Coronavirus: come si cura con i farmaci

Eparina, plasma iperimmune, ma anche antivirali: il punto sulle terapie farmacologiche, in attesa di un vaccino

Dopo oltre due mesi di cure negli ospedali, la raccolta e analisi dei dati ha fornito le prime informazioni utili sulle cure più efficaci contro il coronavirus. In attesa di un vaccino, che sarà fondamentale per fornire una copertura di base alla popolazione mondiale, prosegue la ricerca di una terapia per trattare la malattia che nel frattempo non è scomparsa, anzi. Presumibilmente potrebbe continuare a colpire, perché il virus potrebbe modificarsi e dare vita a nuovi ceppi non coperti dalla vaccinazione. Quali sono i farmaci che sono sperimentati al momento e quali risultano i più efficaci?

I tentativi fatti finora

I primi interventi sono stati a base di antivirali e antinfiammatori, poi si sono aggiunte le sperimentazioni con farmaci utilizzati in passato per curare l’ebola o attualmente in uso come antireumatici. Di recente si è aggiunta anche l’eparina nella cura dei pazienti COVID-19. Tanti tentativi alla ricerca del medicinale più efficace: «All’inizio si è proceduto con un metodo empirico, non avendo una conoscenza sufficiente del coronavirus e delle possibili implicazioni del COVID-19. Finora si è seguito soprattutto l’approccio compassionevole, cioè l’uso di farmaci già esistenti e approvati per altre patologie, somministrati però anche ai pazienti COVID più gravi» premette Andrea Crisanti, virologo e direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova. «Questo ha avuto il vantaggio di poterli usare subito su ammalati che non rispondevano ad altre terapie. Contemporaneamente, però, sono stati avviati studi specifici sull’efficacia. Stanno per arrivare i primi risultati, come nel caso della immunoterapia con il plasma. È chiaro che anche le analisi hanno seguito criteri di scientificità differenti rispetto alla norma, per questione di tempo, ma anche di numeri: il valore statistico è diverso rispetto a quello degli studi scientifici tradizionali sui medicinali approvati dai comitati etico-scientifici. Ma si tratta pur sempre di lavori importanti nati in un momento di emergenza» spiega l’esperto.

Qual è la cura più efficace oggi

«Ad oggi la soluzione più affidabile sembra l’immunoterapia, dunque le infusioni di plasma iperimmune da pazienti guariti da COVID-19 in soggetti che presentano la malattia. Ha, però, alcuni limiti, come il fatto di non poter essere somministrata a tutti i malati. Occorrono una compatibilità di gruppo sanguigno e laboratori in grado di selezionare il plasma adatto, perché si tratta di una procedura complessa, non alla portata di tutte le strutture. Non basta, inoltre, che una persona sia guarita perché abbia gli anticorpi immunizzanti o in quantità adeguata. Infine, c’è un problema di costi: questa terapia richiede un certo investimento, come altre in sperimentazione» spiega Crisanti.

L’antivirale Remdesivir (usato per Ebola)

Di recente sono arrivate buone notizie dalla sperimentazione dell’antivirale Remdesivir (utilizzato in passato per l’Ebola, ma risultato inefficace contro quella malattia). La Food and Drug Administration, l’ente di controllo americano sui farmaci, ne ha dato il via libera all’uso «con procedura d’urgenza» dopo che anche Anthony Fauci, noto virologo e consigliere della Casa Bianca per l’emergenza coronavirus, ha spiegato che abbrevia i tempi di guarigione (da 15 giorni a 10 circa), pur sottolineando come non sia “la soluzione definitiva”. Anche in 19 ospedali italiani, compreso il San Martino di Genova (dove Matteo Bassetti, primario di Malattie infettive ne sostiene l’efficacia) è partito il trial Solidarity, uno studio per la sperimentazione del Remdesivir voluto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. «Viene utilizzato solo in pazienti critici per evitare che peggiorino le condizioni e si debba ricorrere alla rianimazione. Ha una finestra d’azione molto ristretta: è attivo solo in un certo arco di tempo. Viene somministrato in via compassionevole anche in Italia, a soggetti in condizioni semi-critiche» spiega Crisanti, che collabora anche con l’Imperial College di Londra.

L’idrossiclorochina (antimalarico)

Le speranze nutrite in un primo tempo con l’uso dell’idrossiclorochina, comunemente utilizzato nel trattamento della malaria, si stanno raffreddando, dopo l’esito dei più recenti test clinici. «Ci sono molti dubbi sulla reale efficacia: qualcuno sostiene che funzioni, altri no, ma in questa fase si continua a somministrare» spiega Cristanti, che aggiunge: «La sua azione va a diminuire la capacità del virus di maturare nelle cellule e proliferare». Come spiegato dall’Istituto Superiore di Sanità, è stato sperimentato anche come farmaco contro l’HIV. Adesso è somministrato anche in alcuni ospedali italiani, come a Piacenza nel Reparto di ematologia (con risultati positivi). Per risultare efficace va però impiegato in una fase iniziale della malattia e ad alto dosaggio, dunque aumentando il rischio di reazioni avverse.

L’antireumatico usato a Napoli

È dall’ospedale Federico II di Napoli che è partita la sperimentazione sul Tocilizumab, un farmaco utilizzato per l’artrite reumatoide, con risultati incoraggianti. Impiegato anche nel trattamento di infiammazioni gravi ai grossi vasi sanguigni, sembra sia in grado di ridurre le infiammazioni stesse legate al COVID-19.

Eparina

Col passare delle settimane lo studio dei casi ha portato ad allargare le possibili conseguenze del virus: alla polmonite interstiziale laterale si è aggiunta la formazione di microtromboembolie, soprattutto a carico dei polmoni. Per questo nelle cure viene impiegata anche l’eparina, che è un anticoagulante comunemente in uso. «Gli studi condotti finora hanno mostrato in molti casi un’alterazione della coagulazione. Là dove si è utilizzata l’eparina, c’è stata una riduzione sensibile della mortalità. Il problema riguarda solo il valore statistico, perché i numeri finora non sono sufficienti a stabilire con sicurezza la validità del protocollo» conferma Crisanti.

Antibiotici

Infine, anche gli antibiotici sono entrati nei protocolli di cura. Questo tipo di farmaci è risultato unanimemente efficace, in particolare nei casi di polmonite e per evitare le cosiddette super-infezioni.

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