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La maternità penalizza ancora le donne?

Lavorare fino al nono mese è un'opportunità o la rinuncia a un diritto? Intanto i dati indicano che sono sempre le donne a lasciare di più il lavoro per occuparsi della famiglia

La difficoltà a conciliare il lavoro con la famiglia rappresenta ancora il principale scoglio che devono affrontare le madri lavoratrici. A confermarlo sono i dati Inps, nonostante uno degli obiettivi del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sia l’aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026.  

Tre donne su quattro lasciano il lavoro per la famiglia nel 2021

Nella Relazione dell’Inps trovano conferma anche i motivi per cui le donne decidono di lasciare il lavoro: per il 75% si tratta della difficoltà nel gestire contemporaneamente il carico familiare e gli impegni lavorativi. Pesano anche le differenze territoriali: al Sud il 93% delle uscite dal mondo del lavoro è attribuito a lavoratrici con figli, al centro il dato scende all’83%, mentre al nord è pari al 72%. La media nazionale, poi, non lascia dubbi: chi abbandona l’impiego è nel 77,4% donna, nel 22,6% uomo.

Poche ancora le donne nel mondo del lavoro

Le donne che lavorano, inoltre, rimangono troppo poche e al di sotto della media europea. Ma ancor meno sono quelle che hanno una famiglia con figli. Il PNRR è partito proprio da queste considerazioni nell’individuare come priorità l’aumento dell’impiego femminile di almeno il 4%: nella fascia delle lavoratrici tra i 25 e i 49 anni, quelle senza figli sono il 74,3% in più rispetto a quelle che hanno figli. Da qui la necessità di ampliare, per esempio, la rete assistenziale con il potenziamento degli asili nido, che il PNRR prevede di ampliare con 264.480 nuovi posti entro il 2026.

Ma i problemi delle donne e madri lavoratrici riguardano anche i posti di lavoro, perché spesso gli ostacoli si trovano anche in azienda.

Donne al lavoro fino al nono mese: una scelta o un obbligo?

Da quando in Italia è stato modificato il congedo di maternità con la possibilità di lavorare fino al nono mese di gravidanza, si parla molto dei benefici di questa opportunità, che non da tutti è ritenuta tale. Non pochi, infatti, pensano che l’attesa e la nascita di un figlio siano momenti da vivere “a pieno”, con i giusti tempi e negli spazi adeguati, che non sono l’ufficio o il posto di lavoro in genere. Molte sono poi le future madri che semplicemente non hanno la possibilità di restare a casa, perché vittime di ricatti più o meno espliciti da parte dei datori di lavoro. Il rischio, raccontato sottotraccia ma presente, è di perdere l’impiego se rimangono per troppi mesi lontane dall’azienda. 

La maternità è ancora un problema?

Ma la maternità rappresenta ancora un problema per le donne che lavorano? La nuova legge è un’opportunità o un boomerang? Stare a casa è ancora una (libera) scelta oppure rischia di compromettere il futuro professionale delle donne? 

Tutti interrogativi che si aggiungono alle considerazioni sulla condizione  delle lavoratrici autonome, penalizzate rispetto a chi lavora in una grande azienda e può avere a disposizione politiche a supporto delle neomamme. Che possono fare la differenza.

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Quale congedo? A ogni scelta la sua conseguenza

«Il congedo di maternità rappresenta inevitabilmente una battuta d’arresto» ammette Sandra Mori, presidente di Valore D, la prima associazione italiana di grandi imprese che promuove la diversità, il talento e la leadership femminile. Di fronte alla scelta se restare a casa per l’intero periodo del congedo di maternità o se rientrare al lavoro subito, la manager conferma che a fare la differenza sono le conseguenze della “scelta” della lavoratrice: «Entrambe le scelte sono rispettabili, ma le conseguenze che possono avere sono diverse. Nel primo caso, quando si torna al lavoro è naturale che le condizioni siano cambiate, specie se si gode di tutto il periodo di congedo consentito dalla legge (che pure è la metà rispetto a quello, ad esempio, previsto in Germania dove si arriva a due anni), mentre nel secondo caso si può scegliere di restare in contatto con il mondo del lavoro. Ci sono infatti aziende che consentono di mantenere contatti e aggiornamenti per le donne in maternità. Naturalmente si tratta di grandi multinazionali». 

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Le opportunità per le neomamme nelle grandi aziende

Esistono aziende nelle quali “su base volontaria si offre alle donne in congedo di maternità la possibilità di tenersi aggiornate sull’attività in ufficio, incaricando un mentor, che telefona con cadenza settimanale o quindicinale, o invia mail alla futura mamma o neomamma. Altre realtà, invece, non solo continuano a inviare alla dipendente le informazioni di base, ma considerano quello della maternità come un periodo di acquisizione di nuove competenze, come la capacità di essere multitasking o di prendersi cura dell’altro. Certo, c’è ancora molto da fare, ci vorrà tempo perché si tratta di un cambiamento culturale che non può avvenire solo grazie a una legge, ma qualcosa si sta muovendo” dice Mori. Si tratta, però, di “isole felici”, mentre nella maggior parte dei casi le donne lavoratrici si ritrovano spesso penalizzate dalla maternità.

In Italia meno figli che nel resto d’Europa

Con 458mila nascite nel 2017, l’ltalia è il paese dove si fanno meno figli in Europa e anche quello in cui le donne lavorano meno (e sono meno pagate rispetto agli uomini). A pesare proprio la maternità, che spesso è vista dai datori di lavoro come un “problema” economico e di produttività, e dalle lavoratrici stesse come un “ostacolo” alla propria crescita professionale e alla carriera.

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I sensi di colpa e la sindrome da “super donna”

Una donna lavoratrice che sceglie di lavorare fino al nono mese di gravidanza si trova spesso a fare i conti con un forte senso di colpa verso il bambino, ma a volte anche verso l’azienda. «Personalmente, quando è nata la mia seconda figlia ed ero dipendente, la mia scelta è stata di non usufruire del congedo di maternità, neppure quello obbligatorio per legge, andando incontro a non poche battaglie. Mi sentivo a disagio perché ero stata assunta da poco quando sono rimasta incinta: se tornassi indietro non lo rifarei, perché mi sono privata di un diritto» racconta la presidente di Valore D.

Ma tornando al lavoro così presto (o congedandosi così tardi) non si rischia di incappare nella sindrome da “super donna”? “In effetti non bisognerebbe mai estremizzare. L’opportunità di lavorare fino all’ultimo giorno è giusta, ma deve anche essere una scelta personale e fatta con serenità e convinzione”. Non la pensano così i sindacati e le donne del movimento Non una di meno

Niente ricatti in maternità

Il movimento Non una di meno è contrario al provvedimento che consente di lavorare fino al termine della gravidanza, anche quando le condizioni fisiche lo consentono. «La modifica è propagandata come un’opportunità per le lavoratrici. Ma fenomeni come le dimissioni in bianco e i tassi altissimi di disoccupazione femminile, le enormi quote di lavoro nero e grigio e la disparità salariale, testimoniano quanto le donne paghino nella vita professionale la prospettiva della maternità. In un mercato del lavoro che penalizza le donne, lavorare fino al parto rischia di diventare un obbligo, altro che scelta!» hanno spiegato, aggiungendo che la legge ha solo l’effetto di far sì che la cura dei figli sia sempre più a carico delle donne.

E i padri? Le novità recenti

Sul fronte dei padri lavoratori le ultime novità, entrate in vigore la scorsa estate, prevedono per i neo papà di beneficiare di 10 giorni obbligatori di congedo per la nascita del proprio figlio, retribuiti al 100%. A stabilirlo è il Decreto Legislativo n.105 del 30 giugno (in Gazzetta ufficiale il 29 luglio 2022) che ha così recepito la direttiva europea del 2019 sul bilanciamento della vita familiare e lavorativa. C’è però il limite che la misura riguarda i lavoratori dipendenti: “È troppo poco: bisognerebbe aumentare almeno a cinque settimane, se non a uno o due mesi come nel nord Europa” dice Isa Maggi, coordinatrice degli Stati Generali delle Donne. 

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Il Governo Meloni è poi intervenuto ulteriormente estendendo il periodo di congedo in alternanza tra madre e padre da 6 a 9 mesi, mentre per le famiglie monogenitoriali il periodo di indennità è salito da 10 a 11 mesi.

Più flessibilità: dal co-working al cambio dei turni

Per le donne lavoratrici, dunque, c’è ancora molto da fare. Qualche opportunità in più è offerta dalla tecnologia, che in alcuni casi permette di lavorare anche da casa grazie a Internet, al wi-fi, agli smartphone e alla possibilità di essere costantemente aggiornati e in contatto con l’ufficio.

“Aumentano le imprese che offrono la possibilità di telelavoro, a prescindere dalla maternità o dai permessi per l’allattamento, perché il modo di lavorare si sta rivoluzionando. Certo dipende dal tipo di attività: per quelle d’ufficio è più semplice” dice Mori. Ma come fare nei casi di lavori per i quali si richiede una presenza fisica? La proposta di alcuni di chiedere cambi turno, magari lavorando di notte, in modo da occuparsi dei figli di giorno, pare poco realistica. “Occorre poter contare sulla presenza del padre nelle ore del sonno” ammette la presidente di Valore D. Certo, i padri di oggi sono spesso presenti e di reale aiuto, ma rappresentano una minoranza.

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