TIZIANO GUARDINI
Tiziano Guardini

Orgoglio artigiano

È il nostro bello. Il nostro vanto. È una fitta rete di piccole imprese che hanno fatto del Made in Italy, quello vero, il loro credo. Realtà dal cuore grande, dal coraggio smisurato, da conoscere e sostenere. Perché è da qui che l’Italia può ripartire

Oltre 65mila manifatture, un fatturato di 95 miliardi di euro: eccola la nostra filiera moda, seconda voce economica del Paese. Un modello unico al mondo, che coinvolge più di 600mila artigiani di piccole e microimprese, custodi di un saper fare tramandato di generazione in generazione. Al di là delle griffe sotto gli occhi di tutti, esiste un universo di aziende, spesso familiari e centenarie, che, malgrado tante difficoltà e sfide, non hanno mai mollato, continuando a puntare su materie prime, filiera e manodopera 100% italiane. Perché solo così si garantisce l’eccellenza che, se onorata, aiuterà l’Italia a ripartire. Le piccole aziende hanno una forza economica che non permette di investire in sfilate o top model, ma che viene usata sia per sostenere il lavoro inestimabile degli artigiani sia per acquistare macchinari hi-tech da affiancare alla loro esperienza.


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– Gedebe


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– Simona Corsellini


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– My Scarf in a Box


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– Snob Milano


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– Benedetta Bruzziches


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– Gavazzeni


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– Gavazzeni


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– E’st


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– Acchitto


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– Tiziano Guardini


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– Etici


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– Maurizio Miri

Crea con mani, cuore e cervello

Questa produzione custodisce la passione, l’impegno e la storia delle persone che l’hanno plasmata. Pagherai di più? Forse, ma in quella cifra è compresa una lista di valori che va dalla sicurezza (l’Italia ha il sistema di controlli più severo), al lavoro (un prodotto 100% italiano dà impiego lungo tutta la filiera produttiva), alla qualità, all’unicità, alla durata. Valori da sostenere oggi più che mai. Ma le piccole imprese italiane non sono tanti Don Chisciotte persi nell’illusione di competere con i big del fashion business.

«L’artigiano oggi si relaziona costantemente con le novità tecnologiche» spiega la designer Benedetta Bruzziches, «non è un nostalgico ma un guerriero, un pioniere della sua maestria». Ed ecco la storia del signor Nando che, con oltre 50 anni di lavoro alle spalle, fra macchinari e collanti hi-tech. plasma le favolose pochette in metacrilato di Benedetta Bruzziches, opere d’arte possibili solo grazie alla commistione di saperi vecchi e nuovi. L’azienda produce a Caprarola (Viterbo) con un team di artigiani che hanno deciso di riscoprire competenze in via d’estinzione. «Ci siamo accorti» riflette Benedetta «che non vedere più il lavoro artigianale ci ha fatto dimenticare che abbiamo le mani per realizzare i nostri sogni». Le sue borse quei sogni li traducono in realtà. E poi c’è lo storico Massimo Ferlizza, guru di tinture e finissaggi, di cui si avvale Corrado Manenti per regalare alle sciarpe e alle stole del suo brand, My Scarf in a Box, un effetto cangiante senza pari. Nella sua azienda prendono vita meraviglie di seta e modal create nel distretto gallaratese e varesino. Perfino il lussuoso packaging è 100% made in Italy.

Aggiunge il valore dell’emozione

Se andiamo nel cuore delle Marche troviamo un piccolo laboratorio in cui un’intera famiglia intreccia il midollino delle borse e delle scarpe gioiello di Gedebe da quattro generazioni. Il marchio, guidato dal direttore creativo Giuseppe Della Badia, si fonda sull’artigianato italiano del distretto calzaturiero di Parma e delle Marche, della tradizione della pelletteria toscana e delle seterie di Como. Sempre Gedebe ci fa scoprire una rete di ricamatrici di rara bravura che, nel centro-sud Italia, si occupano dei ricami minuziosi sui suoi piccoli capolavori.

Maurizio Mangano, detto “Miri”, invece, per le sue giacche utilizza le stoffe di Ferla, tessutaio scelto da Giorgio Armani per i costumi di American Gigolo. Il brand ha nel dna l’orgoglio e la manodopera bresciana, i bottoni del bottonificio Bap di Bergamo, le stoffe dei “campioni” di Biella, Giuseppe Botto, Canonico Barberis (la cui azienda è nata nel 1689). E le etichette, di seta ricamata su telai di legno come nell’800, sono realizzate da due signore di Torino. Insomma, stiamo parlando di un valore insostituibile.

Lo sa Francesca Marchisio che, affiancata dall’azienda marchigiana Effepi, è artefice di una capsule di capi unici fatti con scarti dei tessuti italiani: trasformati in macro-paillettes di stoffa, vengono cuciti a mano con effetti sempre diversi ideati proprio dalle sarte. Lo sa Simona Corsellini, bolognese che si fida ciecamente degli artigiani dell’Emilia Romagna, dove produce i suoi capi ultrafemminili. Sono le loro mani a rendere perfetti i tagli inaspettati, gli oblò sensuali, i ricami preziosi, amatissimi da Sara Sampaio, Katy Perry e Zendaya, solo per citare alcune sue fan.

E lo sanno anche Elena Faccio e Francesca Richiardi: Acchitto, la loro linea di gioielli dai volumi imponenti, personalizzabili grazie a meccanismi brevettati che li rendono intercambiabili, affida la produzione solo ai maestri orafi di Vicenza, inarrivabili nel mixare antichi mestieri e tecniche innovative.

Coniuga etica, sostenibilità e passione

Tiziano Guardini, romano, una laurea in economia e poi diventato fashion designer, ha creato, insieme a Mantero (famoso per i suoi foulard e accessori) una linea di di capi in Peace Silk, seta ricavata dai bozzoli abbandonati dalle farfalle. La sua ECOuture mixa sartorialità, innovazione, sperimentazione. Ma anche ricerca, rispetto e una produzione tutta concentrata nei distretti di Torino e Roma. Se invece scegli un top di Rifò ottenuto dal riciclo di vecchi jeans, contribuisci a ridurre del 97% il consumo d’acqua, del 77% quello dell’energia, del 95% le emissioni di CO2 e del 99% l’uso di coloranti. L’azienda produce a Prato e dintorni, nel raggio di 30 km, partendo da fibre 100% rigenerate (ottenute da vecchi indumenti, ritrasformati in materia prima, poi filati e tessuti) in pull di cashmere, cotone, T-shirt.

Poi c’è ETC 2.0, guidata da Andrea Vignoli, che produce tessuti (puntando al 100% naturale) per confezionare i capi del suo brand Etici, e le colorazioni certificate)per tingerli. La filiera? Tutta carpigiana. Ma il Made in Italy è soprattutto un affare di famiglia, una passione che si tramanda, che si arricchisce di generazione in generazione. Fra i tanti, vi raccontiamo Ely’s Thread (E’st): pellami selezionati nelle concerie campane, laboratori di sviluppo tra Campania, Abruzzo, Puglia ed Emilia per le borse di Paola e Angela Totaro. Il filo (thread) rimanda al legame con la famiglia, alle borse che nonna Paola realizzava all’uncinetto, e unisce passato e presente con una linea di accessori pregiati.

IL MADE IN ITALY È UNA PROFESSIONE DI FEDE. «NOI VIVIAMO DI QUESTI VALORI, NON VALUTIAMO ALTERNATIVE, NON SCENDIAMO A COMPROMESSI» DICHIARA DINO SORDELLI, CHE PRODUCE OCCHIALI ITALIANI AL 100%

O Gavazzeni, bella storia che parte dal padre produttore di bottoni e arriva a Sergio Gavazzeni, fondatore di un laboratorio, aiutato dalla moglie e dai figli. Non solo crea per i grandi nomi italiani ma è diventato marchio, realizzando cinture e borse di pelle Made in Italy, conciata al vegetale in Toscana. Esistono persino occhiali 100% fatti in Italia, come Snob Milano e Sun’s Good, collezioni eyewear disegnate, prodotte e distribuite dalla Franco Sordelli, azienda familiare di Venegono Inferiore (Varese) attiva dal 1921. «Il Made in Italy» ci spiega Dino Sordelli, responsabile commerciale «è la condizione sine qua non di qualsiasi nostro investimento. Che parte dal prodotto e culmina nel patrimonio umano composto da collaboratori pluridecennali, depositari del know-how aziendale e che hanno una continua ambizione al miglioramento. Noi viviamo di questi valori, non valutiamo alternative e non scendiamo a compromessi». E con i guerrieri, si sa, non si discute.

IL PARERE DELL’ESPERTA

«Credo che da tempo si dovesse ripensare il Made in Italy, dandogli un’interpretazione diversa, meno legata a stereotipi antichi» dichiara Maria Luisa Frisa, direttore del corso di laurea in Design della moda e Arti multimediali allo Iuav di Venezia. «Potrebbe essere l’occasione per ridefinirlo, valorizzando una filiera unica al mondo e riconoscendole la forza trainante per l’economia del nostro Paese. Dobbiamo costruire una nuova narrativa che faccia capire come la tradizione può agire in maniera dialettica con l’innovazione».

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