Da Postalmarket ai siti di shopping on line: fine di un’epoca o incapacità di rinnovarsi?

Addio all'azienda icona della vendita per corrispondenza, la nonna dello shopping a distanza pre-internet

"Con Postal Market sai, uso la testa!"

Non tutte ricorderanno lo slogan del celebre catalogo di vendita per corrispondenza Postal Market, ma sicuramente in tante lo avranno sfogliato, da bambine, accanto al divano della nonna che appuntava con la penna, assieme al resto della famiglia, i capi di abbigliamento da ordinare.

La storia

Nato da un'intuizione di Anna Bonomi Bolchini nel 1959, prendendo in prestito l'idea di vendita per corrispondenza americana, il catalogo diventa un vero e proprio cult per tutti gli anni '70 e negli '80, dopo una piccola crisi, riprende alla grande riuscendo a costruire in quel di Peschiera del Borromeo un colosso con un fatturato di 600 miliardi di lire, 45.000 spedizioni giornaliere e più di 1400 dipendenti.

Gli anni '90 sono i più difficili, nonostante la società fosse stata rilevata prima dal colosso tedesco Otto Versand, poi dal senatore Eugenio Filograna che trasferisce il business su internet con più di 20.000 prodotti in vendita. La società in perdita viene venduta a Bernardi che stringe un accordo con La Redoute, fino al 25 luglio 2015 in cui il tribunale di Udine ne ha sancito il fallimento.

I nuovi competitors

Voi direte, fine di un'epoca. La vendita per corrispondenza poteva andare fino ad una ventina di anni fa, ora con i brand low cost che propongono nuove collezioni ogni mese e che si espandono a macchia d'olio, passando per i siti di shopping on line sempre più competitivi, era impossibile sopravvivere.

Nessuno può pensare che un modello di business taylorista, come era quello su cui si fondava il primo Postal Market, potesse durare per sempre, ma se ci fosse stata la lungimiranza nel comprendere il potenziale, prima che arrivassero gli altri competitor a "rubare" il mercato, forse, avremmo replicato quel successo che negli anni '70 era stato avanguardia pura.

 

Fine preannunciata

Un po' quello che accadde con l'Olivetti in Italia, quando ad Ivrea, negli anni '60,  si faceva quello che Steve Jobs avrebbe fatto molti anni dopo, ma non si ebbe la capacità di comprenderne fino in fondo il potenziale (ed ancora oggi cerca di reinserirsi su un mercato agguerrito, agognando i degni fasti di un tempo).

Potremmo considerare quella di Postal Market un'ennesima (triste) storia all'italiana: dove arriviamo per primi, ma poi non sappiamo comprendere o sfruttare al meglio quello che abbiamo? O è solo la fine di un'epoca?

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