Salvare l’ambiente ci farà uscire dalla crisi

Lo sostiene la scrittrice Naomi Klein in questa intervista che è uscita su Donna Moderna nel 2015 e che oggi che si continua a parlare di clima e che la gente scende in piazza per il pianeta vi riproponiamo. La sua tesi? Smettendola di inquinare, riducendo gli sprechi, usando le energie rinnovabili creeremo anche nuovi posti di lavoro

«Ciò che mi spaventa non è solo il clima che cambia, e porta con sé i tifoni, le tempeste, l’innalzamento dei mari. Ma il modo in cui gli esseri umani si stanno comportando nel bel mezzo di queste catastrofi: cerchiamo vantaggi personali, pensiamo ai nostri interessi, e ci dimentichiamo degli altri. È colpa del capitalismo, che incoraggia la parte peggiore di noi». Naomi Klein, 44 anni, va dritta al punto. La incontro a Venezia dove, ironia della sorte, oggi c’è acqua alta. L’attivista e scrittrice canadese presenta il suo ultimo libro: Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile (Rizzoli). Un volume di oltre 700 pagine, ricco di documenti e di testimonianze, in cui lei spiega come il nostro sistema economico stia portando alla distruzione del Pianeta. Qual è l’emergenza ambientale più grande? «Abbiamo solo 2 anni per ridurre le emissioni di anidride carbonica: il 2017, come avvertono i climatologi, è il punto di non ritorno». Non c’è tanto margine per intervenire. «In realtà ho scritto questo libro proprio per lanciare un messaggio positivo: cambiare si può, se ci muoviamo tutti insieme». Ma, concretamente, come possiamo farlo? «Per troppo tempo ci siamo accontentati di agire sul piano individuale: consumando meno, riducendo gli sprechi, limitando l’uso della macchina… Buone azioni, certo. Ma se vogliamo davvero cambiare il mondo, e non solo noi stessi, dobbiamo farlo collettivamente. Se sei uno studente, coinvolgi la tua scuola. Se sei cattolico, interpella il Vaticano. Se sei in un sindacato, pretendi di sapere in che modo intende salvare la Terra. Ma, soprattutto, bisogna convincere i politici a far pagare più tasse a chi inquina e a chi trae profitto saccheggiando le risorse naturali. Ricorrere ai carburanti fossili, tipo il petrolio, dovrebbe essere un comportamento da condannare, tanto quanto fare uso di armi o di tabacco». Così riusciremo a trasformare la società? «Sono convinta di sì. Gli esseri umani sono capaci di azioni crudeli, ma anche di gesti di solidarietà, come raccogliere fondi per salvare le specie in via d’estinzione o per far fronte alle emergenze umanitarie». Molti, però, sembrano non rendersi conto che il Pianeta è in pericolo.

«Nei Paesi messi a dura prova dalla recessione, e l’Italia è uno di questi, si tende a relegare l’ambiente in fondo alla lista delle priorità. Ma non può esserci una vera ripresa senza una politica di sostenibilità. L’ironia di tutto ciò è che l’economia italiana è basata sulle risorse naturali: pensiamo all’agricoltura, alla pesca, al turismo». Una rivoluzione ci salverà arriva 15 anni dopo No Logo, in cui lei già denunciava le contraddizioni del sistema capitalistico. «Questo libro è la sua evoluzione. Quando sono venuta in Italia a presentare No Logo, ho scoperto una parola che non avevo mai sentito prima: precarietà. Riassume ciò che stiamo vivendo oggi e l’insicurezza che ne deriva. È diventata un’etichetta: tutto è precario». Lo è specialmente il lavoro. «Non credo che le opportunità siano per forza legate al capitalismo né che l’unica alternativa sia la disoccupazione. Anzi, combattere questo tipo di economia, e di ideologia, può creare nuovi impieghi e professioni. Potremmo dare un futuro a tutti, specialmente ai giovani». Un po’ utopistico, no? «Affatto. Guardiamo la Germania: dopo aver abbandonato il nucleare, sta attuando un’importante trasformazione. Oggi il 20-25% dell’elettricità tedesca è ricavata da fonti rinnovabili, e questo ha creato posti di lavoro. Si può al tempo stesso affrontare la recessione economica e salvare l’ambiente». Crede che un libro sia in grado di cambiare la mentalità delle persone? «Credo che la gente sia stanca. L’Italia, per esempio, sta attraversando una lunga crisi di cui non scorge la fine. Tuttavia, penso che ci siano lo spazio e la forza per rialzare la testa. Lo abbiamo visto alle elezioni in Grecia, lo stiamo vedendo nelle manifestazioni in Spagna. Un libro può aiutare a dar voce a un problema, a un’esigenza». Qual è il suo prossimo passo? «Un documentario che ho realizzato con mio marito Avi Lewis. Parla dei movimenti sociali e ti spinge a dire: anch’io voglio farne parte. Perché parla di uomini e donne veri, di problemi reali. Non ci sono discorsi da intellettuali». Un brano del suo libro mi ha molto colpito: quello in cui lei spiega che suo figlio Toma, 2 anni e mezzo, forse non riuscirà mai a vedere un alce. Perché la specie è a rischio estinzione. «Di solito non mi piace parlare della mia vita privata, ma in quel caso cercavo qualcosa che riuscisse a toccare il cuore di ognuno. Mi rendevo conto che i dati, pur terrificanti, da soli non erano sufficienti. Alla gente servono immagini da vedere e condividere. Altrimenti continuerà a pensare che siano solo problemi di natura politica, senza alcuna ricaduta sul piano personale». Cosa sogna per Toma? (Lunga pausa) «Sylvia Earle, una grande oceanografa, una volta mi ha detto: “Abbiamo bisogno di un movimento per la pace”. Ecco cosa sogno per mio figlio: che possa vivere in un mondo di pace». 

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