Marc Chagall

Chagall, in mostra a Mantova più di 130 opere

Dolce nei quadri, maschilista nel privato, l’artista russo Marc Chagall divenne così popolare a New York da finire su “Time”. «Merito di una pittura senza forza di gravità, spinta dal vento dell’immaginazione» dice il critico Bonami. Che ci guida alla grande mostra appena inaugurata

DIPINTI, ACQUERELLI, ILLUSTRAZIONI: 130 OPERE DI CHAGALL DA AMMIRARE

Durerà fino al 3 febbraio 2019 la mostra Marc Chagall, come nella pittura così nella poesia, che si è inaugurata il 5 settembre a Palazzo della Ragione di Mantova (www.chagallmantova.it). In esposizione oltre 130 opere, tra cui il ciclo completo dei 7 teleri dipinti dall’artista russo nel 1920 per il Teatro ebraico da camera di Mosca, con il capolavoro Introduzione al teatro ebraico (1920, nella foto sopra): è la più grande scena allegorica dipinta da Chagall, che tra musicisti, personaggi e danzatori si autoritrae in braccio al committente dell’opera.

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Marc Chagall

«M’interessa soltanto l’amore e sono in contatto esclusivamente con le cose che ci stanno attorno». Basterebbe questa frase per farci innamorare di Marc Chagall. Così come uno dei suoi ultimi dipinti del 1980, Il pittore e la sua fidanzata, dove 2 giovani personaggi tipo innamoratini di Peynet volano assieme a un cavallo abbracciati sopra una città che sembra essere Parigi. Il quadro non è bello come Sopra la città (in mostra a Palazzo della Ragione di Mantova fra 130 capolavori), finito nel 1918 a 31 anni, dove altri 2 innamorati volano sopra un villaggio russo con lo sguardo di chi è un po’ più preoccupato del proprio futuro.

Ma l’atmosfera dipinta da Chagall è sempre di sogno, anche agli inizi del 20esimo secolo, nonostante guerre, rivoluzioni e disastri di vario tipo. Si può allora proprio dire che l’artista sognasse, più che ad occhi, a pennelli aperti. Essere un visionario al tempo della rivoluzione russa o durante il nazismo poteva significare finire in un campo di lavoro per attività anti rivoluzionaria o in un campo di concentramento come pittore depravato ed ebreo. Ebreo Marc Chagall lo era, ma invece di essere depravato era fortunato.

Marc Chagall

In esilio perenne, Chagall viaggiava leggero anche con le sue fantasie

Nato nell’estate del 1887 in un paesino nella Bielorussia chiamato Liozna, vicino alla cittadina di Vitebsk, Marc Chagall è morto nel 1985 alla tenera età di 97 anni sulla Costa Azzura, ultimo dei grandi artisti che hanno fatto la storia dell’arte moderna: da Picasso a Miró, suoi vicini di bagno, con i quali però non andava artisticamente d’accordo. Troppo cubista Picasso, troppo astratto Miró. Al pittore ebreo piacevano le storie, le fiabe e sicuramente il teatro, come si vede dalla serie di dipinti in mostra, in particolare la fantastica tela Introduzione al teatro ebraico del 1920, che sembra un quadro di Tintoretto dipinto da Dario Fo. In realtà lo stile di Chagall è inconfondibile. Ebreo errante condannato dalla storia a un esilio perenne, era obbligato a viaggiare leggero anche con le sue fantasie. La leggerezza, infatti, è ciò che contraddistingue l’arte di Chagall: una pittura senza forza di gravità, spinta via dal vento dell’immaginazione.

Marc Chagall

Chagall ha sempre vissuto con la nostalgia del paesino dove era cresciuto

Dalla Russia alla Francia fino agli Stati Uniti per finire ancora in Francia, questo pittore ha sempre vissuto con la nostalgia del paesino dove era cresciuto e dove aveva sempre avuto desiderio di tornare. Dipingere la sua nostalgia è stato lo scopo della sua vita. A Vitebsk c’era tornato dopo un primo viaggio a Parigi nei primi anni ’20 e aveva aperto una scuola d’arte dove venivano a insegnare i suoi colleghi più famosi come Kazimir Malevich o El Lissitzky. Gente molto intellettuale e poco sognatrice. Gente alla quale più che le figure piaceva creare forme geometriche tipo il cerchio o il quadrato, più in tono con lo spirito rigidino di Lenin e compagni.

Dipingere figurine a quei tempi era pure rischioso. Così un bel giorno Chagall, disgustato dalla Rivoluzione, se ne torna a Parigi. Qui può dipingere quando e come gli pare. Intanto qualche anno prima si era sposato con la figlia di un ricco gioielliere, la signorina Bella Rosenfeld, mentre i suoi genitori erano povera gente: il padre venditore di aringhe, la madre commerciante di generi alimentari, entrambi molto religiosi e frequentatori assidui della sinagoga locale. Non a caso la passione di Chagall era la Bibbia. Se fosse nato al tempo di Abramo, avrebbe potuto fare le campagne pubblicitarie per la vendita porta a porta del Vecchio Testamento. Ogni sua tela è sempre sia una preghiera sia una piccola poesia.

Il soggetto preferito di Chagall era il suonatore di violino: divenne un musical

Quando arrivò la guerra e i nazisti invasero la Francia, tutti gli artisti se la diedero a gambe levate, mentre il nostro pittore continuava a rimanere un sognatore rischiando di essere messo su un vagone per Auschwitz. Fu salvato dal direttore del Museo di Arte Moderna di New York Alfred Barr, che adorava la sua pittura e gli procurò un visto per gli Stati Uniti, evitando a lui e alla moglie Bella una brutta fine.

A New York tanti già conoscevano l’arte di Chagall, che presto si fece strada anche come geniale scenografo teatrale. Al punto che molti anni dopo uno dei suoi soggetti preferiti, il suonatore di violino sul tetto (a Mantova è esposta la tela Musica, del 1920, che ne ritrae uno), diventò un musical di tale ed enorme successo che nel 1965 la rivista Time dedicò la copertina proprio al pittore russo. Dolce nel dipingere, come molti artisti di quel tempo era invece un grezzo maschilista nella vita familiare, trattando la moglie come una pezza da piedi.

Ma all’epoca il #MeToo non esisteva e così i suoi difetti personali si sono dissolti nelle nuvole con persone e animali che volteggiano nei cieli blu sopra i tetti del suo adorato e ideale villaggio ebraico. Le sue immagini a metà fra il fumetto, le illustrazioni per bambini e l’arte naïf lo hanno fatto diventare uno dei nomi più popolari della storia dell’arte. Assomigliava a uno dei fratelli Marx, con la differenza che delle risate lui, con il suo pennello, ha sempre preferito strappare allo spettatore un semplice sorriso.

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