Protesi mammarie e linfoma: non c’è correlazione

Il ministero della salute ha deciso di non ritirare dal commercio le protesi mammarie'ruvide': non è dimostratata la correlazione con linfoma

Linfoma e protesi mammarie non sono collegati

“Sono d'accordo" con la decisione presa dal ministero della Salute di non ritirare dal commercio le protesi mammarie testurizzate, quelle 'ruvide' “perché il linfoma riscontrato in pazienti portatrici non è una patologia direttamente collegabile a queste protesi, ma è conseguenza di uno stato infiammatorio cronico che può manifestarsi in casi rari, se non eccezionali, sia a livello del seno, ma anche ad esempio delle vie biliari o del fegato, quando si ha una epatite cronica".

Così Nicolò Scuderi, docente di Chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica all'università Sapienza di Roma e presidente della Conferenza italiana per la riparazione dei tessuti, commenta la comunicazione del ministero della Salute, che ha ritenuto “alla luce del parere fornito dal Consiglio superiore di sanità (Css)”, che "non si ravvedono motivazioni sufficienti per raccomandare il ritiro dalla disponibilità commerciale delle protesi testurizzate" e che "non si pone indicazione alla rimozione della protesi liscia o testurizzata in assenza di sospetto clinico di Bia-Alcl".

Il parere del Css aveva fatto seguito alla richiesta pervenuta dal ministro della Salute dopo il ritiro delle protesi mammarie testurizzate da parte dell’Autorità francese, nonché di un primo caso italiano di decesso per Linfoma anaplastico a grandi cellule in paziente impiantata con protesi mammarie testurizzate.

“I casi segnalati – ricorda Scuderi – sono attualmente circa 200 su 20 milioni di protesi impiantate nel mondo. Parliamo di percentuali bassissime. E, tra l'altro, nella maggioranza correlate a protesi testurizzate, ma non per forza perché legate a esse, bensì a uno stato di infiammazione cronica. Questo linfoma, inoltre, dà luogo a segni clinici precoci, è trattabile e ha un decorso normalmente benigno: quindi credo che sia la Fda americana sia il Consiglio superiore di sanità italiano abbiano ritenuto correttamente che sarebbe stato un allarme eccessivo pensare di vietare e magari espiantare un milione di protesi solo in Italia, per prevenire, in proporzione, un potenziale caso, che sarebbe comunque trattabile”.

“Condivido la decisione, quindi, in attesa di vedere se questi dati saranno confermati, come d'altronde già sembra. Tutte le società scientifiche sono allertate. Solo le donne portatrici di protesi che abbiamo manifestazioni sospette e fastidi devono farsi controllare", conclude.

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