L'Aquarius entra nel porto di Valencia lo scorso 17 giugno

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Migranti: 12 domande (e risposte) per capire

Dopo il no all’attracco della nave Aquarius, e lo scontro con Malta e Francia, l’Italia chiede all’Europa di riscrivere le regole sull’accoglienza. Ma il nostro Paese può chiudere i porti? E davvero ospita più rifugiati degli altri? Facciamo chiarezza

Il tema migranti è tornato d’attualità e con l’estate gli sbarchi riprenderanno ad aumentare. La vicenda dell’Aquarius, la nave dell’organizzazione non governativa Sos Mediterranée alla quale è stato rifiutato l’attracco nei porti italiani dopo aver salvato 629 migranti, segna un cambio di rotta evidente da parte del nuovo governo italiano: l’obiettivo, anche a costo di sfiorare l’incidente diplomatico con Paesi come Tunisia (accusata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini di «esportare delinquenti») e Francia (con il presidente Emmanuel Macron che ha parlato di «Italia cinica e crudele») è quello di ridefinire le politiche migratorie in Europa. Giusto farlo ricorrendo a un braccio di ferro? Cosa prevedono gli accordi internazionali? Quali sono gli scenari futuri e le emergenze da affrontare? Proviamo a rispondere qui.

1. Quali norme internazionali regolano il soccorso in mare?

La principale è la convenzione Onu del mare del 1982. «Ratificata dall’Italia nel 1994, poggia su 2 principi essenziali» spiega Eldo Turco Bulgherini, presidente dell’Associazione Italiana di Diritto della Navigazione e dei Trasporti e docente a Tor Vergata. «Primo: in mare bisogna assistere chiunque si trovi in pericolo. Secondo: ogni Stato costiero è obbligato a dotarsi di un sistema di ricerca e soccorso commisurato al suo territorio e alla sua capacità». Le zone d’intervento di ciascun Paese si chiamano “Sar” (acronimo di Search and rescue, ricerca e soccorso) e sono uno dei temi della contesa.

2. Perché l’Italia in questi anni è stata il primo, se non l’unico, Paese a intervenire nel Mediterraneo?

«Dal 2011 la Libia è instabile dal punto di vista politico» dice Matteo Villa, esperto di migrazione per l’Ispi (Istituto studi di politica internazionale). Perciò i suoi porti, che spesso sono anche quelli di partenza dei migranti, non sono considerati un approdo sicuro. «Inoltre Tripoli non ha mai comunicato l’estensione della propria Sar» continua Villa. Ecco allora che l’Italia, per una scelta politica e non giuridica, ha deciso di farsi carico anche del soccorso nelle zone immediatamente al di fuori delle acque territoriali libiche». Specie dopo il naufragio del 2013 costato la vita a 368 migranti.

3. Perché il nostro governo ha attaccato Malta sul caso Aquarius?

Malta, al contrario della Libia, ha dichiarato all’Imo (International Maritime Organization) una propria Sar, ma troppo estesa: «250 chilometri quadrati» spiega Turco Bulgherini. Oggi, per calcolo o necessità, non la presidia del tutto. Può capitare dunque, come nel caso dell’Aquarius e in altri precedenti, che anche una nave più vicina alle coste maltesi chieda di fare rotta da noi.

4. Nel caso dell’Aquarius chi avrebbe dovuto accogliere i migranti?

«È una delle zone grigie della vicenda» dice Villa. Non c’è, infatti, in alcuna convenzione una regola chiara su chi debba intervenire. «Nei trattati ci sono criteri che indicano come comportarsi, ma non obblighi». Da qui lo scontro: per Malta chi coordinava i soccorsi, cioè l’Italia, era tenuto a portare i migranti nei propri porti; per il nostro governo doveva farsene carico il porto più vicino.

5. L’Italia può chiudere i porti alle navi?

Sì, se battono bandiera straniera e c’è il sospetto che violino le leggi italiane sull’immigrazione o rappresentino un rischio per la sicurezza. «Il porto» spiega Turco Bulgherini «è parte del demanio marittimo, legato alla difesa dello Stato». Mentre le navi di Marina e Guardia costiera sono considerate territorio nazionale anche al largo. Ecco perché, nelle ore in cui l’Aquarius veniva respinta, la nave militare Diciotti ha potuto sbarcare quasi 1.000 migranti soccorsi nello stesso tratto di mare.

6. I sindaci possono riaprire i varchi nonostante la decisione contraria del governo, come volevano fare quelli di Napoli e Livorno?

No. I porti competono alla Capitaneria di Porto che dipende dal ministero dei Trasporti.

7. L’Italia rischia sanzioni per il suo comportamento, come ha sostenuto la Francia? 

«Non ci sono gli estremi» risponde Giuseppe Nesi, preside della facoltà di Giurisprudenza dell’università di Trento ed ex consigliere giuridico dell’Onu. «Solo quando le condizioni dei passeggeri diventano problematiche, si viene meno al rispetto dei trattati». Ma sull’Aquarius la situazione è quasi sempre rimasta sotto controllo.

8. Siamo davvero il Paese che spende di più per accogliere i migranti?

No. Secondo i dati dell’European Migration Network, se l’Italia spende i famosi 35 euro al giorno per migrante, il Belgio ne spende 51,14, la Finlandia 49, l’Olanda 63, la Svezia 40. La Francia ne spende meno, fra 16 e 24.

9. Che differenza c’è fra immigrati regolari, irregolari, rifugiati e richiedenti asilo?

Come spiega il glossario della testata specializzata Open Migration, è regolare lo straniero che ha ottenuto un permesso di soggiorno. Al contrario, è irregolare chi è entrato aggirando i controlli o è rimasto dopo la scadenza di un permesso temporaneo (visto turistico, lavorativo, iter di richiesta asilo). È clandestino l’irregolare che, colpito da un ordine di espulsione, resta nel Paese. Sono rifugiati coloro che hanno vista accolta la domanda di asilo per motivi politici, bellici, religiosi o discriminatori. Nell’attesa, che dovrebbe durare al massimo 35 giorni ma a volte si protrae per anni, si è richiedenti asilo e si può restare.

10. Cosa prevede il Trattato di Dublino sulle migrazioni e perché l’Italia chiede di riformarlo?

Il Trattato fissa i criteri per la concessione dell’asilo, stabilendo che a farsi carico della richiesta sia il primo Paese Ue raggiunto dal migrante. È la ragione per cui Italia e Grecia, approdi naturali, premono per modificarlo. Nel 2015 Bruxelles ha varato un programma per ricollocare i migranti fra i diversi Stati membri.

11. Il ricollocamento ha funzionato?

No. In base agli impegni assunti, 98.255 persone (34.953 provenienti dall’Italia e 63.302 dalla Grecia) entro il 31 maggio 2018 avrebbero dovuto trovare protezione altrove. Però solo il 35% dei profughi ha potuto farlo. «L’Italia ha chiesto a Bruxelles di mostrarsi più incisiva» continua Nesi «ma il blocco di Visegrad, che raccoglie i Paesi dell’Est, vorrebbe abbassare la penale che lo Stato deve pagare per ogni migrante non accolto da 250.000 a 30.000 euro. Il motivo: intendono continuare a ridurre gli ingressi rispetto alla quota imposta loro dagli accordi quadro».

12. Come uscire dalla crisi?

«Bisognerebbe in primo luogo fare chiarezza sugli spazi Sar del Mediterraneo» chiosa Turco Bulgherini. «Si dovrebbe avere non solo la guardia di frontiera europea Frontex, ma anche competenze di salvataggio gestite a livello europeo» sottolinea Villa. «Oggi Frontex ci dà una mano con i salvataggi, ma poi chiama Roma per l’accoglienza». Per Nesi la partita si gioca tutta su un’ulteriore ridiscussione del Trattato: «La politica migratoria europea va rivista». L’appuntamento è per il vertice del 28 e 29 giugno fra i premier dell’Ue, ma con un’Europa spaccata in 2 la trattativa si preannuncia lunga e difficile.

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