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Emicrania cronica: i nuovi farmaci

Per chi soffre di emicrania cronica arrivano nuovi farmaci. Tre sono già disponibili e un quarto è in arrivo. Potrebbero essere i primi che riescono a intervenire sulle cause e non solo sul dolore. Ecco come si assumono e chi potrà prescriverli 

Attacchi così dolorosi da non riuscire ad alzarsi dal letto, lavori lasciati a metà con l’unico desiderio di stare in una stanza al buio, weekend rimandati per il terrore di una crisi. Eccola, la vita di chi soffre di emicrania, soprattutto donne, disturbo sottovalutato perché ritenuto “solo mal di testa”. Ma ora non più.

L’emicrania cronica è una malattia sociale

Il 16 luglio scorso è stato approvato un decreto legge che prevede il riconoscimento di malattia sociale per i casi di cefalea. È un primo passo. «Ora aspettiamo l’inserimento della malattia nei Lea, i Livelli essenziali di assistenza» spiega Piero Barbanti, responsabile dell’unità per la Cura e la ricerca su cefalee e dolore del San Raffaele Pisana di Roma e presidente eletto della Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee. «Questo significa, ad esempio, poter fruire di riconoscimenti medico-legali come l’invalidità, su tutto il territorio e non solo in pochissime Regioni, come purtroppo è avvenuto finora». Un bel cambiamento che speriamo diventi presto realtà, anche perché sono appena arrivati farmaci innovativi che finalmente possono migliorare la vita di chi soffre di emicrania. 

I nuovi farmaci agiscono sulla causa

Sono medicinali veramente rivoluzionari? «Sicuramente rappresentano una svolta perché, per la prima volta, agiscono sulla causa dell’emicrania. Sono quattro: tre sono appena stati approvati dall’Aifa, l’ente italiano del farmaco e sono già disponibili, mentre il quarto è in arrivo. Fanno parte della famiglia degli anticorpi monoclonali e, con azioni diverse, riescono a “disattivare” il CGRP. Questa sostanza è presente nel cervello e gioca un ruolo cruciale nello scatenamento del meccanismo che genera il dolore e i sintomi dell’attacco emicranico. Gli studi hanno dimostrato che, dopo 3 mesi di trattamento, i giorni di emicrania si riducono di almeno il 50% in sei pazienti su dieci e del 75% in due su dieci. C’è infine una piccola percentuale che migliora del 100%, vale a dire non ha più attacchi. Tutte queste molecole si assumono ogni 30 o 90 giorni a seconda dei casi: sono pressoché prive di effetti collaterali e simili come azione ma non uguali. Sta allo specialista individuare quella giusta per il singolo caso. I tre farmaci già disponibili si assumono a casa con un’autoiniezione, mentre quello in arrivo va preso in ospedale. C’è attesa infine anche per Atogepant, che sarà disponibile in futuro e allargherà il ventaglio delle possibilità di cura. Non è un anticorpo monoclonale e si assume per via orale tutti i giorni». 

I nuovi farmaci sono per chi non risponde ad altre cure

Ci sono malati però che non riescono ad avere la prescrizione degli anti-corpi monoclonali, come mai? «Perché non sono prescrivibili a tutti, ma a chi ha almeno otto giorni al mese di emicrania, documentata disabilità e mancata risposta ad almeno tre trattamenti preventivi. Ora le singole Regioni devono decidere quali saranno i Centri cefalee che potranno prescrivere il farmaco e secondo le previsioni, la gestione sarà operativa da ottobre». 

La dieta anti-emicrania

Si parla sempre di più di una dieta particolare, la chetogenica, che aiuterebbe a spegnere gli attacchi. «Quella delle diete mirate è una delle più antiche strategie per la cura dell’emicrania. L’obiettivo è il calo del peso, perché le cellule adipose mettono in circolo sostanze con azione infiammatoria che aumentano il rischio di crisi emicraniche. La chetogenica in particolare ha un potente effetto, tanto che già nell’arco di 3-4 giorni si ottiene un miglioramento delle crisi ma bisogna rivolgersi a un Centro cefalee (www.anircef.it) e va sempre valutata e gestita con lo specialista. In generale, avere una dieta varia aiuta a mantenere in salute il microbiota completo, e ad abbassare l’infiammazione». 

Ma non si è sempre detto che chi soffre di mal di testa deve evitare i cibi capaci di scatenare gli attacchi? «Questa è una grande leggenda metropolitana, che ha penalizzato generazioni di pazienti. E non esiste una sola ricerca che abbia confermato la capacità degli alimenti di scatenare l’emicrania. Neppure per quanto riguarda il cioccolato, da sempre il grande imputato. L’unico è il vino, che può scatenare un attacco nel 20-50% dei casi, ma anche qui, forse dipende dal tasso alcolico raggiunto». 

I sintomi dell’emicrania cronica

«Di emicrania non si muore, anche se durante le crisi più acute ci si rammarica che non sia così, ma neanche si vive» racconta Antonella De Alessandri che ne soffre da anni. «Non si può più fare un programma, non ci si azzarda ad accettare un invito a cena, per non parlare di un fine settimana o un viaggio, anche a breve distanza». Nella sua esperienza di emicranica primaria cronica, l’aspetto più frustrante è stato il mancato riconoscimento della patologia come malattia. «Chi non ha avuto modo di conoscere da vicino i suoi risvolti invalidanti, ha difficoltà a comprendere quanto i dolori possano essere lancinanti. Ti ritrovi costretta a letto, al buio, nel silenzio più totale, ti sembra che il cervello si gonfi a dismisura, che la pelle scoppi al minimo sfioramento, che il braccio dal lato colpito non si possa più alzare, insomma sei in un buco nero da cui sembri non potere mai più uscire. Poi, quando l’attacco finisce (a volte dura tre giorni consecutivi, per ricominciare il giorno dopo per altri tre giorni, all’infinito) rinasci e ti senti la gioia di vivere». Dopo avere peregrinato invano da un centro cefalee all’altro, da qualche mese Antonella è in cura presso un neurologo dell’ospedale San Raffaele di Milano e poco alla volta si sta riappropriando della sua vita, grazie a profilassi personalizzate. «Se anche queste non dovessero funzionare, verrò inserita nella sperimentazione dei nuovi farmaci monoclonali»

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