Le donne al centro: le storie di #FacciamoLaDifferenza

  • 07 11 2017

La Campagna è stata lanciata lo scorso marzo per dare voce alle dipendenti di Janssen Italia. I racconti sono ora disponibili sul sito dell’azienda e sull’account Twitter @JanssenITA

Continuano le storie di #FacciamoLaDifferenza, la Campagna promossa da Janssen Italia, azienda farmaceutica del Gruppo Johnson & Johnson, per valorizzare le esperienze lavorative e personali delle “proprie” professioniste e mostrare come l’universo femminile contribuisca quotidianamente a concretizzare la mission dell’azienda: migliorare la salute attraverso un impegno costante in ricerca e innovazione, senza dimenticare la dimensione umana.
Spaccati di vita reale di 23 dipendenti donne – il 43% delle oltre mille persone che lavorano tra le due sedi di Cologno Monzese (MI) e Borgo San Michele (LT) – raccolte dall’autore, scrittore e sceneggiatore Luca Masia. Esempi d’ispirazione per altre giovani che si affacciano oggi al mondo del lavoro. Le storie sono disponibili in versione integrale sul Sito Web Janssen Italia (www.janssen.com/italy) e sull’Account Twitter @JanssenITA.

“VENT’ANNI DOPO”.
Alessandra Sinibaldi – Regulatory Affairs & HEMAR Director

Lavoro in quest’azienda da quasi vent’anni. Durante gli studi avevo già visitato la nostra sede di Latina, uno stabilimento che i professori consideravano particolarmente all’avanguardia. Poi sono stata assunta e ricordo ancora oggi l’emozione, la sorpresa di ritrovarmi nello stesso luogo non più come studentessa ma come lavoratrice. Dopo un paio d’anni si è presentata l’opportunità di trasferirmi a Milano e l’ho colta al volo, perché il mio fidanzato era di Monza. Ci siamo sposati e abbiamo messo al mondo due gemelle che oggi hanno dodici anni. Da allora, la nostra vita è qui.
Non dimentico le prime cene di Natale, quando vedevo la Direzione premiare i dipendenti con vent’anni di attività. Io, così giovane all’epoca, li guardavo stupita e ammirata: non credevo possibile rimanere così a lungo nella stessa azienda. E adesso eccomi qua, pronta a ritirare il mio premio alla prossima cena di Natale!
In tutto questo tempo ho ricoperto molti ruoli, sempre più impegnativi. Mi è stato chiesto di assumere maggiori responsabilità, ma nessuno ha mai preteso che dimenticassi il mio ruolo di madre. La nostra è un’azienda speciale, che apprezza e sostiene la dimensione famigliare dei propri manager. Soprattutto delle donne. L’ambiente è giustamente competitivo e gli obiettivi ambiziosi, ma le persone sono trasparenti, autonome, responsabilizzate. Sono sempre le persone a fare le aziende.
Avere molte donne ai vertici contribuisce a formare una mentalità nuova, capace di migliorare le relazioni tra le persone e creare un clima positivo. Emerge l’immagine di un luogo bello da abitare, dove è possibile esprimere la propria individualità all’interno di una comunità.
In questo periodo sto conducendo molti colloqui e mi accorgo di non chiedere mai lo stato civile dei candidati. Cerchiamo persone di qualità e valutiamo il valore di ciascuno senza pregiudizi. Nella nostra società resistono ancora molti luoghi comuni da smontare. Ad esempio si pensa che le persone senza figli tendano a lavorare di più, ma non è detto che quel tempo sia realmente produttivo. Personalmente sono orgogliosa di essere una madre e una manager. Credo che sia molto importante avere tante donne ai più alti livelli dirigenziali, ma è fondamentale che ci arrivino da donne, rimanendo sempre se stesse.
La maternità deve essere considerata una libera scelta, un valore e una scuola di vita. S’impara tanto a essere mamme: i figli arricchiscono non solo la personalità, ma anche la professionalità delle loro madri. Aiutano a vedere le cose in prospettiva e a mettersi nei panni degli altri. Insegnano ad ascoltare. C’è una bellissima frase di Epitteto, il filosofo greco, che dice che “gli esseri umani sono stati creati con due orecchie e una sola bocca per ascoltare il doppio e parlare la metà”.

“LA CHIUSURA DEL CERCHIO”.
Valentina Catania – Product Manager Special Products


Sono diventata mamma un po’ tardi. Diciamo che ho avuto una vita frenetica, con il lavoro sempre davanti a tutto. Volevo diventare medico. Mia madre, che mi conosceva bene, mi suggeriva invece di scegliere un’altra strada. Sapeva che sono una persona forte e determinata, ma sensibile.
Lei si ammalò. Ebbe un tumore al seno e fui io a seguirla nel corso della malattia. L’accompagnavo alle visite, leggevo i referti, ascoltavo i dottori. Ero ancora una ragazzina, ma nell’animo mi sentivo molto medico. Le diedi comunque ascolto e mi iscrissi all’università di Chimica. Durante gli studi ebbe una grave recidiva. Così tornai a sentirmi medico, al suo fianco. A Pisa è stata seguita da un dottore meraviglioso che l’ha accompagnata fino alla fine dei suoi giorni. Ho capito quanto siano importanti le cure palliative, le terapie del dolore, il supporto psicologico e le attenzioni alla persona. Dopo la morte della mamma la nostra famiglia si è smarrita. Lei era il centro di tutto. Papà s’è fatto da parte, io ho preso in carico i miei fratelli. Sono diventata la madre di persone alle quali volevo bene, ma che non avevo messo al mondo. Mi sono sentita soffocare. Volevo rendermi indipendente e ricominciare a vivere.
Così ho iniziato a lavorare nel settore farmaceutico come informatore. È stato bellissimo viaggiare e conoscere tante persone. Ma è stato bellissimo anche scoprire che il lavoro mi avvicinava ai pazienti e ai medici, mi permetteva di frequentare l’ambiente che non avevo mai smesso di amare.
Sono stati anni intensi, pieni di impegni professionali e di gratificazioni. Ho vissuto una magnifica esperienza nel settore degli antibiotici e poi ho avuto la possibilità di aiutare, grazie al mio lavoro e ai progressi della nostra ricerca, tantissime persone afflitte da una malattia grave come l’epatite C, dove le percentuali di guarigione erano molto basse.
È stata una soddisfazione enorme. È difficile esprimere con le parole l’intensità di quel tipo di emozioni; è qualcosa di molto profondo e appagante. La Medicina non è solo una scienza, ma una missione e in una certa misura anche una forma d’arte, un mezzo di espressione. Un buon medico è come un artigiano che modifica sé stesso, modellando la materia che lavora.
Adesso mi occupo di Oncoematologia. Sono tornata a interessarmi di quelle patologie che avevano segnato la mia giovinezza e lasciato un’impronta indelebile nella mia vita. Oggi so che possiamo fare molto per contrastare anche queste gravi malattie.
Recentemente ho di nuovo incontrato il medico che aveva curato mia madre. Non ero più la giovane figlia di una paziente, ma una collega e a mia volta una madre. Per me è stato come chiudere un cerchio.

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