Casanova-Bentivoglio

Il Casanova di Gabriele Salvatores

Il nuovo film sull’avventuriero veneziano è il primo in cui Gabriele Salvatores mette un po’ di sé. Tra passione (per il cinema) e paura (di invecchiare)

L’intervista al regista

È malinconico il Casanova raccontato da Arthur Schnitzler in Il ritorno di Casanova (Adelphi), a cui il regista Gabriele Salvatores si è ispirato per il suo film omonimo che arriva il 30 marzo nelle sale dopo l’anteprima il 25 al Bif&st, il Bari International Film & Tv Festival. «Schnitzler lo ha scritto nel 1918, in un momento particolare della sua vita: a 53 anni si sentiva vecchio e, contemporaneamente, con la caduta dell’impero austro-ungarico avvertiva l’arrivo di una nuova epoca» mi racconta quando gli chiedo il perché di questa scelta. «Amo molto Schnitzler, avevo già pensato di portare questo testo a teatro tanti anni fa, di lui mi piace soprattutto l’aspetto del “doppio” presente nelle sue opere. In Il ritorno di Casanova il doppio è il giovane tenente: il mondo nuovo, le generazioni che arrivano e ti sostituiranno. Mi affascinava il racconto del passaggio di età, anche perché in qualche modo mi riguarda (il regista, che ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero nel 1992 con Mediterraneo, ha 72 anni, ndr). Questo è forse il primo film in cui metto un po’ di me».

In che senso? «Non è autobiografico, ovviamente, ma per la prima volta mostro pensieri, ossessioni, dolci malinconie… La paura del tempo che passa, l’invidia per quelli che verranno, anzi stanno già arrivando: i giovani registi bravi che fanno cose nuove e che chiaramente e giustamente prenderanno il tuo posto. Il sentire che la strada davanti a te è un pochino più stretta, meno lunga».

Per questo uno dei protagonisti di questa storia è un regista? «Da una parte mi permetteva di raddoppiare il gioco del doppio. Dall’altra mi consentiva di parlare di cose che conosco bene. Io non sono affatto un libertino, ma un regista è un seduttore: deve sedurre il suo pubblico. Mi sono quindi inventato la storia di un regista, interpretato da Toni Servillo, che deve fare un film su Casanova e durante le riprese, come succede a Casanova, impersonato nel suo film da Fabrizio Bentivoglio, si innamora di una ragazza decisamente più giovane di lui che lo metterà in crisi. È un uomo che ha sempre vissuto pensando che il cinema potesse in qualche modo sostituire la realtà. Succede anche a me: il cinema ti permette di vivere in un mondo altro, di essere padrone di quello che fai, di decidere come deve andare quella storia. Nella vita non c’è regia. La quotidianità mi spaventa, come spaventa il personaggio di Servillo. Infatti uno dei temi del film è: è più importante il cinema o la vita?».

Casanova-di-Salvatores

Ma in questo Casanova e in questo regista non c’è anche la paura di non riuscire più ad amare? «L’amore è una cosa molto complessa, fatta di tante facce che, quando vai avanti con l’età, scompaiono o diventano meno praticabili. Ti puoi sempre innamorare, anche a 90 anni, secondo me. Però chiaramente è un amore diverso da quello che vivi a 20 o 30. Col passare del tempo l’amore diventa complicità, condivisione di esperienze. Del resto, cos’è la vita se non la possibilità di fare esperienze, imparare e vedere cose nuove? Quando parlo del teatro e del cinema dico che entrambi sono espressioni d’amore. Il teatro è come un matrimonio, dove hai a disposizione un tempo lungo. Prove e repliche in cui puoi cambiare quello che non funziona. E infatti quando facevo teatro chiedevo agli attori di rinnovare sera dopo sera quel desiderio che hai all’inizio. Mentre il cinema è una passione amorosa che va consumata in fretta, in cui devi dare tutto quel giorno lì perché non ce ne sarà un altro. Man mano che vai avanti, l’amore è come il cinema».

Gabriele Salvatores
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