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Ecotassa: come funziona? Bonus o stangata?

Il Governo modifica incentivi per le auto green e penalizzazioni per quelle più inquinanti. Previsti incentivi anche per i motorini elettrici. Ma quanto costano, dove e come si ricaricano i veicoli elettrici?

Dopo le polemiche, il Governo ha modificato il sistema di bonus-malus per promuovere i veicoli elettrici e penalizzare quelli più inquinanti. La manovra finanziaria prevede, infatti, un incentivo (fino a 6.000 euro) se si acquista un’auto a basse emissioni di anidride carbonica, tassando invece coloro che opteranno per vetture più inquinanti (sempre fino a 6.000), ma solo per vetture di grossa cilindrata, per evitare la stangata sulle utilitarie che aveva scatenato le proteste di automobilisti e produttori del settore. A far discutere era il “caso Panda”, insieme ai limiti oggettivi nella possibilità di ricaricare le auto elettriche: mancano colonnine in autostrada, mentre quelle a casa o in azienda sono troppo poche o costose.

Ecco come è cambiata l’ecotassa, contenuta nella manovra finanziaria.

Ecotassa: quanto si pagherà?

L’emendamento del governo ha modificato importi e aventi diritti agli incentivi, così come il parco auto che è interessato dall’ecotassa. Rispetto alla prima versione si riducono gli incentivi previsti solo per elettrico e ibrido. Nel primo caso, se si rottamano veicoli euro 0, 1, 2, 3, 4 il contributo sarà pari a 6.000 euro, che scendono invece a 4.000 euro senza rottamazione. Per l’ibrido gli incentivi saranno di 4.000 euro (con rottamazione e per emissioni emissioni tra 21 e 70,) e di 1.500 euro senza rottamazione.

In caso di acquisto di una vettura “più inquinante”, invece, il provvedimento prevede un’imposta crescente da 1.100 a 2.500 euro, a partire dal 1° marzo 2019, ma solo per le cilindrate più grosse, salvando di fatto le utilitarie.

Incentivi per i motorini

Un’altra novità rispetto alla prima bozza consiste in un contributo per l’acquisto di motorini elettrici. Si tratta di un importo fino a 3.000 euro, anche per un mezzo a due ruote ibrido. Un incentivo analogo (fino al 30%) è esteso anche a chi rottamerà una moto di cilindrata inferiore o superiore ai 50 cc per acquistare un veicolo non inquinante della stessa categoria.

Nonostante le modifiche, però, restano dubbi da parte di produttori e concessionari automobilistici.

Il bonus-malus

“Il meccanismo del bonus-malus non serve a incentivare il rinnovo del vecchio parco auto, più inquinante, al contrario lo rallenta e ritarda” spiega a Donna Moderna il presidente di Federauto, Adolfo De Stefani Cosentino. “L’attuale parco vetture in Italia è costituito per il 75% (ossia 25 milioni di auto su 37 milioni) da auto Euro 4,3, 2, 1 o zero, quindi più inquinanti. Se noi avessimo soltanto Euro 6 il problema dell’inquinamento sarebbe risolto. Mettendo il malus, quindi una penalizzazione a chi immatricola auto non ibride o elettriche, riduciamo e ritardiamo il rinnovo dei veicoli circolanti” spiega il presidente della Federazione che raggruppa le concessionarie di auto.

Ma il bonus non dovrebbe servire a promuovere nuovi acquisti? “Piuttosto sarebbe meglio destinare gli stessi investimenti al potenziamento delle infrastrutture: la gente sarebbe più invogliata a comprare vetture ibride o elettriche se sapesse di poter contare su una rete di rifornimenti, quindi di colonnine di ricarica. Sarebbe meglio investire fondi per la defiscalizzazione per il montaggio di centraline ovunque: davanti ai supermercati, nelle sedi dei posti di lavoro, a casa o nei parcheggi privati. Solo così potremmo diffondere questi veicoli meno inquinanti” conclude il presidente di Federauto, De Stefano Cosentino.

Come e dove si ricaricano le auto elettriche?

A prescindere dall’utilità della tassa, resta il nodo dei limiti delle auto elettriche, in particolare nelle ricariche. Al momento i modelli circolanti sono utilizzati soprattutto per brevi tragitti, come casa-lavoro, in particolare da aziende che mettono a disposizione colonnine di ricarica nella propria sede. I modelli in circolazione, infatti, non consentono di percorrere lunghe distanze. In Italia, poi, c’è il paradosso che non esistono stazioni di ricarica lungo la rete autostradale, ma occorre uscire dall’autostrada per raggiungere le piazzole esistenti, per poi rientrare in autostrada nuovamente. A confermarlo è anche Bianca Cherubini, responsabile organizzazione e relazioni esterne di Motus-e, associazione italiana che promuove la mobilità elettrica: “La rete delle infrastrutture in questo momento è in espansione, ma mancano colonnine di ricarica all’interno delle autostrade. L’obiettivo, comunque, è quello di aumentare il numero di centraline e di operatori. Per questo, oltre a sollecitare un intervento a supporto delle infrastrutture, abbiamo messo a punto un vademecum, scaricabile gratuitamente (www.motus-e.org) per orientare e supportare nelle procedure burocratiche chi è intenzionato a installare strutture di ricarica” spiega Cherubini.

“La concentrazione maggiore di colonnine è al centro-nord e in zone più elettrificate, ma l’obiettivo è quello di avere una copertura omogenea sul territorio. Nello specifico si trovano accanto a punti di interesse, come centri commerciali o località turistiche, ma anche parcheggi di interscambio o in prossimità di sedi di enti pubblici” dice Cherubini.

Enel X Mobility, la branchia dell’azienda specializzata in soluzioni innovative per la mobilità, ha di recente siglato un accordo con la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) per un finanziamento decennale da 115 milioni di euro per sviluppare una rete nazionale di punti di ricarica, che conti entro il 2020 su 7.000 colonnine (dunque 14.000 punti di ricarica), destinate a raddoppiare entro il 2022.

Il wallbox a casa

Qualche difficoltà maggiore, intanto, si riscontra nell’ambito privato, come nel caso delle colonnine che si vogliano installare a casa, in garage condominiali o in un parcheggio privato. Secondo gli operatori occorre favorire anche l’installazione di prese di ricarica nelle abitazioni, le cosiddette wallbox. Si possono realizzare nei garage e nei posti auto privati, ma in molti casi sono postazioni soggette alla tariffa “altri usi”, molto più onerosa rispetto a quella domestica. “Uno dei tavoli di lavoro ai quali stiamo lavorando riguarda proprio questo aspetto: al momento c’è una diversificazione nella tariffazione domestica, quella del contatore principale di casa, e quella “per altri usi”, ossia quella a cui fa riferimento solitamente l’utenza del box. Stiamo lavorando perché si possa in breve ridefinire la struttura tariffaria, equiparandola” conferma Cherubini.

Un’ulteriore complicazione riguarda le norme previste in caso di installazione di una colonnina in ambito domestico: esistono una serie di parametri complessi che riguardano la sicurezza antincendio, oltre al fatto che per installarle bisogna effettuare lavori piuttosto invasivi per i cablaggi.

Le polemiche sul “caso Panda”

Ad animare le polemiche, intanto, era stato il “caso Panda”. Subito dopo la presentazione dell’emendamento sull’ecotassa, infatti, si era discusso sul fatto che questa avrebbe penalizzato proprio gli acquirenti di vetture di piccola e media cilindrata, delle quali la Panda è emblema. Come spiegato dall’Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, la Panda 1.2 (che esce dagli stabilimenti italiani di Pomigliano, in Campania), rientra nella categoria delle auto che verrebbero tassate, nonostante abbia emissioni di CO2 molto basse in quanto Euro 6. Gli acquirenti si sarebbero trovati a pagare una tassa di circa 300 euro, per un veicolo non ibrido. Di fronte a questa osservazione, il sottosegretario all’Economia, Laura Castelli, aveva risposto suggerendo di comprare vettura di cilindrata inferiore (“una Panda 1.000”), senza tener conto che questo modello non esiste: l’unica esistente con cilindrata inferiore è la 900 Turbo, che però costa dai 16.000 euro in su, contro gli 11.390 euro della Panda 1.2.

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