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Sindrome da selfie: cosa c’è dietro il narcisismo digitale

Secondo i dati, i disturbi narcisistici sono in aumento, una doppia faccia che da un lato mostra spavalderia, dall'altro una costante fame di approvazione

Da recenti statistiche emerge che l’aumento dei casi di disturbo narcisistico della personalità negli Stati Uniti è pari al 7 per cento negli ultimi dieci anni. I social diventano lo specchio del nostro piccolo mondo a cui dare in pasto la privacy e ambire a diventare un pizzico più “vip”. ll lato più intimo del quotidiano è messo in piazza, ma attenzione: a essere condiviso è soprattutto il lato più brillante o godereccio. Di rado, e solo in qualche caso, c’è chi osa rendere pubblica l’infelicità e il fallimento, che ci rende tutti così simili e odiosamente umani.

Disturbo narcisistico: che cos’è?

Il termine narcisismo si estende a diversi ambiti. Il mito trae le sue radici da Narciso, il giovane bellissimo che rifiuta l’amore della ninfa Eco e, perso nella sua immagine riflessa in uno specchio d’acqua, è condannato per sempre all’infelicità. Imparentato con l’hybris, che nell’antica Grecia è orgoglio ma anche superbia, all’inizio del Novecento questo concetto viene studiato dal filosofo e psicoanalista austriaco Otto Rank, che lo collega alla vanità e all’auto-ammirazione.

Il narcisismo primario, di cui si occupa Sigmund Freud durante l’elaborazione della sua celebre opera “Introduzione al narcisismo” pubblicato nel 1914, costituisce una tappa dell’esistenza che riguarda il bambino e i suoi rapporti con il mondo. Il narcisismo secondario o protratto, riguarda, invece l’età adulta ed è riportato nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, redatto dall’APA, American Psychiatric Association e noto come DSM.

Fra i criteri per la diagnosi di una personalità narcisistica è possibile riscontrare la presenza di reazioni, spesso eccessive, alle critiche, sensazione di essere importanti, fantasie grandiose, bisogno di ammirazione e invidia.

Sindrome da selfie

Al disturbo narcisistico di personalità, che costituisce un tema estremamente complesso e fra i più controversi, negli ultimi anni si aggiunge il narcisismo digitale, una questione sempre più spesso al centro del dibattito. Secondo gli studi più recenti esistono segnali in grado di identificare un comportamento online preoccupante e su cui è utile fermarsi a riflettere.

La tendenza a rifiutare critiche costituisce uno di questi sintomi, insieme alla facilità agli attacchi di rabbia. Dare agli altri la colpa di ciò che non funziona significa dare potere all’altro: un potere che, invece, costituisce la presa di responsabilità che ognuno di noi ha per la sua vita.

La rabbia sul web divampa facilmente, appare incontenibile e difficile da gestire: in rete spopolano gli haters, chi semina odio. Dietro a questa etichetta può nascondersi chiunque, operazione resa più facile da account con nickname inventatati con nomi di fantasia e immagini di profilo ritagliate dal web. Dietro si nasconde un signor Nessuno nel vero senso del termine: si tratta di persone che in fondo tremano di fronte al confronto costruttivo. Odiare senza metterci la faccia è molto più facile, perché non implica alcun rischio.

In un certo senso è la dimensione stessa del web a creare i presupposti per una comunicazione “narcisistica”. Viviamo in un web fatto di blog, canali e social dove creare video, pagine e scritture in cui possiamo diffondere ciò che pensiamo e facciamo, attimo per attimo e questo a volte succede a senso unico, senza prestare attenzione all’altro: si condivide con gli altri un flusso incontrollato.

Un lato del narcisismo appartiene alla natura umana e ha a che fare con la risposta degli altri alle nostre azioni, con il senso di gratificazione e la costruzione dell’autostima. Tuttavia, il bisogno di approvazione può diventare il segnale che sono gli altri a orientare la nostra rotta e quando questo succede è estremamente pericoloso, perché rischiamo di perdere la bussola o non costruire mai una connessione autentica con noi stessi. Il narcisismo, infatti, vive di due facce: quando indossa la maschera brillante emerge la spavalda sicurezza di sé, ma nell’oscurità trema, se l’altro non dà segno di risposta. Su internet questo meccanismo è ancora più chiaro: se l’altro non mi vede non esisto.

Mi vedi? Mi stai guardando? Il messaggio dietro i selfie suona così. È un allarme preoccupante quando si tratta di adolescenti o di persone che attraversano un periodo di forte transizione. A qualsiasi età ci si può sentire vulnerabili. Nel cambiamento è facile vivere un’incertezza profonda, che sotto la superficie smuove un’inquietudine interiore, e allora ci si rivolge all’altro in cerca di risposte: ci appoggiamo cercando un appiglio e una pacca sulla spalla.

Ma sul web l’altro non sempre è il volto amico che sa proteggere: può accadere di incontrare una folla senza nome pronta a scarnificare e distruggere, soprattutto se non abbiamo consapevolezza di ciò che stiamo condividendo, per esempio per quanto riguarda le fotografie o tutto ciò che entra direttamente nella nostra privacy.

Web: la consapevolezza digitale

Le stime parlano di numeri in crescita costante: sono oltre cento le volte in cui controlliamo lo smartphone, spesso solo per accorgerci che non è arrivata alcuna notifica… o per verificare quanti like ha ottenuto una foto. Voler essere presenti è una dinamica sociale che nasconde un bisogno molto profondo, comune a ogni essere umano: essere visto, amato e considerato. Tu come costruisci i tuoi profili e gli spazi in cui decidi di essere presente sul web? Ti sei mai chiesta che tipo di immagine di te emerge dalle informazioni che dai o dalle informazioni che condividi?

Quello che scrivi e pubblichi contribuisce a creare una web identity, un’identità, e attenzione, è importante essere consapevoli che l’immagine pubblica coincide solo in parte con quella che abbiamo nella vita fuori dal web. Questo non significa dover essere falsi, mentire, o creare un profilo che non ci corrisponde. Al contrario, condividere quello che ci interessa realmente, scegliere notizie che provengano da fonti autorevoli e iniziare a guardare come un osservare esterno i nostri profili ci aiuterà a costruirli meglio, avvicinando la vita sul web agli interessi che davvero accendono la nostra curiosità.

Si tratta, semplicemente, di scegliere con consapevolezza ciò che desideriamo mostrare di noi e questo, in fondo, è un aspetto che accade anche nelle nostre relazioni quotidiane: ci sono persone che conoscono solo una parte di te e altre con cui, invece, riesci a sentire la libertà di manifestarti completamente, giusto? Il fatto è che nella vita reale scegli il tuo comportamento. Inizia a farlo anche sul web. Se una posa provocante con qualcuno che conosciamo da due minuti ha il potere di metterci in imbarazzo perché farlo in un luogo virtuale dove potrebbe essere condivisa da centinaia di persone?

Fare un selfie è un gioco, farne mille…. forse porta un messaggio importante da ascoltare e non si tratta di una comunicazione per gli altri, ma soprattutto verso di sé. Perché in fondo un selfie è di questo che parla, della nostra impermanenza e delle nostre paure profonde: sono-qui, e scattiamo il selfie in un posto nuovo o un contesto che vogliamo memorizzare. È una prova di esistenza, una memoria; il voler lasciar un segno.

Come tale, quando si vedono profili che sono costruiti unicamente da selfie, porta con sé una grande malinconia: la paura di scomparire, non esserci più, non essere più come prima. O forse non essere mai stato.

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