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Riforma delle pensioni, cosa succede a gennaio

Se il governo non vara la riforma delle pensioni in autunno, a gennaio 2023 si ritorna alla legge Fornero. Le proposte alternative sono varie: quota 41, 62 anni, 64 con metodo contributivo, il mix di Pasquale Tridico

La scadenza per la pensione è gennaio 2023: se non si vuole tornare alle regole della legge Fornero, entro metà ottobre il governo dovrà avere pronta una riforma delle pensioni da inserire nella legge di Bilancio. Il primo gennaio 2023 è infatti il momento in cui decadranno tutti gli scivoli che hanno permesso agli italiani di uscire dal mondo del lavoro con qualche anno di anticipo. Salvo rinnovi, addio dunque a Quota 102 (che permette l’uscita dal lavoro a 64 anni con 38 di contributi) a Opzione Donna e Ape sociale

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La politica ha ricominciato a parlarne, i sindacati chiedono una riapertura del confronto, ma il tavolo tra parti sociali e governo, interrotto a febbraio  per via delle emergenze,  è tuttora congelato. Vediamo le ipotesi sul piatto, e quello che ci aspetta.

Pensione: lo spauracchio della legge Fornero

Se nulla cambia, con l’anno nuovo l’unica possibilità per andare in pensione sarà avere i requisiti previsti dalla legge Fornero: 67 anni di età, e almeno 20 di contributi per la pensione di vecchiaia, o in alternativa 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva, (41 e 10 mesi per le donne) per la pensione anticipata. 
A complicare le cose ci si è messa anche la Commissione europea, che ha duramente bocciato le ultime misure varate dall’Italia in campo previdenziale. Nel Country Report sull’Italia, Bruxelles ha puntato il dito sulle deroghe alla legge Fornero. Secondo gli analisti, misure come Quota 102, Opzione Donna e Ape sociale peseranno non poco sui bilanci previdenziali nel breve e nel medio termine. Un giudizio, questo, che potrebbe influire sulle scelte del governo.

Pensione: l’ipotesi di “Quota 41” 

La Lega, intanto, è tornata a chiedere una nuova riforma delle pensioni, e rilanciare la sua proposta, una sorta di “Quota 41”. Come ha ricordato Matteo Salvini nei giorni scorsi, l’idea è quella di offrire la possibilità di lasciare il lavoro al raggiungimento di 41 anni di contributi, senza soglie minime di età, o ragionando su un range che va da 62 a 64 anni.  La misura dovrebbe essere introdotta a gennaio 2023, una volta mandata in pensione Quota 102, e potrebbe essere accompagnata dalla proroga di Opzione Donna.

Pensione, i sindacati: 62 anni di età

Sulla stessa linea sono Cgil, Cisl e Uil, che continuano a invocare la riapertura del tavolo con il governo. Secondo le parti sociali, la soluzione migliore resta quella di consentire il pensionamento attorno ai 62 anni di età o alla maturazione dei 41 anni di contributi. Questo, senza prevedere penalizzazioni per chi ha iniziato a versare i contributi prima del 1996 (e che rientrerebbe anche nel calcolo retributivo). La proposta prevede inoltre la proroga di Opzione Donna, e la possibilità di anticipare la pensione per i lavoratori fragili e gravosi.

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L’ipotesi del governo: in pensione a 64 anni con il metodo contributivo

Lo scenario disegnato a Palazzo Chigi sembra però assai lontano. A febbraio, quando le trattative con i sindacati sono state congelate, il governo aveva accordato alle parti sociali la possibilità di introdurre forme di flessibilità rispetto alla legge  Fornero, ma con dei paletti. La riforma delle pensioni non dovrà comportare nessun innalzamento della spesa pubblica prevista, e il calcolo degli assegni dovrà essere fatto per tutti utilizzando il solo metodo contributivo. Sì dunque all’uscita anticipata, ma con assegni ridimensionati. 
Tra le ipotesi già valutate dai tecnici del ministero dell’Economia, tra l’altro, c’è quella di consentire la pensione anticipata, ricalcolata sempre con contributivo, con almeno 64 anni d’età e 20 di contribuzione. Nessun accenno, invece, a Opzione Donna e Ape sociale.  

La proposta di Tridico per la pensione: il mix

Ma sul piatto c’è anche la proposta del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Nei mesi scorsi Tridico ha rilanciato una soluzione mista: i lavoratori potrebbero andare in pensione già a 62-63 (o 64) anni d’età, ma ricevendo nell’assegno la sola quota contributiva. La fetta “retributiva”, che va a gonfiare l’importo mensile,  verrebbe erogata dall’Inps solo al raggiungimento dei 67 anni. Per utilizzare questa formula servirebbero almeno 20 anni di versamenti.

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