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Le esodate di Opzione donna

Dopo 18 anni i requisiti di Opzione donna sono cambiati. Risultato: per 20.000 lavoratrici la pensione anticipata, più che un’opportunità, è oggi solo un miraggio. Per questo si sono riunite in un Comitato. E chiedono al governo di intervenire

Nasce il Comitato Opzione donna social

«Non sono più una lavoratrice, non sono ancora una donna in pensione. Ogni mattina, quindi, mi chiedo: cosa sono? E la triste verità è che, dopo una vita passata a farmi in quattro tra lavoro e famiglia, oggi sono solo un’esodata». Stefania, un tempo responsabile delle risorse umane di una grande multinazionale, adesso fa parte del Comitato Opzione Donna Social, sceso in piazza più volte negli ultimi 2 mesi per chiedere al governo di riportare Opzione Donna alla sua versione originaria. Come lei, in 11.000 si sono iscritte al Comitato, definendosi le “esodate di Opzione Donna”.

Opzione donna è stata stravolta

«Era in vigore da 18 anni. Ed era nel programma elettorale di tutti i partiti candidati alle politiche del 25 settembre» continua Stefania. «Così ho lasciato il lavoro. Avendo avuto problemi di salute negli ultimi anni, gli stessi medici mi consigliavano di fermarmi. Poi il governo ha stravolto Opzione Donna e oggi non ho più i requisiti. Fino al prossimo anno potrò contare sull’indennità mensile di disoccupazione che poi, però, scadrà. A quel punto avrò 61 anni e nessun introito economico fino ai 67, età in cui andrò in pensione di vecchiaia nel modo ordinario. Dal prossimo anno, insomma, avremo solo la pensione di mio marito: 1.700 euro per noi due. E dovrà bastarci».

Ora le donne non andranno in pensione a 58 anni

Fino alla fine del 2022, con la versione originale di Opzione Donna – introdotta nel 2004 dal secondo governo Berlusconi – le lavoratrici, dipendenti e autonome, potevano decidere di andare in pensione a partire dai 58 anni di età e 35 di contributi. A scegliere questa opportunità, l’anno scorso, erano state in 23.812, con una spesa per lo Stato di 111 milioni di euro. La Cgil quest’anno prevede appena 870 uscite; il governo ne stima circa 3.000, per 21 milioni di euro di spesa pubblica. Un grande risparmio per lo Stato. Un danno incalcolabile per le donne. Che i dati esatti siano quelli del governo o quelli dei sindacati, resta il fatto che, nel 2023, ci saranno almeno 20.000 pensionate in meno rispetto allo scorso anno.

I criteri di Opzione donna 2023

«Opzione Donna è sempre stata una misura martoriata, di anno in anno abbiamo dovuto lottare perché venisse riconfermata» racconta Orietta Armiliato, fondatrice del Comitato. «Ma i criteri introdotti con la manovra 2023 sono addirittura offensivi». Vediamoli, dunque, questi nuovi requisiti, che devono essere stati maturati al 31 dicembre 2022. L’attuale versione della misura vale solo per le caregiver, per le portatrici di invalidità al 74% e per le lavoratrici licenziate da aziende che hanno un tavolo di crisi aperto al ministero dello Sviluppo economico. Bisogna poi avere almeno 35 anni di contributi, come nella versione precedente. A quel punto, si può andare in pensione anticipata a 60 anni. L’età può abbassarsi a 59 anni se si ha un figlio, e a 58 se i figli sono 2. Per tutte le donne coinvolte, la pensione viene ricalcolata con il sistema contributivo (ovvero proporzionale ai contributi previdenziali versati nel corso di tutta la vita lavorativa), a differenza della precedente versione che prevedeva un calcolo misto tra contributivo e retributivo (basato sugli ultimi stipendi, solitamente più alti), più conveniente. Oggi, infatti, il taglio dell’assegno può arrivare al 30%.

La dura vita a 59 anni

«Avrei percepito solo 800 euro con Opzione Donna. Certo, sarebbe stato poco. Ma dopo una lunga riflessione avevo capito che sarebbe andata bene così. Nella vita c’è anche altro, oltre ai soldi e al lavoro» dice Emanuela. «Per fortuna, non mi ero ancora licenziata, quindi ho uno stipendio. Non so però quanto potrò reggere» continua. Emanuela, 59 anni, nessun figlio e non per scelta, è una impiegata monoreddito con due genitori malati di cui prendersi cura. Nessuno dei due, però, ha diritto alle agevolazioni garantite dalla legge 104, quella per l’accertamento degli handicap e così, tecnicamente, Emanuela non è una caregiver. «Eppure mia madre non cammina bene, ha problemi di cuore, dolori continui» si sfoga. «Io impiego 10 ore per il lavoro, considerando anche il tragitto. Corro da mattina a sera, faccio la spesa per cucinare ai miei genitori qualcosa di decente, preparo le medicine, li lavo, li metto a letto. Solo verso le 23 è il mio turno di fare una doccia calda e poi andare a dormire. Ma, se continua così, finirà che i miei genitori li precederò in paradiso».

Opzione donna: verso una mini proroga?

Storie come questa, tra le componenti del Comitato, sono all’ordine del giorno. Angela, 58 anni di età e 39 di contributi, ha anche lei una famiglia sulle spalle e, per quanto ami il suo lavoro da ricercatrice chimica, aveva scommesso tutto su Opzione Donna e sul fatto che con l’arrivo di una donna a Palazzo Chigi la cura quotidiana della famiglia – che spesso ricade quasi esclusivamente sulle donne, anche se così non dovrebbe essere – sarebbe stata presa in considerazione. «Oltre al danno» commenta «per me è una beffa. Perché qui, a essere artefici di questo cambiamento disastroso, sono proprio due donne: Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e Martina Calderone, ministro del Lavoro. E un accanimento così, da parte di due donne contro migliaia di altre donne, non me lo aspettavo. Sappiamo che stanno lavorando a una riforma pensionistica complessiva, ma ci vorrà tempo. Intanto, noi vogliamo che Opzione Donna torni quella che era». Per il momento, il governo valuta una mini-proroga per consentire a chi ha raggiunto i requisiti della vecchia Opzione Donna entro giugno 2022 di usufruire della misura. «Sarebbe un inizio» commentano dal Comitato «ma certo non abbastanza».

I criteri 2023

La versione di Opzione donna 2023 (nel momento in cui scriviamo) vale solo per le lavoratrici che rientrino in una di queste categorie:

– caregiver portatrici di invalidità al 74% licenziate da aziende che hanno un tavolo di crisi aperto al ministero dello Sviluppo economico.

C’è poi un requisito richiesto a tutte: almeno 35 anni di contributi. Soltanto se sono rispettate queste condizioni, si può andare in pensione anticipata a 60 anni (a 59 se si ha un figlio, a 58 se i figli sono due).

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