Come si stampa il cibo in 3D

Aumenta il numero di macchine da cucina che permettono di stampare in 3D dolci, pizza, crackers, ma anche ravioli e gnocchi. Pro e contro

Che la tecnologia abbia fatto il suo ingresso in cucina è un fatto noto da tempo. Adesso, però, si stanno aprendo nuove frontiere e, soprattutto, alcuni traguardi che sembravano irraggiungibili fino a poco tempo fa sono ormai realtà: come “stampare” il cibo in 3D. Se per qualcuno i robot da cucina, in cui inserire gli ingredienti nelle quantità indicate e poi lasciare che fossero cucinati dalla “macchina” era già innovativo, adesso è tempo di voltare pagina.

Come si stampa il cibo in 3D

Il funzionamento è molto semplice e paragonabile a una stampante tradizionale, dalla quale escono i fogli con i documenti richiesti, precedentemente messi a punto. Nello stesso modo, con una stampante per alimenti, prima occorre preparare gli ingredienti, in seguito poi questi – nella quantità prevista dalla ricetta – sono inseriti in apposite capsule che, proprio come le cartucce della stampante, sono assemblati in modo da ottenere il piatto richiesto. Gli alimenti saranno inseriti, però, solo dopo averli minimamente lavorati (sia crudi che cotti), ad esempio frullandoli in modo che siano morbidi e molli. Il cibo, infatti, uscirà dalla macchina tramite delle “siringhe” erogatrici, che si alterneranno a seconda della ricetta scelta.

Shutterstock
1 di 2
Shutterstock
2 di 2

Come è fatta la stampante alimentare in 3D

Ne esistono di vari modelli e grandezze. Una delle più recenti, nota anche per il ridotto ingombro (e prezzo) è quella di Foodini, una start-up spagnola, che pesa appena una decina di kg. In genere, però non si va oltre i 20 kg. La forma è quella di un forno a microonde. Il tipo di “creazione” che si vuole ottenere si potrà scegliere preventivamente, trasmettendo poi i file tramite chiavette Usb, scheda SD o selezionando tra le possibilità fornite dall’apparecchio stesso con la app di riferimento, a seconda dei casi. Le stampanti 3D più diffuse sono state pensate per l’alta pasticceria, ma ne esistono anche che permettono di ottenere gnocchi, ravioli, pizze, polpette, burger, quiche, crackers e formaggi, oltre a purea di patate, fagioli, caramello, miele, marmellata, biscotti che “stampa” la WiibooxSweetin.

I vantaggi della stampa in 3D: limitare sprechi e tempo

Il primo vantaggio è la riduzione dello spreco di cibo, perché si utilizza solo ciò che serve, in modo “porzionato”. Il secondo – e non indifferente se si dovesse pensare a un uso domestico – è che si sporca meno, anzi pressoché nulla. Una volta preparate le capsule, infatti, bisogna semplicemente inserirle nella stampante e lasciare che la macchina lavori da sola. Si tratta sicuramente di un enorme vantaggio, se si pensa alla quantità di posate, contenitori e piatti che invece abitualmente servono per realizzare pietanze complesse, come le torte. Oltretutto, i componenti della stampante che entrano in diretto contatto con gli ingredienti sono pochi, quindi anche il lavaggio richiede un tempo limitato.

Si può stampare in 3D anche dall’ufficio con lo smartphone

Non da ultimo, però, il “robot” stampante consente anche di risparmiare tempo: se è vero che in alcuni casi la realizzazione della pietanza può richiedere fino a due ore, non va dimenticato che a lavorare sarà solo la stampante! Per realizzare cibi sottili, come crackers o biscotti, sfoglie o decorazioni piatte, occorrono pochi minuti, mentre le stretture più alte, come le “sculture di cioccolato” possono arrivare a richiedere anche due ore. Ma in questi casi è anche possibile gestire la macchina da remoto, con lo smartphone, paradossalmente anche mentre ci si allontana da casa per qualche commissione o per andare in ufficio.

Gli svantaggi della stampante in 3D

Tutto bello e affascinante, dunque, se non fosse per un aspetto: il costo. Queste stampanti non sono proprio alla portata di tutti. Basta dare un’occhiata in rete per scoprire che Foodini ha un prezzo all’incirca di 1.000 euro, ma in genere le stampanti 3D costano intorno ai 4.000 euro, per arrivare anche a 9.000, a seconda di dimensioni e prestazioni: «Quelle professionali utilizzate dai maestri pasticceri nei ristoranti stellati possono anche superare i 30mila euro. Certamente possono permettersele solo questi tipi di locali, che hanno la possibilità di ammortizzarne il costo, anche nella manutenzione. È chiaro che i risultati sono incredibili» osserva Giorgio Giorgetti, chef a domicilio ed esperto della Federazione italiana Professional Personal Chef.

Il cibo come un’opera d’arte

Le stampanti 3D, infatti, permettono di ottenere piatti che esteticamente sono molto complessi e nella maggior parte dei casi sono vere opere d’arte. Si possono creare, infatti, dolci (e non solo) che vanno da un’altezza minima di pochi millimetri fino a oltre 10 centimetri, per un diametro massimo di 26 centimetri. La composizione, poi, può essere già pronta al consumo oppure può necessitare di una cottura a parte.

Meglio fatto a mano?

Se da un lato l’occhio ci guadagna, dall’altro cosa ne è del gusto originario? Il timore da parte di qualcuno è che il sapore ci perda, se ad “assemblare” gli ingredienti ci pensa una macchina invece che una persona, uno chef, in carne ed ossa: «Io non demonizzerei l’uso delle macchine in cucina. Della questione si dibatte fin dagli anni ’70, quando uno chef disse che la maionese che si rispetti non può che essere fatta con la frusta a mano. Io non sono d’accordo, anzi: se una macchina può aiutare e far risparmiare tempo in cucina, ben venga, tanto poi è l’uomo (o la donna) che la guida. Credo che si possano ottenere anche buoni prodotti, l’importante è che le materie prime siano di qualità» spiega ancora Giorgetti.

Riproduzione riservata