Un gruppo di persone con lo smartphone

Smartphone, cos’è “l’effetto camaleonte”: non c’è antidoto

Mai sentito parlare dell'"effetto camaleonte"? Si tratta della tendenza inconscia che abbiamo a imitare gli altri quando, per esempio, sbadigliano. Una ricerca ha dimostrato che ne siamo vittime anche quando utilizziamo lo smartphone

Ti è mai capitato di leggere un libro su un treno e smettere senza un motivo solo perché il tuo vicino di posto si è messo a giocare al cellulare e tu senti improvvisamente l’esigenza di controllare messaggi o aprire le app dei social network? Forse non lo sai, ma sei stata vittima di un fenomeno che si chiama “effetto camaleonte”. In che cosa consiste? È un meccanismo inconscio che ci spinge a fare quello che stanno facendo le persone intorno a noi. L’effetto è amplificato quando si tratta di usare lo smartphone. Parola di un team di esperti dell’università di Pisa, che ha osservato circa 240 persone di entrambi i sessi e appartenenti a una fascia di età tra i 18 e i 60 anni. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Human Nature edita da Springer.

L’effetto camaleonte è diffuso anche tra leoni e scimpanzé

L’idea è stata ispirata da un episodio avvenuto in un supermercato. Una delle ricercatrici dell’università di Pisa stava usando il telefono quando ha notato che, una signora dietro di lei, ha effettuato una chiamata e ha detto alla persona dall’altra parte del filo: «Non so perché ti ho chiamato, non devo dirti nulla». Da qui l’intuizione che, forse, si era trattato di un caso di “effetto camaleonte”, cioè una imitazione involontaria delle azioni altrui che in natura viene attuata anche da mammiferi come leoni e scimpanzé.

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Uno studio iniziato durante il lockdown

«Durante la pandemia da Covid-19 abbiamo condotto un primo esperimento per valutare gli effetti del lockdown sulla risposta mimica nell’uso degli smartphone. In risultati hanno confermato il fenomeno», ha spiegato all’Ansa la professoressa Elisabetta Palagi dell’università di Pisa. Ha continuato: «A distanza di un anno abbiamo fatto un nuovo esperimento i cui risultati sono stati, da un certo punto di vista, sorprendenti». Infatti, la ricerca ha dimostrato l’esistenza dell’effetto camaleonte nell’uso degli smartphone. Ma ha anche provato che «questo fenomeno non scompare nel tempo, come era invece lecito attendersi. Invece, sembra essere strettamente legato al “gradiente di familiarità”. Come avviene con la risata o lo sbadiglio, anche la risposta mimica nell’uso dello smartphone è più evidente quando si è insieme a persone che si conoscono».

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Effetto camaleonte: ecco che cosa lo innesca

A innescare l’effetto camaleonte è la direzione dello sguardo di chi, in un gruppo, utilizza lo smartphone per primo. La dottoressa Veronica Maglieri, autrice dello studio, ha spiegato che «è la prima volta che tale meccanismo viene rilevato in relazione agli oggetti manipolati dagli individui che interagiscono». Le persone che sono state osservate erano tutte inconsapevoli di essere state scelte per uno studio. L’analisi, infatti, ha coinvolto familiari e amici dei ricercatori, ma anche estranei che sono stati osservati in diversi contesti: dall’aperitivo alle cene in famiglia, e anche in una sala d’aspetto. I ricercatori hanno spiegato che in passato studi simili erano stati effettuati sui consumatori di sigarette. Tuttavia, la ricerca sugli smartphone evidenziato che in questo caso tenere in mano l’oggetto non basta a scatenare in chi ci sta intorno l’effetto camaleonte. Invece, è necessario fissare lo schermo. La risposta mimica arriva di solito entro 30 secondi.

L’effetto camaleonte non conosce età

Lo studio dell’università di Pisa ha anche evidenziato che le persone che prendono lo smartphone in conseguenza di un effetto camaleonte, nel 90 per cento dei casi aprono un social media. Si è infine scoperto che non esistono differenze tra giovani e anziani: l’effetto camaleonte non conosce età. Infine, non esistono antidoti per impedirci di rimanerne vittime.

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