Cellulare a tavola al ristorante

A cena senza lo smartphone: ecco i locali “free cell”

All’inizio fu la storica Osteria di Rubbiara in provincia di Modena, adesso arriva l’Hamburgheria di Eataly di Torino. Ai clienti viene chiesto di lasciare i cellulari in una scatola chiusa a chiave: lo scopo è far apprezzare di più il cibo e parlare le persone. Ma siamo sicuri che abbiamo qualcosa da dirci?

A Torino l’idea di introdurre le black phone box, scatolette di legno nere nelle quali riporre lo smartphone prima di sedersi a tavola al ristorante, è venuta a uno dei quattro soci dell’Hamburgheria di Eataly in piazza Solferino, Fabrizio Cardamone. “Anche i nostri clienti – racconta – non si staccavano mai dai cellulari, distratti, poco attenti ai piatti, oltre che ai commensali. Il cibo e la qualità del cibo sono di fondamentale importanza, la nostra fatica non deve essere vanificata. Così abbiamo deciso di fare un esperimento che, pur non essendo legato al cibo, consentisse di valorizzarlo. Chi entra può usufruire liberamente di questo servizio. Alla cassa si ritira il box, si mettono all’interno gli smartphone, si chiude a chiave il lucchetto e si lascia la chiave al cassiere. La scatola si tiene sul tavolo. All’uscita, viene aperta e si recupera il contenuto”. Per incentivare il tutto, nei box ci sono biscotti in omaggio. “Ma non è un dolcetto – osserva Cardamone: a fare la differenza. Non tutti lo prendono”.

La soddisfazione delle mamme
La clientela, aggiunge Cardamone, “è incuriosita e molto interessata”. All’ora di pranzo le richieste dei box sono meno, “perché si tratta prevalentemente di persone in pausa di lavoro, alle quali il cellulare serve per ragioni professionali”. Di sera cambia la tipologia di commensali e le scatolette vanno a ruba. “Il gradimento maggiore arriva da mamme con figli adolescenti. Ci ringraziano perché finalmente possono parlare con i loro ragazzi guardandoli in faccia, senza che siano presi da altro”.

I pionieri resistono
All’Osteria di Rubbiara, alle porte di Modena, gli smartphone non sono ammessi a tavola dal secolo scorso, per la precisione dal 1990, anche se si comincia a fare qualche eccezione. “All’inizio i portatili venivano requisiti – ricorda Giuseppe Pedroni, il titolare – e messi in un cassetto normale. Poi nel 1992 mi padre Italo fece costruire una cassettiera a dodici scomparti da un artigiano della zona, un artista. Gli smartphone finiscono lì dentro. Il modello di contenitore è unico – continua – e ce lo hanno copiato anche in Canada e in Australia. Alcuni clienti – rivela il ristoratore – si sono lamentati e li abbiamo perso. Molti altri li abbiamo guadagnati: hanno cominciato a venire apposta qui, perché hanno saputo la storia dei cellulari ritirati. Adesso qualche concessione la facciamo, in particolare agli stranieri. Ci chiedono di poter tenere i telefonini per scattare selfie e foto del locale. E noi lo permettiamo – ammette Pedroni – purché spengano o abbassino la soneria. Ma non abbiamo intenzione di tornare indietro. Resistiamo. Continuiamo a crederci”.

Il caso di Udine
A Udine nel 2012 era stata promossa una campagna mirata, in nome della salute, per evitare l’uso dei cellulari in bar, ristoranti e alberghi. Un progetto strutturato e esteso, promosso dal dottor Mario Canciani, pediatra, pneumologo, consigliere comunale e fondatore dell’Associazione contro l’elettrosmog. Racconta il medico: “Durante il pranzo di un convegno, a Vienna, ero con tre colleghi scandinavi. Prima di accomodarsi a tavola, spensero il cellulare. Per loro era normale farlo, mi hanno spiegato, a casa come fuori. Per me fu la molla per provare a portare a Udine questa sana e buona abitudine”. Ci furono riunioni e incontri, vennero coinvolti il comune e le associazioni di categoria, aderirono una ventina tra locali pubblici e alberghi. Canciani ha mantenuto l’entusiasmo iniziale e ricorda: “Ci chiamarono da mezzo mondo, per questa iniziativa, anche da Pechino”.

Ristoratori e albergatori con il passare del tempo sembrano essersi intiepiditi o raffreddati. Alla birreria Nuovo Fiore, ad esempio, è rimasto il bollino della campagna pro cellulari spenti. Ma è comparso anche quello del wi-fi libero. “Nessuno chiude più il telefonino – dice il gestore, Vincenzo Di Giorgio – anche perché in quattro anni la tecnologia è migliorata molto e gli smartphone servono per fare parecchie cose. In pochi abbassano il volume. Lo so, sembra una contraddizione. Da una parte si suggerisce di limitare l’uso dei cellulari, dall’altra forniamo il wi-fi. Abbiamo dovuto metterlo. Ce lo hanno chiesto i clienti”. Al ristorante al Vapore i nuovi gestori si sono sganciati dall’iniziativa. All’hotel Suit inn invece provano a non mollare, mantenendo un corner informativo e brochure e affidandosi alla sensibilità dei singoli.

Pensare alla salute
Per Canciani il divieto dei cellulari a tavola andrebbe rilanciato e imposto, estendendolo anche alle scuole.”Ci adegueremmo, come è successo per lo stop alle sigarette nei locali pubblici. Quando uscì la legge contro il fumo, sembrava dovesse scoppiare la rivoluzione. Non è successo e non succederebbe nemmeno per i telefonini. Il 3-5 per cento della popolazione è elettrosensibile e per questo soffre di ansietà, tachicardia, problemi cutanei”.

Siamo sicuri che abbiamo qualcosa da dirci?
Ariela Mortara, docente di Sociologia dei consumi allo Iulm di Milano, aggiunge una analisi non scontata: “L’uso dello smartphone ci ha preso la mano. La necessità di essere sempre connessi e la possibilità di condividere le esperienze con amici virtuali, piuttosto che con amici o commensali, talvolta ci spinge a comportamenti che pochi anni fa sarebbero stati definiti di grande maleducazione. Il tentativo di alcuni ristoratori di riportare la conversazione attorno al tavolo a una dimensione reale, costringendo o invitando i commensali a chiudere i loro cellulari in scatola, mi fa però un po’ sorridere. Se è vero che non è piacevole vedere una coppia di fidanzati passare il tempo a guardare lo schermo dello smartphone, invece che conversare fra loro, non credo che sia compito di un ristoratore riportare le persone a capire il valore delle relazioni personali. A volte – prosegue la sociologa – ho la sensazione che questi dispositivi colmino uno spazio che altrimenti sarebbe pieno solo di silenzi o di conversazioni forzate. Ci saranno certamente persone dipendenti dalla tecnologia e dalla iperconnessione – le ricerche ce lo confermano, il pericolo è incombente – ma ci sono anche individui che semplicemente non sanno che cosa dirsi quando si trovano attorno a un tavolo o che guardano il telefono, invece di leggere un libro o il giornale”.

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