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Picasso lo avrebbe bruciato vivo e lui, Salvador Dalí, essendo un eretico, sarebbe stato contento. Dalí, invece, Picasso lo avrebbe rapito da Parigi e riportato in Spagna a forza, (almeno così aveva dichiarato in un’intervista, facendo andare su tutte le furie il grande Pablo). Picasso non è mai stato rapito e Dalí non è mai stato bruciato. È morto 21 anni fa di attacco cardiaco nella casa museo di Figueres, in Catalogna, ascoltando la sua opera lirica preferita, Tristano e Isotta di Richard Wagner. Ma il cuore di questo celebre maestro della pittura del 20esimo secolo, che possiamo ammirare in due mostre (una a Milano dal 22 settembre e una in Sardegna fino all’11), si era già spaccato nel 1982. In quell’anno, infatti, se ne era andata per sempre Gala, fedele compagna di tutta la vita e musa di tantissime sue opere.

Mostre, questo Dalì è uno scandalo (eppur ci piace)

Sbeffeggiava il padre, odiava il collega Picasso, conviveva con l’amante e dipingeva quadri blasfemi su Gesù. L’artista catalano era un uomo megalomane e provocatorio. Le sue opere, tuttavia, sono insuperabili. Correte ad ammirarle nella grande rassegna che sta per aprire a Milano

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Dalí e Gala sono stati la versione moderna dei due celebri amanti medievali Tristano e Isotta: hanno fatto scandalo e suscitato curiosità e un po’ di compassione. Dalí era nato nel 1904 a Figueres. Il padre, un notaio molto severo, aveva minacciato di diseredarlo per lo stile di vita e per un dipinto su Gesù intitolato Qualche volta sputo sul ritratto di mia madre per divertimento. Il figlio, sdegnato, gli aveva consegnato un preservativo pieno del proprio sperma, urlando: «Riprenditi questo! Ora non ti devo più nulla!».

Nella foto, La mano di Dalì.

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Egocentrico, l’artista catalano sapeva benissimo di avere il dono della pittura, possedendo un talento e una tecnica che facevano a gara con quelli dei maestri spagnoli del Seicento. Il suo Cestino di pane del 1926 è un piccolo capolavoro, ma ancora più incredibile è la versione del 1945: guardando il cestino sul tavolo, viene voglia di buttarsi per non farlo cadere per terra. Dalí si considerava, non a torto,  l’incarnazione stessa dell’arte surrealista. Non si sentiva inferiore a nessuno tanto che, a un certo punto, ha scritto: «Se al mondo ci fossero 9 milioni di Picasso, 10 milioni di Einstein e 12 milioni di Dalí, è molto probabile che la Terra sarebbe inabitabile».

Nella foto, Venere con tiretti.

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Nel 1934 l’artista catalano litiga con i surrealisti e scappa in America. Tornato in Europa, disegna cappelli, vestiti e tessuti per la casa di moda Schiapparelli. Franchista ma non nazista, quando i tedeschi cominciano ad avvicinarsi troppo alla Francia Gala ritorna negli Stati Uniti, dove rimane otto anni. Nel 1945 collabora con Alfred Hitchcock al film Io ti salverò, disegnando gli incubi di Gregory Peck, e Walt Disney lo fa lavorare a una sua animazione. Nel 1948 il fotografo Philippe Halsman scatta la famosa immagine del pittore sul cavalletto, con seggiole, acqua e gatti che volano attorno a lui. In Italia Dalí crea la scenografia e i costumi per Come vi piace di Shakespeare, per la regia di Luchino Visconti.

Nella foto, Smaterializzazione del naso di Nerone.

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A un certo punto diventa molto religioso e sposa Gala in chiesa, così  può andare a incontrare Giovanni XXIII in Vaticano (il Papa sicuramente  non sapeva della storia del preservativo né del fatto che Dalí era un  masturbatore professionista). Ma il momento cruciale della sua carriera è  il 17 novembre del 1964 quando, al centro della stazione di Perpignan,  in Francia, scopre la possibilità di dipingere a olio la terza  dimensione. In effetti, da quel momento in poi la sua pittura subisce  uno scatto interessantissimo e sperimentale. E la stazione ferroviaria  del paesino è il tema e il titolo di uno dei suoi capolavori (nella foto un particolare del dipinto), dipinto  nel 1965 e ora esposto al museo Ludwig di Colonia, in Germania.

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Come artista, Dalí rimarrà insuperabile. Come uomo, invece, con il passare degli anni inizierà a diventare una macchietta, cosa che non gli impedirà di rimanere una celebrità. La sua produzione esplode in grafiche, bronzi orribili e oggetti di tutti i tipi, esponendosi a speculazioni di ogni genere e chiaramente gettandosi fra le braccia del mercato dei falsi. Ma nonostante questo, nel 1979 il prestigioso Centro Pompidou di Parigi gli dedica una grande retrospettiva. Ancora oggi, insieme ai soliti Pablo Picasso, Edward Hopper, Andy Warhol e Jeff Koons, Dalí resta uno di quei nomi che fanno cassetta in tutti i musei del mondo. Non a caso Warhol ne era affascinato e Koons giovanissimo è partito in autobus dalla sua città, Pittsburgh in Pennsylvania, per andare a incontrare il suo idolo, Dalí appunto, che era in visita a New York.

Nella foto, una delle tele dedicate da Dalí alla Divina Commedia ed esposte fino all’11 settembre a Trinità d’Agultu, in Sardegna. Per informazioni, cliccare su http://collezioni.camuweb.it.

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La scultura dell’aragosta appesa al soffitto di Koons è ispirata al famoso telefono con la cornetta a forma di crostaceo disegnato dall’artista catalano nel 1938 (nella foto). La fortuna di Dalí è stata quella di avere il tempo di firmare capolavori prima che il marketing facesse capolino nel mondo dell’arte, rimanendo forse uno degli ultimi pittori moderni in cui il talento naturale e la maestria tecnica coincidono con una grandissima capacità intellettuale e concettuale. Quindi, con il senno di poi, si può dire che il povero babbo di questo genio sregolato avrebbe sicuramente meritato qualcosa di più che un semplice profilattico. Snervarsi perché il figlio sputava sul ritratto della madre, ovvero di sua moglie, era in fondo un suo diritto.

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