Terapia sottocutanea per il tumore al seno

Un approccio giudicato meno invasivo per contrastare il tumore al seno e promosso dalle donne, che in questo modo si sentono meno malate. E’ la terapia sottocutanea per la cura del cancro al seno Her2+, secondo una recente indagine dell’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda), condotta da Elma Research con il contributo incondizionato di Roche.
Una fotografia scattata in 11 Centri di senologia selezionati in tutta Italia su un campione di 101 donne a cui è stato asportato il tumore.

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Dopo l’intervento, il 91% delle intervistate ha dichiarato di essersi sottoposta ad almeno una terapia endovenosa e il 73% ad almeno una terapia sottocutanea nella propria storia di malattia, e per chi ha provato quest’ultima la percezione è ottima: viene considerata meno invasiva, più favorevole per una buona qualità di vita, utile per risparmiare tempo, comoda per l’ospedale e il personale sanitario.
La terapia sottocutanea permette alle donne meno rinunce dal punto di vista sociale, familiare e lavorativo, trascorrendo in Day hospital la metà del tempo rispetto alle pazienti in terapia endovenosa (2-3 ore contro una media di 5 per l’endovenosa).
I tempi di somministrazione della terapia si riducono ancora più drasticamente: 12 minuti per la sottocutanea, contro i 145 per l’endovenosa. Dall’indagine emerge poi che solo una donna su 10 che si reca in ospedale per la somministrazione della terapia endovenosa lo fa in autonomia, mentre chi si sottopone a terapia sottocutanea nel 39% dei casi è indipendente; questo si traduce in un impatto più limitato della malattia della donna sui caregiver. Le donne sottoposte a terapia sottocutanea ritengono che il tempo dedicato al trattamento abbia imposto meno rinunce, rispetto a chi ha fatto la terapia endovenosa: solo il 23% dice di aver trascurato aspetti della vita familiare e il 20% lati della vita relazionale e sociale, rispetto al 42% e al 33% delle pazienti che hanno fatto cure per via endovenosa; con la terapia sottocutanea solo il 12% ha dovuto compromettere lavoro o studio, contro il 28% dell’endovenosa, e il 57% di loro ritiene di non aver dovuto fare alcun tipo di rinuncia. 

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Una donna su 5 ha dichiarato di aver dovuto rinunciare al lavoro a causa della malattia, e il 38% di queste ha preso questa decisione proprio a causa del tempo richiesto dalla terapia endovenosa. Conferme dei benefici della terapia sottocutanea arrivano anche dal progetto “Scuba” (Subcutaneous Benefit Analysis), realizzato da Bip (Business Integration Partners) con il sostegno di Roche, che mira ad analizzare tutti i benefici e i costi differenziali relativi alle diverse formulazioni, sottocutanea e endovena, dei farmaci trastuzumab e rituximab rispettivamente indicati per il carcinoma mammario Her2+ adiuvante e metastatico e il linfoma diffuso a grandi cellule B e il linfoma follicolare.
“Dallo studio, che ha coinvolto 49 enti per un totale di 69 Day-Hospital in tutta Italia – spiega Daniele Generali, direttore Uo multidisciplinare di Patologia mammaria e Ricerca traslazionale, Asst Cremona – è emerso che, con l’attuale quota di utilizzo di trastuzumab sottocutaneo al 51%, il risparmio ottenuto in Italia rispetto all’era della sola terapia endovena è di 9 milioni di euro, che potrebbero arrivare a 14,7 milioni con l’aumento della quota di somministrazione di trastuzumab sottocute al tasso massimo di pazienti trattabili dell’84% del totale”.

“Inoltre – conclude l’esperto – l’uso delle nuove formulazioni genera una diminuzione complessiva dell’indice di rischio clinico del 70%. In particolare, il loro utilizzo porta all’eliminazione di attività rischiose come il calcolo del dosaggio e la preparazione e la gestione delle sacche e vengono inoltre a mancare i possibili effetti avversi da infusione, come le occlusioni dell’accesso venoso e le infezioni del sito di accesso”