Ragazza scuola soldi

Educazione finanziaria a scuola: perché è fondamentale

Il Miur vuole trasformare l’educazione civica in “educazione finanziaria”. Obiettivo: formare i giovani - e soprattutto le future donne - in una materia considerata tradizionalmente di competenza maschile

Come funzionano le Borse mondiali? Come si acquistano titoli o azioni, senza correre rischi di investimenti azzardati? O molto più semplicemente come gestire i propri risparmi, facendoli fruttare? Stando alle ultime ricerche, gli italiani non hanno le idee molto chiare in materia. Secondo il Rapporto AIPB-Censis su Gli italiani e la ricchezza e i dati dell’Associazione bancaria italiana, nel nostro Paese va ancora per la maggiore il principio tenere i soldi “sotto il materasso”, un po’ per paura a investire i risparmi di una vita in azioni o prodotti ritenuti rischiosi, un po’ per ignoranza. Un’ignoranza che, secondo un luogo comune, appartiene più alle donne che agli uomini, nonostante siano le madri e le mogli a gestire spesso il bilancio familiare. Da qui l’esigenza di aumentare le conoscenze e la formazione, inserendo tra le materie scolastiche anche l’educazione finanziaria. Ad annunciarlo è stato il ministro dell’Istruzione, Fioramonti, che vorrebbe modificare l’attuale educazione civica (già al centro di polemiche e tentativi di trasformazione da parte del suo predecessore Bussetti) introducendo anche le nozioni economiche di base.

Ma davvero siamo così indietro rispetto al resto d’Europa? È utile che i nostri ragazzi e (soprattutto ragazze) imparino la finanza a scuola? «È fondamentale fare educazione finanziaria partendo dei giovani. La finanza è alla base di tante decisioni della nostra vita di risparmiatori e piccoli investitori. Capita di indebitarsi per poter realizzare i propri progetti. Bisogna rendere consapevoli dei rischi tutte quante le generazioni» spiega Anna Gervasoni, docente di Economia e Gestione delle imprese alla Liuc-Università Cattaneo di Castellanza, e Direttore del Centro sulla Finanza per lo Sviluppo e l’Innovazione.

Dall’educazione civica a quella finanziaria

L’educazione civica viene dunque ripensata, dopo che l’ex titolare del Miur, Bussetti, ne aveva previsto l’inserimento già a partire dal 1° settembre 2019, con 33 ore complessive e fin dalla scuola primaria. Dopo il rinvio al prossimo anno da parte del Consiglio superiore dell’Istruzione per mancanza di risorse e insegnanti preparati, il nuovo ministro Daniele Fioramonti ha annunciato: niente più educazione civica, bensì ambientale e finanziaria. Sul fronte dell’ecologismo Fioramonti, in occasione dei Fridays for Future, ha “giustificato” d’ufficio gli studenti che hanno preso parte alle manifestazioni nate dagli appelli di Greta Thumberg. Ora arriva la vera novità: l’educazione finanziaria. Perché? 

«La finanza non è una cosa da pochi esperti, o meglio ci sono esperti di finanza che se occupano per lavoro, ma anche le famiglie ne hanno a che fare. Bisogna saperla divulgare e semplificare, e questo è un dovere di ogni collettività. L’educazione finanziaria è come l’educazione civica: fa parte della cultura e dei sistemi di valori di una comunità» spiega ancora Gervasoni, che aggiunge: «Una buona padronanza delle questioni finanziarie tra l’altro rende più difficile il raggiro, che purtroppo è sempre dietro l’angolo».

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«L’educazione finanziaria dovrebbe essere iniziare a scuola» esortava già nel 2005 l’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo. A distanza di 14 anni poco o nulla si è fatto, soprattutto in Italia. Secondo i dati del Programme for International Student Assessment (Pisa) sulla Financial Literacy dei giovani, ossia l’alfabetizzazione finanziaria, solo il 12% ha un elevato tasso di conoscenza di questo mondo (livello 5), mentre il 22% si ferma al livello 1 o inferiore, ovvero è capace di affrontare “semplici decisioni riguardo le spese quotidiane” e l’analisi di “documenti finanziari semplici, come una ricevuta”.

Secondo la ricerca, condotta su 15 mila studenti di 15 anni in oltre 80 paesi, i più preparati sono i cinesi, seguiti da belgi, canadesi, russi, olandesi e australiani, tutti sopra la media Ocse. Gli italiani entrano nella Top 10 al decimo posto, dietro ad americani e polacchi, a un livello inferiore rispetto alla media, se pur davanti a spagnoli, lituani, slovacchi, cileni, peruviani, brasiliani. «Tendenzialmente scontiamo un ritardo che non riguarda solo i più giovani, siamo generalmente poco informati sui temi economici e finanziari. Per questo offrire una formazione di base, fin dalla scuola, sarebbe certamente utile» spiega Carolina Guerini, docente di Marketing, Economia e Gestione d’Impresa alla Liuc-Università Cattaneo di Castellanza.

In Italia soldi ancora sotto il materasso

Le ricerche indicano che già a 15 anni in media i giovani effettuato piccole operazioni “finanziarie”, come per esempio gestire un conto corrente. Ma mentre in Australia, Belgio, Canada e Olanda oltre il 70% ne possiede uno, la percentuale scende al 40% in Russia, Cile, Lituania e Polonia, e si dimezza in Italia (35%). I soldi, dunque, si tengono ancora sotto il materasso? A confermare la tendenza sono anche i dati relativi agli adulti, diffusi in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio, il 31 ottobre: il contante rimane la forma di risparmio preferita dagli italiani, con 4.218 miliardi di euro di risparmio (non investito in prodotti finanziari). Secondo gli esperti, però, 1.000 euro tenuti “fermi” nel portafoglio per 10 anni scendono a 875 per effetto dell’inflazione. «Anche nel campo della tutela del risparmio e della prevenzione gli italiani risultano, ad esempio, sottoassicurati rispetto agli altri paesi industrializzati. Da un lato per la complessità dei prodotti finanziari disponibili, dall’altro perché non li si conosce. Nel campo degli investimenti siamo abituati a sentir parlare di salvataggi di banche per tutelare i risparmiatori, ma tralasciando le responsabilità etiche delle banche, se ci fosse più conoscenza da parte dei risparmiatori forse ridurremmo i rischi. Spesso si firmano moduli senza entrare nel merito di ciò che si sta sottoscrivendo» dice la professoressa.

Le femmine sono meno portate?

Ma l’economia e la finanza sono materie da uomini? Secondo l’indagine Pisa le studentesse italiane raggiungerebbero livelli inferiori rispetto ai maschi, contrariamente a quanto accade in Australia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Spagna, dove invece le ragazze superano i “colleghi” uomini. «Esiste sicuramente un problema di genere, legato a stereotipi che solo di recente stanno cadendo, specie ai vertici» spiega Guerini. Basti pensare a Christine Lagarde alla guida della Banca Centrale europea, che ha contribuito a sfondare il tetto di cristallo. Ma spesso è in famiglia che rimangono alcune resistenze: «È vero che da un lato le donne hanno sempre gestito l’economia domestica, ma quando si fanno gli investimenti di famiglia è generalmente l’uomo a decidere. Ricordo che, in occasione di un corso sui private banker (i consulenti bancari, Ndr) ci capitò il caso di una coppia che si era rivolta a un esperto. Quando la donna gli poneva domande, lui rispondeva guardando il marito. Oggi, con l’aumento di separazioni o single anche tra le donne, anche il mondo femminile deve sapere cosa significa risparmio, non solo nella gestione del budget quotidiano, ma nel campo dei possibili investimenti finanziari. Non ci sono solo i vecchi Bot, tanto diffusi in Italia, ma alternative che possono essere vantaggiose solo se conosciute e scelte con criterio» conclude Anna Gervasoni, che è anche Direttore Generale di Aifi, l’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt.

L’economia domestica non è la finanza

Una volta si insegnava alle donne l’economia domestica, ma oggi la società è cambiata: «L’economia domestica è una bellissima cosa. Qua stiamo però parlando di altro. Stiamo parlando di come investire propri risparmi, del fatto che non esistono alti rendimenti senza rischi, che bisogna diversificare per rischiare di meno e che non ci sono guadagni facili. Occorre casomai indebitarsi a costi giusti, compatibilmente con la propria capacità di rimborso. Tutto questo è educazione finanziaria. Capire la differenza tra un’azione e un’obbligazione è oggi fondamentale, come sapere che ogni impresa si basa sui costi e sui ricavi» spiega Gervasoni. Tutto questo, concordano le esperte, è utile sia agli uomini che alle donne, e soprattutto ai futuri adulti.

Il progetto “Consapevolezza economica” del Miur

Già da diversi anni il Miur ha attivato, insieme alla Banca d’Italia, il progetto Consapevolezza economica che, come si legge sul sito del Ministero, mira a «insegnare agli studenti come fare a risparmiare» e «quali strumenti hanno a disposizione». Prevede corsi di formazione per insegnanti, laboratori sulla sostenibilità al Museo del Risparmio di Torino, e attività dalla scuola primaria fino alle superiori.

Ma come si insegna la finanza a scuola? «Abbiamo incrociato le attività di più moduli: prima abbiamo prodotto la spremuta d’arancia calcolando quante arance servivano, il costo, il tempo dedicato alla produzione, …; poi siamo passati alla vendita, organizzandola un pomeriggio in cui abbiamo chiesto ai genitori di partecipare; infine, abbiamo raccolto i soldi e calcolato se erano sufficienti per andare tutti insieme al Museo del Risparmio. Per i bambini è stata un’esperienza molto bella!» racconta una tirocinante della scuola primaria.

La nuova spinta all’educazione finanziaria, dunque, mira ad estendere questo ambito di formazione, inserendolo a pieno titolo tra le materie già presenti nei programmi. «Ovviamente c’è un’ampiezza tale di argomenti che l’efficacia di un’istruzione in questo senso dipenderà da quali saranno scelti e come saranno trattati» osserva la professoressa Guerini, mentre la collega Gervasoni aggiunge: «I concetti della finanza non sono così complicati, ma soprattutto si possono semplificare e insegnare anche ai bambini. Esistono numerosi esempi in tutto il mondo di progetti in questo senso».

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