C’è il seno che ci piace e consideriamo perfetto, e poi c’è il nostro che è sempre troppo: piccolo, grande, acerbo, floscio, eccedente, separato, congiunto, spompato. Perché siamo così (spesso) severe nel giudizio e (quasi) mai contente del nostro décolleté?

«Il seno è il simbolo della maternità e della seduzione, due elementi che nel nostro immaginario e nella nostra cultura si fa fatica a tenere insieme» dice Monica Morganti, psicanalista, autrice di Figlie di padri scomodi (Franco Angeli). Ovvero: l’eterno conflitto tra essere madonna o il suo opposto.

Uffa, ma è sempre colpa nostra?

«No. Per gli uomini questa parte del corpo è un biglietto da visita. Quando abbonda sei disponibile, se manca non sei interessata» nota l’esperta. «Lo sguardo così binario e semplificato, non di tutti ma di molti, ci costringe a prendere sempre una posizione sulla nostra sessualità, che ci stressa e ci ingabbia».

Generalizziamo? Almeno un po’ sì. Per Stefania, 43 anni, cooperante siciliana che lavora a Nairobi, è andata così: «A 10 anni portavo la quinta sotto il grembiule» racconta. «Gli uomini mi guardavano, anche solo con stupore, mentre a me interessavano le bambole. Solo ora, superati gli “anta” e con un fidanzato che adora soprattutto le mie gambe, comincio a far pace con il décolleté».

Storia simile, ma su taglia opposta, per Lina, romana, 37 anni, 2 gemelli di 10, allattati per 6 mesi con una seconda scarsa: «Al liceo mi chiamavano “la pialla”, mi ero convinta che non avrei mai conosciuto il sesso» confessa. «Non è andata così e a letto mi diverto parecchio. Ma da sempre, ogni giorno, quando abbottono la camicia vivo un attimo di infelicità».

Non è una paturnia solo in Italia. La fotografa Laura Dodsworth ha ritratto in Inghilterra il seno di 100 donne e le ha intervistate per il progetto Bare Reality, notando che da una tetta si può raccontare una vita, ma non sempre e non proprio un rapporto lineare e felice.

«Questa zona è sintomatica della nostra femminilità, è il suo succo, l’elemento più visibile, e spesso ci facciamo pace quando ci siamo accettate per le donne che siamo» nota Umberta Telfener, psicologa e autrice, tra gli altri, di Ho sposato un narciso (Castelvecchi). Aggiunge Giuseppina Torregrossa, scrittrice che esordì con il romanzo Il conto delle minne (Mondadori), dove “minne” sta per petto in siciliano: «Il seno varia di continuo, dall’adolescenza alla menopausa, persino di giorno in giorno seguendo il ciclo. Per non dire di quando irrompe un cancro, che provoca una modificazione brusca e irreversibile. La psiche, però, non sta dietro a questi terremoti e allora ci fissiamo a cambiare il corpo quando dovremmo pacificarci e cambiare la testa: accettandoci».

Ragionevole, ma per niente facile. Però farsi dei modelli aiuta.

Per le ragazze di prima (di reggiseno), Keira Knightley. Il 16 ottobre arriva il suo nuovo film Tutto può cambiare. Tranne il seno, aggiungiamo noi, visto che vuole tenerselo così com’è: piccolissimo. E si fa fotografare per la copertina del magazine Interview con pantaloni e guanti di pizzo, capelli bagnati, baldanzosa e sexy.

Gratitudine anche alla Cameron Diaz di Sex tape - Finiti in Rete, ora al cinema: sui pattini a rotelle, slip color fragola e canotta bianca senza reggipetto, ci ricorda che alcuni trucchi funzionano sempre. E la canotta trasparente lo è, a prescindere dalle misure. D’altronde è Cameron che in The body book, il suo libro mai tradotto in Italia, sostiene che le tette saranno sexy, ma non mettiamoci troppa ansia, in fondo servono solo per fare latte.

Una grande verità, ma non quello che ti viene in mente se guardi Rihanna plasmata dal velo di Swarovski trasparente o la cantante Rita Ora, nuda sotto la giacca maschile. Vedi loro, vedi te e provi a fartene una ragione. O dai la colpa alle stelle. Sul serio.

«Le coppe grandi sono tipiche dei segni di Terra e di Acqua, quelle piccole di Aria e Fuoco» svela la scrittrice Melissa Panarello, che sta per pubblicare un manuale di astrologia per Mondadori: «Io ho il seno piccolo perché ho Giove, la prosperità, opposto alla Luna» mi dice. «Lei è Bilancia? Florida sui fianchi, meno sul petto». Esatto.

E se non credi ai segni, ridici su leggendo Non sono quel tipo di ragazza (Sperling & Kupfer), l’autobiografia di Lena Dunham, regista e interprete della serie tv Girls, che spesso e volentieri ha mostrato il corpo nudo e imperfetto. Nel libro Lena racconta: «Interpretare scene di sesso dirette da me, mostrare immagini del mio strano capezzolo paffuto, non sono cose che rientrano nella mia definizione di terrore».

Sdrammatizziamo, appunto. Poi la regista ammette: «Ho ricordi umilianti, come il pelo nero e spesso che mi cresce sul capezzolo, notato grazie alle luci abbaglianti». E a chi non è successo? Grazie Lena, sei una di noi.

Se imparassimo ad accettare il nostro seno?

È il simbolo della seduzione e della maternità. Eppure fatichiamo ad andarci d’accordo. Ma il modo per migliorare questo rapporto c’è: farci pace e sdrammatizzare

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«Vediamo seni ovunque, ma sono irreali. Io mostro quelli veri, senza filtri». Così la fotografa Laura Dodsworth racconta il suo lavoro. Laura ha ritratto i décolleté di 100 donne: grandi, piccoli, giovani, vecchi, dopo la chirurgia estetica o un’operazione per cancro. Il progetto si chiama Bare Reality (www.barereality.net), realtà messa a nudo.

Imparare ad accettarsi serenamente è un traguardo che si raggiunge più facilmente se smettiamo di preoccuparci del giudizio altrui. Lavorare sulla propria autostima è necessario, puntando non alla perfezione ma alla valorizzazione di se stessi.

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