Street Style: la storia della moda di strada dalle metropoli al web

Dalle passerelle alle vie delle metropoli, dalle copertine a Instagram. Ecco la storia dello Street Fashion e delle regole delle tendenze che nascono dalla strada, dalle radici ad oggi

Una moda che non raggiunge le strade non è moda”, diceva Coco Chanel.
Tutto nella moda inizia per strada”, dichiarava tempo fa Diane von Fürstenberg. Nulla di più vero, perché la strada è il reale teatro nel quale la moda prende vita e diventa tale, dando vita al fenomeno dello street style.

Cosa succede dunque quando la moda non scende dalle passerelle per raggiungere le vie delle città, ma nasce proprio dal fermento culturale e sociale delle metropoli?
Nessuna penna, nessun designer, guru, grande Maison o firma. Nessun progetto.
Solo stile, istinto, esigenze pratiche e comunicative che si mescolano in interpretazioni ed espressioni della gente comune.


Parliamo della “pancia” della moda, colei che sovente ha segnato epoche, culture e identificato correnti e generazioni. E creato brand, mercato e influenzato a sua volta le passerelle.

Già perché, come vedremo, nonostante il termine Street Style sia riconducibile a un fenomeno relativamente recente, il suo orientamento affonda le radici piuttosto indietro nel tempo, rivendicando come “parenti stretti” tutti quei fenomeni culturali che hanno vestito intere schiere di giovani (e non solo!) dagli anni ’50 ad oggi.

Ebbene, se a tutto questo aggiungiamo anche una maggior indipendenza di comunicazione, che porta lo “stile della strada” a divenire iconico tanto quanto quello visto sulle copertine patinate, grazie a scatti rubati per le vie delle città, il gioco è fatto: abbiamo lo Street Style così come oggi lo conosciamo.

Eccoci dunque – come fossimo in una specie di versione fashion del celebre racconto di Charles Dickens (passateci la licenza!) – in un piccolo viaggio nella storia passata, presente e futura dello Street Style e delle regole che lo contraddistinguono.

Le radici dello Street Style: le subculture giovanili

Quando parliamo di fashion di strada non possiamo non considerare la storia di tutte quelle tendenze che – arrivando proprio dalla gente comune – hanno influenzato di fatto la moda stessa. Dalle passerelle, al mercato, al guardaroba di molti.
Non possiamo non considerare queste storie perché, a conti fatti, questo è il vero Street Fashion, quello che ancora oggi si mescola alla moda a tutti i livelli.

E quindi sì, lo Street Style si profila già a partire dalle prime rivoluzioni giovanili, ovvero da quando decadono i dettami più rigidi della società e inizia a prendere vita un’espressione (almeno un po’) più libera di sé. Da quando i giovani iniziano letteralmente ad infischiarsene della moda delle Maison e si ispirano ai propri contesti, dando forma alle proprie idee.
Le prime espressioni di questo nuovo modo di vedere ciò che si indossa si hanno negli anni ’50, con i blue-jeans, i giubbotti in pelle e i ciuffi ribelli e si declinano poi negli anni ’60 e ’70 in pantaloni a zampa e capi coloratissimi simbolo dello stile hippie.

Le decadi successive vedono poi un susseguirsi di tendenze nate da altre subculture giovanili divenute iconiche – come il punk e il grunge – che si manifestano (tra le altre cose) anche nel modo di vestire, utile a differenziarsi e a urlare al mondo il proprio “io”, le proprie convinzioni, le proprie radici e i propri gusti.
Ma quello che più di tutti ha fatto da apripista a una definizione (e a una successiva comunicazione e diffusione) più ampia dello stile di strada è stato indubbiamente lui: lo streetwear, stile che prende forma dapprima tra le file dei surfisti e degli skaters della California, per poi approdare nel Bronx e legarsi definitivamente alla cultura Hip-Hop.

L’output di questo fenomeno “nato dal popolo” è talmente potente e immediato che in un attimo diventa una cosa seria: ne vengono fuori contratti milionari (come quello firmato da Michael Jordan nel 1984 con la Nike, che porterà alla nascita delle sneakers più iconiche di sempre) e brand di successo mondiale (come Carhartt e Supreme).

Streetwear: Sneakers Nike
Credits: Getty Images

Il padre dello Street Style

Ma come si diffonde il fashion delle strade? Come arriva da un quartiere o da una città a influenzare mode globali e l’haute couture?
Ebbene, lo Street-Style in senso più ampio non coinvolge solo il modo di vestire, ma si sviluppa anche grazie a nuovi modi di comunicare che portano il fashion lontano dai set fotografici e dalle passerelle per immortalare e diffondere lo stile visto nella vita reale.
Sicuramente molto, specie prima della nascita di Internet, passava da veicoli alternativi come il cinema e – come abbiamo già visto – la musica. Ma ovviamente c’è di più.

Facciamo dunque ancora un piccolo passo indietro per parlare di un tassello fondamentale nella diffusione dello Street Style: la fotografia di strada.
Certo, è una forma espressiva che esiste davvero da molto tempo, ma colui che tutto ha cambiato è stato di certo Bill Cunningham, fotografo che dalla fine degli anni ’70 ha segnato una svolta epocale nel genere. E lo ha fatto per decenni, diventando di fatto quello che oggi viene riconosciuto a tutti gli effetti il padre dello Street Style.

Come? Girando in sella alla sua bicicletta immortalava scene quotidiane catturate per le vie di New York e Parigi, raccontando così la vita di due grandi metropoli – dallo shopping alle passeggiate al parco col cane – attraverso “On The Street”, una delle più longeve e compiante rubriche del New York Times. Tanto che alla sua morte Anna Wintour lo ha ricordato affermando: “Se Bill non ti fotografava, allora era come dire che non esistevi”.

Ma in questi tempi – gli anni che hanno visto tra le altre esplodere tendenze iconiche come il punk, il grunge e lo streetwear – quella di Bill è forse l’unica voce davvero autorevole in questo senso.
Sì perché siamo ancora negli anni in cui la “moda che conta” è cosa per pochi e lo Street Style – Bill Cunningham a parte – è considerato poco più di un self-made ben confezionato, espressione del popolo e dell’arte di sapere assemblare o meno un outfit, nulla più.
Ma il ribaltone è dietro l’angolo e oggi le regole sono completamente nuove.

Bill Cunningham in sella alla sua bicicletta
Credits: Getty Images

Le nuove regole dello Street Style since 2005

Ed ecco il ribaltone, all’interno del quale un nuovo canale come quello di internet ha un ruolo chiave.
Siamo nel 2005, quando Scott Shuman – allora papà full-time – fonda un blog che rappresenterà una vera pietra miliare nello Street Style: The Sartorialist.

Il progetto editoriale sul web è di fatto un lavoro che ricalca le orme di Bill Cunningham in versione luxory, ovvero un diario visual digitale di New York, con la differenza che Scott punta quasi unicamente allo scintillio e alla parte più chic e glamour della città.
L’idea piace, tanto che in soli due anni Scott Shuman vede le sue fotografie, che ritraggono i partecipanti alla fashion week milanese del 2007, pubblicati su style.com.
Ed è qui che il meccanismo decolla: sulla scia di The Sartorialist nascono schiere di blog e progetti armati di glamour fino ai denti, pronti a mietere successi e a portare il fenomeno a un livello di autorevolezza sempre maggiore.

Insomma, cambia una volta per tutte la prospettiva. Non interessano più solo le passerelle e le supermodels, ma anche tutti gli spettatori che popolano le sfilate e – soprattutto – i loro outfit. Non interessano più solo i più grandi showrooms, ma anche la danza di it-girls che gira intorno ai grandi marchi. In parole povere non si guarda più solo alle sfilate e alle creazioni dei designers, ma si sviluppa un interesse sempre maggiore per l’interpretazione che le persone danno di esse.
Ma cambia anche – almeno in parte – il concetto di Street Style stesso che arriva a riferirsi direttamente alle grandi Maison, seppur attraverso rielaborazioni personali dei pezzi, e non a ciò che nasce dalle subculture.

Il resto è storia recente, fatta di successi e di numeri che si impennano, sui profili social delle nuove star del fashion così come nelle casse dei brand di lusso che hanno saputo sfruttare il nuovo modo di comunicare per promuovere i propri pezzi e crescere in brand awareness.

Influencer alla Milano Fashion Week
Credits: Getty Images

Come sarà lo Street Style di domani?

Partendo dall’assunto che lo Street Style come oggi lo conosciamo si fonda ormai su una diffusione social – globale e istantanea – di ciò che propongono i brand di lusso reinterpretato dalle influencer immortalate nelle situazioni più disparate, è vero anche che attraverso gli stessi veicoli e meccanismi si diffonde ormai stile a tutti i livelli.

Oggi dunque i progetti editoriali che sdoganano la moda di strada e self-made spaziano e si muovono su piani differenti, con focus via via sempre nuovi che nascono (anche) da esigenze sociali e movimenti culturali.

Come sarà dunque il futuro dello Street Style? Ovviamente non possiamo prevederlo, ma ci auguriamo che si possa tornare allo sviluppo di nuovi trend dalle subculture giovanili (esattamente come fu per streetwear e compagnia bella) e che questo si possa mescolare sapientemente con il design dei grandi nomi della moda. Insomma, ci piacerebbe vedere un’era in cui i due grandi momenti dello Street Style si incontrano, dando vita a qualcosa di unico.

La strada in effetti sembrerebbe essere già solcata in questa direzione ma non resta che stare a guardare speranzosi: la commistione tra la “pancia” del vero fashion metropolitano “della gente comune” e la libera interpretazione del genio dei designers potrebbe essere la nuova bellissima frontiera a cui aspirare.

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