdogan e il suo partito, l’Akp, appartengono invece all’altra grande dell’Islam: i sunniti. Rovesciare Assad, per Ankara, vuol dire favorire la nascita di un nuovo Stato, a base sunnita, e quindi allargare la loro presenza nella regione, per arginare i gruppi sciiti, che hanno la loro casa madre in Iran. Putin invece vuole salvare Assad: il suo sostegno significherebbe l’affermazione di Mosca nella stessa area. Proprio in un momento in cui la diplomazia di Washington arranca.

Due gruppi etnici rivali

Fra Siria e Turchia, vi sono due gruppi etnici, due minoranze, che rivendicano zone di autonomia e la nascita di possibili altri Stati. Sono i curdi e i turcomanni. I curdi, sparpagliati sulle montagne dei due paesi e in parte anche a nord dell’Iraq, sono stati utilizzati dalla coalizione internazionale in funzione anti-Isis come forza militare di terra. Sul campo, per esempio, le loro milizie sono state determinanti, assieme ai raid aerei americani, per la riconquista di Kobane, città siriana che era caduta in mano ai Jihadisti. La Turchia continua tuttavia a combatterli, dentro i propri confini e fuori: teme la creazione di uno stato autonomo, un Kurdistan. I turcomanni invece si trovano al nord della Siria. Sono fedelissimi ad Ankara, che pure li sostiene sempre in funzione anti-Assad e anti-curda. La Turchia accusa i russi di attaccare questa minoranza, quando bombarda in Siria.

Il nazionalismo della Turchia

Erdogan ha stravinto le elezioni di novembre, proprio grazie al suo nazionalismo. Oggi vuole affermarsi nella regione espandendo la sua sfera di influenza e il suo potere diplomatico. È stato accusato spesso di giocare col fuoco, per la sua politica molto ambigua verso le milizie dell’Isis. Dai confini turchi, verso il Califfato, sono passati rifornimenti e combattenti. È risaputo che la tappa intermedia dei foreign fighters europei prima di entrare in Siria sia proprio la Turchia. Anche Putin spinge sul nazionalismo: il suo intervento militare nell’area è per affermare la Russia sul piano internazionale, dopo decenni di presenza americana. In questo momento, fra tanti vasi di coccio sono loro due i vasi di ferro in Medio Oriente.

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