Uno stipendio per le mamme casalinghe?

Fa discutere il disegno di legge presentato dal Popolo della Famiglia per dare uno stipendio statale alle donne che scelgono di non lavorare e restare a casa, nella cura dei figli

Dare una sorta di stipendio statale alle donne madri – ma solo a quelle italiane – che rinunciano a lavorare anche fuori casa e si dedicano esclusivamente ai figli, pagandole per otto anni di fila, sempre che non cambino idea.

Lo propone il Popolo della Famiglia, il movimento politico di cristiani ultrà fondato e guidato dal giornalista e blogger Mario Adinolfi. L’idea del Reddito di Maternità (RdM) è contenuta in un disegno di legge di iniziativa popolare depositato alla Cassazione. Per portarlo e presentarlo in Parlamento serviranno 50mila firme di sostegno, vidimate e autenticate. La raccolta delle sottoscrizioni partirà il 28 novembre.

Su social e sui siti giuridici intanto si sta accendendo il dibattito. Il tema è di quelli destinati a dividere e innescare polemiche. Gli esperti di Studiocataldi.it, tra i primi a parlare della proposta legislativa, osservano: “Si tratta di un’iniziativa che fa sorgere qualche dubbio: desiderio di sostenere la maternità o tentativo di far rimanere le donne a casa ad allevare figli, lontane dal mondo del lavoro?”.

Cosa prevede il disegno di legge

La bozza di legge, composta da un solo articolo, è intitolata: “Istituzione dell’indennità di maternità per le madri lavoratrici nell’esclusivo ambito familiare”. Prevede l’introduzione di un compenso fisso per le mamme casalinghe. Il bonus è di dodicimila euro annui netti, mille euro al mese, esentasse e senza contributi previdenziali. La richiesta del contributo economico – dice la bozza del ddl – andrà fatta presso il Comune di residenza. Potranno presentarla solo le “donne madri cittadine italiane”, entro quindici giorni dalla nascita di un figlio o da una sentenza di adozione. Le interessate incasseranno l’indennità di maternità per i primi otto anni di vita del figlio – periodo rinnovabile per la nascita di altri figli – in assenza di altri redditi o impegni lavorativi. Il requisito fondamentale, sempre stando ai desiderata del Popolo della famiglia, è che le potenziali destinatarie “scelgano di dedicarsi in via esclusiva alla condizione di madre lavoratrice, nell’ambito familiare, con particolare riguardo alla cura dei figli”. Nel caso di “impegni lavorativi esterni alla cura familiare – sarà automatico, sempre che ci si arrivi – l’indennità di maternità si interromperà”. Alla nascita del quarto figlio il bonus diventerà invece a vita, così come in presenza di bimbi con disabilità. Il tutto, è la previsione, all’inizio costerà allo Stato 3 miliardi l’anno, poi la spesa dovrebbe calare.

Le critiche

Katia Graziosi, presidente dell’Unione donne italiane di Bologna, non risparmia le critiche. “Questo è un Paese che odia le donne, che ha paura delle donne. Prima il ddl Pillon, ora una proposta di legge popolare inaccettabile. Speriamo che cada nel vuoto, in Parlamento. Non si può pensare di ritornare alla donna confinata nel focolare domestico, facendo una salto all’indietro di decenni, cancellando battaglie di civiltà. È sconcertante. Le donne in casa non ci tornano. Abbiamo bisogno di capire che le donne devono lavorare, sono una parte essenziale dell’economia e hanno anche il diritto di fare figli quando vogliono. La maternità non è una sospensione, ma un aumento della capacità di stare meglio nel mondo del lavoro. Gli imprenditori lo sanno, riconoscono alle dipendenti mamme elevate capacità organizzative. Le risorse economiche – continua la rappresentante dell’Udi – vanno utilizzare per sostenere chi sceglie di lavorare anche fuori casa o con il telelavoro”.

In Emilia Romagna, dove pure il tasso di occupazione femminile è elevato, tra gli stipendi delle donne e degli uomini il gap è del 16 per cento. “Impegniamoci per eliminare queste differenze e per applicare pienamente il primo articolo della Costituzione: il lavoro è ciò che dà dignità a tutti. Battiamoci per avere più servizi (a cominciare dagli asili nido, libri gratis, riduzione delle tariffe), servizi di qualità più alta e servizi a misura di persona, non di chi ci lavora dentro (ad esempio scuole aperte anche d’estate). La previsione di indennizzare sole le donne italiane – conclude Graziose – si commenta da sé. È razzismo, al di là delle giustificazione che daranno”. Per inciso, sostiene Adinolfi, “il reddito di maternità sarà riservato alle donne italiane perché l’emergenza che il Popolo della famiglia indica – il calo delle nascite – riguarda proprio lo scarso indice di natalità delle donne italiane e a questo intende porre rimedio con le norme proposte”.

Le soluzioni per la natalità sono altre

Sulla stessa lunghezza d’onda dell’Udi è Loredana Taddei, responsabile nazionale Cgil delle politiche di genere. “Questa proposta di legge ha una visione arcaica della donna. Il pensiero di fondo, sempre che ci sia un pensiero, rispecchia chi vede la donna proiettata tutta negli anni ’50. Una donna fattrice, che sta a casa e fa figli. Purtroppo non è una iniziativa isolata. Rientra in una strategia, con il ddl Pillon e le mozioni contro l’aborto presentate in alcuni comuni. Va tutto nella stessa direzione, sbagliata. Le misure da studiare e attuare, se si vuole contrastare la denatalità, sono altre: aiuti per l’accesso al mondo del lavoro, parità salariale, servizi. Nel nostro continente – prosegue la dirigente sindacale – i Paesi dove si fanno più figli sono quelli del Nord Europa, dove le donne lavorano di più, perché ci sono politiche a loro favore. Come ne usciamo? Agire in senso contrario alla direzione che è stata presa in Italia. Un piccolo esempio? Bisognerebbe rifinanziare i 4 giorni di paternità obbligatoria, che sono pochi ma hanno anche un valore simbolico”.

I pro e i contro in rete

In rete il dibattito si sta animando. “Che boiata! – il commento più lapidario sulla pagina Facebook di Studiocataldi.it – Tutti questi redditi gentilmente concessi vorrei capire da dove dovremmo tirarli fuori! Stiamo ammattendo. L’assistenzialismo porterà l’Italia alla rovina! Vergogna veramente!”. Osserva una donna: “Ci sono operaie, ma anche libere professioniste, che a fine anno si tengono in tasca molto meno di 12 mila euro netti e che devono pure pagare asili nidi e baby sitter con quelli. Diciamolo, allora, che il posto delle donne è a casa: a far le mamme, le mogli, le casalinghe e, magari, ad arrotondare con qualche lavoretto in nero”. Una terza aggiunge: “Le mamme lavoratrici fanno di fatto doppio lavoro, fuori e dentro casa, e non possono godersi i figli con la serenità che ci vorrebbe. Trovo assurdo che debbano essere ulteriormente penalizzate, pagando anche per quelle che restano sul divano coi piedi caldi nelle pantofole, abbracciate ai loro figli”.

“Mi sembra ingiusto. Le donne che lavorano – è un’altra opinione ancora – sono anche casalinghe madri et. È molto più comodo crescere figli stando a casa che non facendo i salti mortali per riuscire a fare bene il lavoro fuori e dentro casa. Le casalinghe, accompagnati i figli a scuola, stanno al bar a chiacchierare con le amiche …. e gli vogliamo pure dare 1000 euro?”. “Voi che lavorate – sostiene un uomo – vi lamentate solamente in quanto vi sentite fregate. Pensate a chi ne ha veramente bisogno. E poi se sarà vera questa proposta, ma non credo, per la donna sarà solo una vittoria. Quindi non via lagnate”.

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