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Con l’assegno unico torneremo davvero a fare figli?

Per combattere il crollo della natalità si sta mettendo a punto un nuovo aiuto economico, l'assegno unico: lo riceveranno ogni mese tutte le famiglie con bambini e ragazzi fino a 18 anni e oltre. Un passo nella direzione giusta, secondo gli esperti. Ma i cambiamenti che contano devono ancora arrivare

L’assegno unico partirà il 1° luglio

Sembra davvero una rivoluzione: dal 1° luglio nelle tasche delle famiglie italiane arriverà l’assegno unico universale per i figli. Un aiuto pensato per sostituire per sempre e in un colpo solo i vari bonus e voucher che spesso duravano solo il tempo di una legislatura. La novità, infatti, è che l’assegno, anche se calibrato sulla ricchezza familiare, andrà ogni mese a tutti i genitori, a partire dal settimo mese di gravidanza e indipendentemente dal reddito. Obiettivo: favorire una ripresa delle nascite in un Paese come il nostro che ha un tasso di natalità tra i più bassi non solo d’Europa ma del mondo intero.


Con l’assegno unico si stabilisce il principio che tutti vanno aiutati ma si rischia di distribuire pochi spiccioli a tanti, sprecando risorse preziose


 

«Diciamolo subito, il giudizio di fondo è positivo» esordisce Chiara Saraceno, che oltre a essere una delle più importanti sociologhe italiane è tra i portavoce dell’Alleanza dell’infanzia, rete di associazioni, esperti ed economisti che si impegnano per promuovere politiche a sostegno della natalità. «Di questo aiuto c’era bisogno, fa pulizia e azzera le disparità. Oggi c’è chi, anche se per periodi limitati, riesce a godere di più agevolazioni insieme, e chi, come i lavoratori autonomi, è escluso da molti benefici, a cominciare dalle detrazioni per i figli a carico. Ora invece si stabilisce il principio che tutti vanno aiutati, e si stanziano risorse fresche: 6 miliardi di euro, a cui si andranno ad aggiungere altri circa 15 miliardi, ricavati dalle misure soppresse».

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I punti ancora da chiarire

Tutto bene allora? Non proprio, prima di tutto perché di chiaro c’è ancora poco. Saranno i decreti attuativi che i ministeri dovranno emanare a tempo di record a stabilire quanto spetterà e a chi. Secondo un primo calcolo dell’Istat, ogni nucleo riceverà in media 250 euro ma se è vero che il 68% ci guadagnerà rispetto al passato, per il 29,7%, quasi una famiglia su 3, il cambio sarà in perdita.

La ministra alla Famiglia Elena Bonetti ha promesso che verrà introdotta una clausola, in modo che nessuno possa prendere meno di quanto riceveva prima, ma a conti fatti questo intervento costerebbe allo Stato 800 milioni di euro, risorse difficili da trovare. «Che qualcuno ci rimetta è inevitabile» precisa Chiara Saraceno. «Quello che temiamo di più però è un criterio di ripartizione che dà alle fasce più povere e lascia con un pugno di mosche tutto il ceto medio. Si rischia di distribuire pochi spiccioli a tanti, sprecando risorse preziose. L’assegno deve essere una somma non simbolica, che contribuisca realmente a pagare le spese delle famiglie».

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Cosa succede in Europa

Si capisce allora perché in Europa, dove l’assegno unico già esiste, si è scelta la strada della cifra uguale per tutti. In Germania i genitori possono anche optare tra denaro e detrazioni fiscali, in Svezia l’importo è relativamente basso, ma accompagnato da altri sostegni. E proprio i due Paesi ci dimostrano che questo aiuto, da solo, non è la risposta alla bassa natalità. «In Germania i bambini sono tornati a nascere quando sono arrivate le vere politiche di sostegno all’occupazione femminile, a partire dai congedi retribuiti anche per i padri. È poco efficace dare un assegno a una madre, se non la metti in condizione di conciliare vita privata e professione» avverte Chiara Saraceno.

Il confronto con l’Italia da questo punto di vista è davvero impietoso. A ogni nascita i padri e le madri tedeschi hanno diritto a 420 giorni di congedo da dividere tra loro, retribuito fino a 100% dello stipendio. In Svezia, i giorni salgono a 480 e chi si ferma in molti casi riceve l’80% della paga. Ma soprattutto una buona quota è riservata solo al papà. Se paragoniamo a questi numeri i nostri 10 giorni di congedo paternità c’è da arrossire.


In Italia l’11,1% delle donne non ha mai lavorato per riuscire a occuparsi dei figli. La media europea è del 3,7%.


 

«Servono nuove risorse, e su questo va dato atto al Family Act: il disegno di legge dentro cui è inserita anche la riforma sull’assegno unico prevede nel prossimo futuro una serie di stanziamenti per costruire nuovi asili, allungare i congedi e offrire incentivi alle mamme lavoratrici. Speriamo solo che non resti lettera morta, come altri che lo hanno preceduto» commenta Francesco Belletti, sociologo e direttore del Centro internazionale Studi Famiglia.

Ma non è solo questione di soldi, secondo l’esperto. «Il nostro sistema è improntato su un modello degli anni ’50, dove uno solo lavorava, e provvedeva a tutti gli altri. Oggi le famiglie sono diverse, ciascuna con le proprie esigenze. E, soprattutto, le persone hanno il problema di non riuscire a conciliare una quotidianità già faticosa con il sogno di mettere su famiglia, magari anche numerosa. Servono servizi e strumenti che semplifichino la vita».

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La questione degli asili nido

Dici servizi e pensi subito agli asili nido. In Italia li frequentano il 28,6% dei bimbi, con casi al Sud in cui non si arriva al 10%, mentre, solo per citare due Paesi vicini, in Spagna e Francia risulta iscritto un bebè su due. «Dobbiamo costruirne di più? Sicuramente, ma pensiamo anche a soluzioni flessibili. Facciamo come la Francia, dove oggi le coppie hanno a disposizione orari su misura, dal part time al tempo lunghissimo, o la Germania, che si è inventata le tagesmutter, nidi condominiali a un passo da casa» continua il sociologo. «E attenzione, lo stesso cambio di mentalità serve nel privato, nelle aziende. Nel nostro Paese le madri che chiedono un part time lo considerano un fine carriera, in Olanda lavora a tempo parziale l’80% delle occupate.

Per non parlare degli orari, una gabbia ingestibile per i genitori che lavorano. Già 15 anni fa, in Austria i dipendenti delle banche potevano scegliere tra decine di proposte. Da noi ancora oggi a una mamma o a un padre che devono portare il proprio bimbo al nido vengono chiesti i salti mortali per arrivare puntuali in ufficio. Questo un assegno non lo può cambiare».

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Assegno unico: come sarà il nuovo sostegno

→ Secondo le simulazioni Istat, può variare da 80 a 240 euro al mese per ogni figlio, a seconda delle condizioni economiche e delle specificità familiari.

→ L’importo sale se ci sono più di 2 figli, se la madre è under 21 e se il figlio è disabile. In questo caso la maggiorazione va dal 30 al 50% dell’importo.

→ L’assegno viene erogato fino ai 18 anni del ragazzo o fino ai 21 se, per esempio, sta seguendo un percorso di formazione. Dalla maggiore età però la cifra diminuisce.

→ La somma mensile viene divisa in parti uguali tra i genitori. L’assegno è compatibile con altre forme di sostegno, come il reddito di cittadinanza e non aumenterà il reddito.

→ Sostituisce il bonus bebè, l’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori, il premio alla nascita di 800 euro per ogni nuovo nato o adottato, il fondo di sostegno alla natalità, le detrazioni fiscali per figli a carico, l’assegno per il nucleo familiare.

→ Non sostituisce i bonus asili nido e la Carta famiglia.

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