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Micro evasione fiscale: siamo tutti a rischio controlli

Aumentano i controlli (e le denunce) su chi percepisce il reddito di cittadinanza. Ma c'è poi la microevasione quotidiana su cui la Guardia di finanza si concentra: l’insegnante che dà ripetizioni in nero, la casalinga che pulisce case senza contratto, l’idraulico che non emette fattura, la badante pagata sottobanco. Ecco chi rischia di più di essere scoperto. E quali sono i sistemi (Facebook e auto compresi) con cui vengono scovati i microevasori

Ville e perfino una Ferrari: a Locri in 237 sono stati denunciati per irregolarità nella percezione del Reddito di cittadinanza. Lo stesso, in dimensioni “ridotte”, in un ristorante di Carini, in provincia di Palermo, dove tra i camerieri e i lavapiatti assunti in nero c’era anche chi incassava il contributo, oltre al salario esentasse. Un fruttivendolo di Crotone, in Calabria, percepiva sempre il reddito di cittadinanza pur avendo un negozio alla luce del sole e degli introiti. A Erba, nella Brianza comasca, a portare a casa indebitamente il bonus era un ambulante con un banco al mercato. Nelle maglie delle verifiche – quelle sui percettori del reddito e della pensione di cittadinanza segnalati dall’Inps – sono rimasti impigliati in tanti. Il Corriere parla di almeno 300 persone colte in fallo e perseguite, il Messaggero già ad agosto ne stimava 3000. Solo a Bergamo e provincia si è arrivati a 76.

Dati ufficiali e completi per ora non ce ne sono. La macchina degli accertamenti mirati, comunque, ha cominciato a girare e macinare risultati. Oltre all’Istituto nazionale di previdenza, in campo ci sono gli specialisti della Guardia di finanza e gli operatori di Agenzia delle Entrate e Ispettorati del lavoro. Un target nuovo ed emergente, che si aggiunge a quelli “tradizionali” e ordinari. La battaglia quotidiana dei militari delle Fiamme gialle e dei funzionari del Fisco è contro la piaga della maxi evasione, per cui si prospetta un giro di vite. E anche contro lo stillicidio di piccole evasioni quotidiane, elusioni, furberie, scorciatoie.

Tutti siamo soggetti a controlli?

Ma chi rischia maggiormente di finire nel radar dei controllori? L’insegnante che arrotonda lo stipendio dando ripetizioni o la casalinga disoccupata che pulisce case e uffici senza avere un contratto? L’idraulico che emette una fattura sì e cinque no oppure il marito che in sede di divorzio nasconde redditi e proprietà? L’estetista a domicilio, la badante del nonno retribuita fuori sacco o la cliente che sceglie le lavoratrici “sommerse” per risparmiare? Lo abbiamo chiesto al capitano Valentina Giambastiani, comandante della Sezione verifiche complesse del Nucleo di polizia economico – finanziaria della Guardia di Finanza di Como. «Le categorie cui si fa cenno sono tutte a rischio, trattandosi di comportamenti non in linea con le norme. Chi non rispetta la legge deve mettere in conto che prima o poi possa arrivare un controllo».

Arrivano i controlli sui conti correnti

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Sulla base di quali dati vengono fatte le verifiche?

Le verifiche non procedono a caso, nemmeno sul fronte del contrasto alle evasioni spicciole e ai reati tributari meno gravi. Sono pianificate a monte a scadenze periodiche, con analisi e scelte ponderate. Poi, certo, situazioni degne di approfondimenti possono venire a galla nei modi più disparati. «La selezione dei soggetti da controllare – spiega l’ufficiale – viene fatta in base alla pericolosità fiscale, che emerge, in primis,  attraverso l’analisi delle informazioni già in nostro possesso grazie alle numerose banche dati oggi consultabili e alimentate da più fornitori di informazioni: dagli stessi contribuenti con le proprie dichiarazioni dei redditi ai datori di lavoro, dagli istituti di credito ai fornitori di servizi quali acqua, luce e gas».

Cosa si controlla?

Altri punti di partenza – e di indirizzo – sono la conoscenza dell’area in cui si opera e delle peculiarità locali, il controllo del territorio, la valutazione dei fenomeni illegali da contrastare fatta anche a livello locale e non solo a livello nazionale. «Si parte dai sintomi e dai segnali percepiti nell’area geografica in cui si opera, si individuano soggetti che possono essere più pericolosi di altri. Un esempio? Un’attività costantemente svolta dalla Guardia di finanza – continua il capitano – è quella che viene definita “controllo economico del territorio” e viene declinata  in molteplici ambiti di servizio, dai più complessi ai più semplici. Tra questi ultimi, per capirci, si pensi ai controlli su strada effettuati dai nostri militari per le macchine di lusso o alle verifiche sulle imbarcazioni da diporto. La finalità degli accertamenti consiste nel riscontrare se l’effettiva manifestazione di ricchezza corrisponda ai dati in possesso del Fisco. La nostra attività di riscontro non si limita a verificare solo se l’autista abbia i documenti in regola per la circolazione, ma si va a vedere se  quella vettura è innanzitutto a lui intestata e poi se il suo valore è in qualche modo coerente con il reddito dichiarato».

Come si controlla lo stipendio pagato in nero?

Un altro esempio? «Un lavoratore in nero, individuato durante un’ispezione in una azienda, verrà quasi certamente pagato in contanti. Oltre all’evasione del singolo lavoratore e alla posizione ancor più grave del datore di lavoro – prosegue Valentina Giambastiani – si cerca di capire in che modo quest’ultimo ha messo da parte la provvista di denaro per stipendiare cash i dipendenti abusivi. Potrebbe essere il segnale da cui partire per scoprire una evasione ancor più grande o fenomeni ancora più gravi, come il riciclaggio».

Anche le autocertificazioni Isee sono controllate?

«Come dicevo prima – riprende il filo del discorso – ci sono poi servizi più complessi, che non si risolvono in una sola giornata di lavoro. Ad esempio  le verifiche e i controlli fiscali, quelli sulle autocertificazioni Isee (gli Indicatori della situazione economica equivalente, necessari per ottenere tariffe ridotte, prestazioni pubbliche ad importi agevolati, esenzioni) o sulle nuove partite Iva. Ciò ci permette di avere un quadro di situazione che abbracci tutte le principali categorie a rischio di evasione, in modo trasversale».

Da chi arrivano le segnalazioni?

Gli input per le attività non programmate a monte possono arrivare da segnalazioni qualificate (da enti pubblici e istituzioni, associazioni di categoria e di consumatori, altre forze di polizia, privati cittadini…), da fonti aperte (ad esempio organi di informazione) o da operazioni portate avanti in altri contesti (un’inchiesta penale). «Un ateneo può coinvolgerci per scoprire se un professore fa un doppio lavoro, senza preventiva autorizzazione. Oppure per verificare gli Isee presentati da studenti che, autocertificando redditi bassi, accedono a borse di studio o ad esenzioni dalle tasse universitarie, pur non avendo i requisiti previsti».

Chi accede ai bonus è più nel mirino?

Agli evasori “puri”, infatti, si affiancano coloro che certificano il falso per poter ottenere un vantaggio o un servizio (accedere a bonus, agevolazioni, riduzioni tariffarie per la mensa dei figli, lo scuolabus, le bollette, ecc.) a costo ridotto oppure gratuitamente, «sottraendo risorse alle casse pubbliche e, di conseguenza, a chi ha davvero un bisogno e magari resta tagliato fuori da aiuti e misure di sostegno, perché le risorse sono limitate».

Quali sono i controlli nelle separazioni?

Ci sono anche gli interventi ispettivi a domanda. «Dai Tribunali civili – rende l’idea la rappresentante delle Fiamme gialle – possono pervenire richieste di accertamenti su redditi e patrimoni in relazione a cause di separazione e divorzio o a controversie per l’assegnazione e il mantenimento dei figli. Dall’autorità giudiziaria, ulteriore caso, ci vengono delegati accertamenti finalizzati all’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale, cioè sequestri e confische di case, aziende, conti correnti…».

Quali sono el banche dati per scovare i “furbetti”?

Tra gli strumenti a disposizione della Guardia di finanza, come accennato, sono fondamentali le banche date, a decine. Alcune (Pra, Aci, Registro navale, Anagrafe equina, Spesometro, Infocamere …) sono note a tutti o quasi. Altre non sono conosciute fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori. «Il data base fondamentale è l’Anagrafe tributaria. Grazie a questa banca dati – spiega ancora il capitano Giambastiani – è possibile verificare se una persona ha presentato la dichiarazione dei redditi oppure no, che cosa e quanto ha dichiarato, se le risultano intestati beni mobili e immobili. Se un contribuente si ferma a 10mila euro di reddito,  e però ha dieci case e tre macchine e due moto, è evidente che non ci si ferma lì».

Facebook e altri social fanno smascherare gli evasori?

«No, non proprio. L’analisi e le nostre attività partono da dati certi, legati a informazioni ufficiali, documenti, segnalazioni qualificate, spunti che derivano da altre attività d’istituto. Internet – concede –  al limite può fornire un riscontro a quanto già si sa. Penso ai social, ma soprattutto ai portali aziendali, i siti di aziende, professionisti, esercizi pubblici. Facebook e le pagine web di un disk jockey o di un mercante d’arte – va al a concreto l’ufficiale –  possono offrire elementi in più, per andare a corroborare dati raccolti con altri canali. Foto, video e post o commenti su Facebook potrebbero comprovare, ad esempio, l’abitualità e la continuità nel tempo di una attività svolta in nero e smentire chi invece la giustifica come una semplice operazione occasionale, per sottrarsi al Fisco. In altri settori, come la recente fattura elettronica da trasmettere giornalmente al Fisco, la tecnologia costituisce uno degli strumenti più efficaci per intervenire con tempestività a contrasto dei fenomeni evasivi , grandi frodi fiscali e non solo».

Gli annunci per le ripetizioni vengono setacciati?

Volendo, per scovare altre tipologie di microevasori, basta poco. Nelle cartolerie vicine alle scuole sono appesi biglietti e recapiti di studenti, laureati, educatori e insegnanti che si propongono per ripetizioni e assistenza ai compiti, senza alcun cenno a modalità di pagamento tracciabili. Alle fermate dei bus, nei presso di ospedali e fuori dalle case di riposo si trovano gli annunci di colf e badanti disponibili a lavorare in nero e i cellulari da contattare. Nelle bacheche universitarie non mancano le offerte di camere in condivisione o stanze singole in subaffitto informale, con contratti solo verbali. «Anche queste sono fonti aperte», taglia corto l’ufficiale della Guardia di finanza comasca. Le interessa battere di più su altri tasti. «Bisogna diffondere la cultura della legalità economica a difesa dei contribuenti onesti: è un valore prezioso che merita di essere trasmesso ai più piccoli e coltivato già nelle scuole dove spesso il nostro personale è chiamato dagli stessi insegnanti per raccontare ai ragazzi il tipo di lavoro svolto. La lotta all’evasione fiscale germoglia negli adulti dal seme che questi professori affidano ai loro giovani allievi».

Qual è il vero danno dell’evasione fiscale quotidiana?

«Tutti dobbiamo essere ben consapevoli che l’evasore fiscale è un giocatore sleale. Non pagando le tasse, mette in difficoltà le imprese oneste che alla fine non assumono nuovi lavoratori, licenziano i dipendenti per ridurre i costi o addirittura chiudono i battenti. Non solo entrano meno soldi nelle casse dello Stato e, dunque, ci sono meno risorse da destinare ai servizi pubblici, diminuiscono anche, e per tutti, le opportunità di lavoro tutelato. L’utente finale dell’evasore, inoltre, può avere egli stesso un danno. Prendiamo ad esempio il diffuso fenomeno delle estetiste o delle parrucchiere a domicilio: un’attività che, pur in sé lecita se dichiarata al Fisco, può facilmente consentire di evadere. Le clienti e i clienti dovrebbero capire che non c’è convenienza a servirsi delle operatrici abusive. Oltre a non pagare le tasse e a sottrarre lavoro alle colleghe virtuose – sempre parole  del capitano Valentina Giambastiani – non forniscono garanzie circa il rispetto delle norme igieniche e sanitarie».

Discorso simile per l’acquisto di beni taroccati. «Chi compra un giocattolo di dubbia provenienza, per risparmiare, non sa che cosa mette in mano al proprio figlio. Se i pezzi si staccano via o la vernice usata è tossica, perché si tratta di un prodotto non testato né certificato, si rischia di esporre un bimbo a pericoli e insidie. Se si prende un capo di abbigliamento contraffatto, si alimenta il circuito della manodopera clandestina. E magari ci si mette addosso un paio di pantaloni trattati con coloranti nocivi per la pelle e per parti del corpo delicate».

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