Insieme per sconfiggere il dolore

Grande successo del concorso “Quando la tua tenacia ha vinto il dolore” a dimostrazione che, con perseveranza e risposte farmacologiche appropriate, il dolore cronico si può combattere e vincere.

Il concorso pensato da Donna Moderna e Mundipharma ha spronato tante donne che hanno vinto il dolore cronico a raccontare la propria storia, a condividere il proprio successo, rendendosi così utili e solidali con chi ancora, purtroppo, questa battaglia deve ancora affrontarla. Oltre 120 gli elaborati giunti alla segreteria organizzativa, che testimoniano come la tematica del “dolorecronico tocchi da vicino le donne: storie che narrano in prima persona situazioni di sofferenza fisica e psicologica, di tenacia e di determinazione a non lasciarsi sopraffare, ma a lottare e riconquistare serenità e voglia di vivere.

Molte altre donne soffrono come loro, ad esempio di emicrania, fibromialgia, artrite reumatoide, osteoartrite, dolore pelvico, endometriosi. Ma anche sofferenze post operatorie o traumatiche, lombalgie, sciatica. Il quadro si complica con l’aumentare dell’età e fino alla menopausa. Nonostante questa predisposizione femminile alla sofferenza, ricordiamoci sempre che al dolore non ci dobbiamo arrendere: oggi abbiamo a disposizione molti strumenti per combatterlo e vincerlo. Dalla Legge 38 del marzo 2010 ai Centri di terapia antalgica presenti sul territorio, fino alle più moderne risposte farmacologiche, efficaci e meglio tollerate dall’organismo, come gli analgesici oppioidi, utili in caso di dolore moderato-severo.

Tra tutte le amiche che hanno scritto per partecipare al concorso, la giuria ha selezionato le 3 autrici dei contributi più interessanti, che vincono i premi in palio: 1 Kobo, buoni acquisti Mondadori e Box For You Benessere Premium.

Le presentiamo, qui di seguito, assieme alla loro storia.

Greta L. racconta che, a 17 anni, le diagnosticano una colite ulcerosa. Fino ai 24 anni entra ed esce dagli ospedali, un’operazione dopo l’altra. Prove durissime per una giovane donna dalla forza immensa: “Sto bene ora: lavoro, scrivo, canto, cucino, corro. Penso con il mio compagno ad avere un bambino. La vita è splendida e la malattia fa parte di me, ma è solo una parte. Io sono il tutto”.

La parte per il tutto

Avevo 17 anni quando mi hanno diagnosticato la colite ulcerosa.
Dopo un’estate di dolori addominali atroci, nausea, dissenteria, inappetenza e fiumi di sangue persi, ecco la diagnosi: una strana malattia sconosciuta ai più, in una forma molto aggressiva.
Cortisone e antibiotici in quantità industriali, per anni, poi divento resistente alla terapia, allora passano agli immunosoppressori. È difficile per un’adolescente vedere il proprio corpo gonfiarsi e sgonfiarsi per il cortisone, la pelle che cede, le smagliature che peggiorano ad ogni ricovero. Trascorro in corsia il mio 18° compleanno e innumerevoli feste, mentre gli amici vivono la loro normalità, mi vengono a trovare, e poi se ne vanno. Quando vedi le persone uscire dall’ospedale e tu resti inchiodato al letto, è difficile rimanere calmi. Il panico, la rabbia, sono tentazioni troppo forti.
Il mio sistema immunitario mi rema contro, la mia emotività peggiora la situazione, ma vado avanti: tra una colica e l’altra, un ricovero e l’altro, finisco le superiori, frequento l’università, mi laureo, cambio casa, trovo lavoro. A 24 anni, il tracollo: ricoverata per un mese, poi spostata d’urgenza in un centro specializzato il giorno di Pasqua, che è anche il 24 marzo, il mio compleanno, di nuovo. Subisco 3 operazioni complesse per asportare il colon ormai inservibile e ricostruirmi l’intestino martoriato. Per 9 mesi porto l’ileostomia, la prova più grande della mia vita. Mi sento un mostro di carne e plastica, un “picasso” di cicatrici violacee mi attraversa l’addome. Ma resisto: con l’ileostomia vado persino al mare, basta un pareo colorato! E la forza del mio meraviglioso compagno, della mia famiglia, di mia madre e delle innumerevoli notti che trascorre accanto al mio letto. E la mia forza. Tanta, inesauribile. Ho conosciuto persone splendide in questi 15 anni di percorso. Valeva la pena di soffrire solo per conoscerle. Il mio gastroenterologo, la mia terapista: grandi professionisti ma, soprattutto, esseri umani superiori, eroi del quotidiano. Ho conosciuto meglio me stessa. Ho capito che sono a prova di proiettile. Che si può vivere bene senza intestino crasso, nonostante le complicazioni di un organismo un po’ più debole, gli integratori costanti di probiotici, ferro e vitamine, la stanchezza cronica, le proibizioni alimentari (che spesso ignoro!), il bagno che rimane la stanza più frequentata della casa. Sto davvero bene ora: lavoro a tempo pieno, scrivo, canto, cucino, corro. Penso, con il mio compagno, ad avere un bambino. Prima dei trent’anni voglio anche fare una mezza maratona. Non dubito di riuscirci. La vita è splendida, e la malattia fa parte di me, ma è solo una parte. Io sono il tutto.

Un’infanzia tormentata è invece quella di Stefania S. alla quale diagnosticano una leucemia linfoblastica. Grandi le sofferenze causate dalla chemioterapia e dalle punture per eseguire i prelievi del midollo. Eppure, dalle sue parole nasce un’urgenza di sostegno e di stimolo a tutte le donne che soffrono: “Non arrendetevi, aggrappatevi alle piccole cose: un insieme di piccoli successi crea un’enorme vittoria. Lottare e mostrare il sorriso del cuore: così la mia tenacia ha vinto il dolore”.

Così la mia tenacia ha vinto il mio dolore

Avevo solamente quattro piccoli e fragili anni. Ricordo bene quanto il mio corpicino molte volte tentò di dire basta a quell’incessante calvario, quanto facevano male le lacrime sul mio volto, che creavano solchi profondissimi nella pelle, e soprattutto la mia memoria sarà sempre indelebilmente marchiata a fuoco dal dolore che provavo guardandomi allo specchio: un’immagine spenta. Nel 1998 mi diagnosticarono un tumore, una leucemia linfoblastica. Il suono di queste lettere per me, ai tempi, era privo di significato. Per sconfiggere il tumore, i medici avevano optato per la chemioterapia che mi procurava dei lancinanti crampi agli arti e nausea costante, ma la cosa più dolorosa era che mi aveva portato via l’unico vanto che una piccola donna possa avere: la mia chioma ricciuta dorata. Di tutti quei boccoli ora vi era rimasta solamente una testa nuda e spoglia.  La chemio mi portò via anche tutte le unghie che cadevano ogni giorno come foglie dai rami freddi in un albero autunnale. Il dolore vero era addormentarsi con l’illusione che sarebbero ricresciute sempre più forti e ritrovarle giacenti nel calzino il mattino seguente. L’urlo più acuto me lo portò il prelievo di midollo. Una vera e propria disperazione mi assaliva, vedendo quell’ago lungo ed affilato che cercava insidiosamente di entrare nella mia schiena. Un dolore così penetrante che anche a distanza di sedici anni non si può dimenticare; al solo richiamo di quel vivo ricordo, la mia schiena prega la mente di non ricordare. Il percorso di guarigione fu lungo ma ebbe la meglio, e devo tutto all’equipe medica e all’amore della mia famiglia. La nostra vita, la nostra anima, non è messa alla prova solo dal dolore fisico ma anche dal dolore che ferisce silenziosamente il nostro essere, senza che nessuno se ne accorga. E’ da non credere quanta forza d’animo possa uscire da dentro noi stesse, quanta volontà possa incoraggiarci a non lasciarsi trascinare via dal dolore. Bisogna cercare aiuto dentro noi stessi prima di chiederlo ad altri. I miei ingredienti segreti sono state le mani morbide e delicate della mamma, che hanno regalato la voglia di vivere, e il calore di mio padre, che mi ha scaldato fino al punto di non cadere nel freddo buio. Guardare i ricci che spuntavano nuovamente, guardare le unghie che non cadevano più e che si intonavano al mio nuovo colorito roseo, questi erano i miei motivi per andare avanti. Questi piccoli segni erano tutto ciò su cui potevo basare la mia battaglia. Non arrendetevi, aggrappatevi alle piccole cose: un insieme di piccoli successi crea un’enorme vittoria. Non si può eliminare il dolore, perché fa parte di quella lunga corsa ad enormi ostacoli che chiamiamo vita. Si può solamente sopravviverci combattendo al meglio che si possa fare, con tutte le armi a disposizione, col sorriso, con la forza e con il pianto. Crederci, lottare e mostrare il sorriso del cuore, così la mia tenacia ha vinto il mio dolore.

Per Daniela Q. le cose non sono molto diverse dalla sue “compagne di viaggio”. Soffre del morbo di Crohn a cui si aggiunge una grave e dolorosa forma di artrosi alle ginocchia. Non potendo far uso di antidolorifici e antinfiammatori per incompatibilità intestinali, si rivolge al reparto Terapia del Dolore di un ospedale lombardo: “Senza dolore la vita è molto diversa. Ti senti di nuovo una persona. Io ho ribattezzato il primario di Terapia del Dolore il Mago e lui ci ride su. Ma di magie ne fa tante tutti i giorni.

La sconfitta del dolore

Mi chiamo Daniela, ho 55 anni e ho avuto una vita molto intensa, molto sportiva. Al dolore fisico credevo di essere allenata: ho il morbo di Crohn da 35 anni, che mi crea dolorosissimi problemi intestinali, e altri svariati guai di salute. Un anno fa, improvvisamente, il dolore solito alle ginocchia plurioperate è diventato lancinante, insopportabile, devastante, per una gravissima forma di artrosi bilaterale con conseguente gonalgia cronica. Naturalmente ho sentito il parere di tanti ortopedici, ma tutti mi dicevano che non c’era nulla da fare, nemmeno le protesi, solo riempirmi di antidolorifici e antinfiammatori, farmaci abbastanza incompatibili con i miei problemi addominali. Intanto, per il dolore, il gonfiore e la rigidità delle ginocchia mi ero velocemente ridotta a camminare con le stampelle, a non poter guidare l’auto perché non riuscivo più a gestire i pedali, a fare abuso di farmaci per poter dormire almeno un paio di ore al giorno. Poi, per puro caso, una conoscente mi ha suggerito di farmi prescrivere una visita al reparto terapia del dolore dell’Ospedale di Mantova. Ci sono andata, molto scettica per la verità. Invece, ho trovato degli angeli: Primario, assistenti, e infermiere con alta professionalità e infinita umanità. Non promettono e non fanno miracoli: le mie gambe non possono guarire, anzi diventeranno sempre meno funzionanti, ma al dolore, per fortuna, ci pensano loro. Un dolore che ti fa pensare di avere un topolino all’interno delle due ginocchia che ti rosica le ossa 24 ore al giorno! Ora vado in ospedale due volte a settimana per un mesetto, poi ne faccio a meno per una quarantina di giorni, e poi ricomincio, quando ormai l’effetto delle cure sta svanendo e ricominciano dolori, gonfiori e zoppia. La terapia? Mi curano con delle infiltrazioni mirate e quando necessario aspirano il liquido intrarticolare, che si forma per l’infiammazione. Mi fanno due iniezioni: una di anestetico e antinfiammatorio per il nervo periferico, e l’altra, molto più dolorosa, piena di quello che io ho ribattezzato OLIO SANTO, che penetra all’interno dell’articolazione per lubrificarla in più punti e consentirmi un movimento discreto nelle successive settimane. Nonostante si tratti di terapie invasive e dolorose, i dottori e le infermiere riescono perfino a strapparti un sorriso o una battuta. Hanno davvero una pazienza incredibile e un carattere d’oro. Da quando frequento quel reparto mi sembra anche di soffrire meno di prima, perché mi confronto con gli altri ammalati e concludo che, per mia fortuna, io sono molto più sana di loro… Ci sono malati terminali che arrivano in autoambulanza, ci sono malati cronici di patologie serissime e ci sono quelli come me, tutti lì alla ricerca di un attimo di respiro dal proprio dolore… Senza dolore la vita è molto diversa. Ti senti di nuovo una persona e non uno straccetto di carne. Io ho ribattezzato il primario di Terapia del Dolore IL MAGO e lui ci ride su. Ma di magie ne fa tante tutti i giorni.

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