Triglie a 10 centesimi: cosa succede al mercato del pesce?

Triglie a 0,10 euro al chilo. Gallinelle a 0,50. Il prezzo del pesce sta toccando in questi giorni i minimi storici. Il motivo? Sul mercato si è riversata una rilevante quantità di prodotto: tanto pesce che nessuno compra, perché a cavallo fra estate e autunno vi è un calo fisiologico delle vendite.

Perché succede?

L’esplosione della produzione ittica avviene dopo un periodo di stop alla pesca, che si è appena concluso. «Succede che in tutto l’Adriatico, il Tirreno e lo Jonio è scattato un fermo pesca disposto dal Ministero – ci spiega Tonino Giardini, responsabile di Coldiretti Impresapesca -. E ogni anno si ripete la solita storia. Pescatori e barche devono restare a riva con provvedimenti a zone (per esempio nel nord adriatico da fine luglio ai primi di settembre, al sud, da metà agosto a fine settembre), per permettere alle specie ittiche giovanili di crescere e riprodursi. È un programma di tutela che segue le indicazioni Ue. In questo periodo si crea un vuoto nel nostro mercato che viene riempito da pesce che noi importiamo dall’estero e che va a incidere su un dato nazionale: il 74% dei nostri prodotti ittici sono esteri. Subito dopo il blocco, c’è un’esplosione nella produzione. Tanto, tantissimo pesce finisce sulle bancarelle e spesso resta lì, invenduto e buttato. Per questo il prezzo si abbassa. Perché ce n’è tanto e nessuno lo compera».

E questo cosa comporta?

Questa dinamica economica sta mettendo in ginocchio il settore. Negli ultimi 30 anni, si sono persi il 35 per cento delle imbarcazioni e 18.000 posti di lavoro. E appunto c’è anche quel dato del 74% del nostro consumo di pesce che in realtà arriva dall’estero. Coldiretti ha stimato che nel 2015 siano stati 769 milioni i chili di pesce importati, dei quali ben il 40% viene da paesi estracomunitari.

Come risolvere? «Abbiamo chiesto al Ministero delle politiche agricole di stabilire un blocco della pesca più ‘intelligente’, a macchia di leopardo: non stoppiamo tutta la pesca di una zona, ma delimitiamo solo certe aree in cui sappiamo che ci sono specie che devono crescere, permettendo le attività dove invece non c’è la necessità di una tutela», ci dice l’esperto di Coldiretti. Inoltre, denuncia l’associazione di categoria, con il mercato invaso da pesce estero, il rischio truffa è dietro l’angolo: pangasio del Mekong venduto come cernia; filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all’halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola. Ci propongono un certo tipo di pesce e ce ne rifilano dell’altro.

Ma il consumatore cosa può fare?

Intanto deve prestare attenzione a quello che compra. E cercare di comprare pesce ‘made in Italy’. Bisogna cercare l’etichetta sul bancone della pescheria. Etichetta che viene messa sulla cassa del pescato e che poi il commerciante deve indicare anche sul cartellino, quando espone la merce. Bisogna cercare l’informazione sull’area di pesca, alla sigla ‘Gsa’, obbligatoria per legge. Fa sapere Coldiretti: «Le provenienze da preferire sono quelle dalle Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta)»

Fornirsi in una pescheria di fiducia

«Consigliamo di affidarsi anche alla Pescheria ‘di fiducia’, quella cui siamo clienti affezionati e di cui siamo certi circa l’onestà del commerciante. L’inganno può insediarsi proprio a questo livello: se il pesce è venduto ‘tale e quale’, possiamo accorgerci anche da soli che c’è qualcosa che non va: ma se ci viene venduto ‘sfilettato’, il riconoscimento dell’imbroglio è più difficile, persino a un occhio esperto», aggiunge Giardini. Accade infatti che a questo livello ci sia lo ‘scambio’ truffaldino: un pesce persico che ci viene venduto per spigola. Indistinguibile se già ripulita e praticamente pronta per finire dritta in forno. «Quando il pesce è filettato è proprio difficile da riconoscere. L’unica cosa sicura è il prodotto confezionato e lavorato e con una etichetta inamovibile che ci dica la sua provenienza, ma il ‘made in Italy’ con questa tipologia è ancora poco diffuso», ricorda l’esperto.

Riconoscere la freschezza del pesce

Il prodotto ittico venduto ‘tale e quale’ presenta però alcune caratteristiche che possono essere ottimi indicatori sulla sua freschezza. «Se il pesce è venduto in cassa, guardate bene il suo aspetto. Queste sono le cose da vedere per capire se il pesce è appena pescato: occhio convesso e non concavo, carni solide, branchie ‘rosse vive’ e non rosa chiaro» suggerisce Giardini.

Stagionalità del pesce

Prima dell’acquisto informatevi sulla stagionalità del pesce. «Noi abbiamo mappato regione per regione, il pesce che si può trovare su un determinato territorio, fresco, a seconda del periodo dell’anno. Cercatelo, perché è quello più popolare, ugualmente ricco di omega3 e che ha un prezzo molto basso, proprio perché ce n’è in abbondanza. Sarete certi che è disponibile in quel determinato momento e non viene da qualche cella surgelata» precisa il responsabile di Coldiretti Impresapesca. Qualche esempio? In Toscana, questo è il periodo di Razze, Muggini e Cefali. In Veneto abbiamo invece Triglie e Canocchie.

Sbizzarritevi ora e cercate anche voi, il pesce fresco della vostra zona, grazie a questa mappa di Coldiretti

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