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Stop agli elettrodomestici usa-e-getta

L’Europa dice "no" all’obsolescenza programmata: vita più lunga per elettrodomestici (e cellulari), che diventano riparabili. Ecco cosa prevede la legge sul cosiddetto Ecodesign

La lavatrice che si guasta, ma che conviene buttare e sostituire con un modello nuovo, che costa meno di una riparazione. Lo stesso per il frigorifero, l’aspirapolvere o il forno a microonde, per non parlare dei cellulari: il cambio della batteria potrebbe non costare meno di diverse rate per l’acquisto di un modello nuovo, con più funzioni e design rinnovato. Si chiamaobsolescenza programmata e consiste nel mettere sul mercato prodotti destinati ad avere una vita più o meno breve.

Ma le cose stanno cambiando, perché l’Unione Europea ha messo a punto un pacchetto di riforme, chiamato Ecodesign Directive, che prevede uno stop alla produzione di elettrodomestici usa-e-getta, con la possibilità invece di poterli riparare più facilmente, grazie anche al fatto che per almeno 7 anni (o 10 per le lavatrici) le aziende produttrici dovranno mettere a disposizione i pezzi di ricambio. “Le nuove norme sono un passo avanti nel Diritto alla Riparazione. Creano per la prima volta nella legislazione europea un precedente: indicano criteri minimi per la riparabilità dei prodotti” commenta Ugo Vallauri, co-fondatore e Business Development Lead di Restart Project, che sostiene l’attività dei restarters, ossia i riparatori non professionali.

Curiosamente, però, mentre l’Italia ha fatto resistenza alla nuova direttiva europea (insieme a Regno Unito e Germania), nel nostro Paese c’è un movimento crescente che chiede il Diritto alla Riparazione: “Abbiamo organizzato una petizione che ha ottenuto oltre 100.000 firme proprio per chiedere di interrompere la pratica dell’obsolescenza programmata” spiega Donatella Pavan, presidente di Giacimenti Urbani che ha promosso l’iniziativa italiana.

Cosa cambia con la legge europea

“La nuove normative sull’Ecodesign sono state approvate tra il 10 dicembre e il 10 gennaio, e riguardano i seguenti elettrodomestici: frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, televisori. Le norme riguardano anche altri prodotti di uso industriale, per i quali sono ancora in corso votazioni da parte del Consiglio d’Europa, con rappresentanti di tutti i Paesi membri” dice Ugo Vallauri. Spiega l’esperto: “Smontare gli elettrodomestici per cambiare pezzi di ricambio guasti dovrà essere più semplice, utilizzando strumenti comuni e diffusi; le case produttrici saranno tenute a fornire manuali per la riparazione e pezzi di ricambio a tutti i riparatori professionali; i pezzi di ricambio dovranno essere disponibili per almeno 7 anni da quando un modello viene tolto dal commercio (per TV, lavastoviglie, frigorifero) o almeno 10 anni (per le lavatrici); infine, una minima parte di pezzi di ricambio sarà anche disponibile direttamente per i consumatori.

Si tratta però di pochi pezzi, come telecomandi per i televisori, cestelli per le posate per le lavastoviglie, oblò per le lavatrici”. Proprio queste ultime, infatti, spesso non possono essere riparate in caso di guasto a un singolo componente (come nel caso di un cuscinetto), ma necessitano di interventi tali da non renderli vantaggiosi. Da qui il ricorso a nuovi acquisti.
Le normative saranno pubblicate a breve, dopo un controllo da parte del Parlamento UE che però non potrà più modificarle, ed entreranno in vigore dal 2021.

Cos’è il Diritto alla Riparazione

L’obsolescenza programmata non è una novità degli ultimi anni, anche se di recente ha assunto proporzioni maggiori. Fin dagli anni ’30, nel pieno della grande crisi, i produttori di lampadine decisero, facendo cartello, di dimezzare la durata dalle 2.500 ore a circa 1.000, per stimolare nuovi acquisti . “Noi ci battiamo per il diritto alla riparabilità che finora è stato negato: le aziende, infatti, non mettono a disposizione i libretti d’istruzione, non forniscono più pezzi di ricambio quando escono nuovi modelli di elettrodomestici e non permettono, fin dalla progettazione, di aprirli perché spesso le componenti sono saldate tra loro, dunque diventa impossibile sostituire un singolo pezzo” spiega Pavan. “Noi, insieme ai restarters, ci siamo battuti perché la riparazione non fosse appannaggio del solo circuito delle aziende produttrici, ma potesse essere effettuato anche da riparatori non professionisti, ossia proprio i restarters. La riparazione, tra l’altro, è una componente fondamentale dell’economia circolare, perché prolunga la vita degli oggetti e riduce i rifiuti” conclude la presidente di Giacimenti urbani.

I punti critici: chi ripara gli elettrodomestici?

“Ci auguriamo che le nuove norme siano un punto di partenza per arrivare a leggi analoghe per altri prodotti spesso difficili da riparare, come gli smartphone, e che leggi simili vengano approvate nel resto del mondo, sull’onda dell’iniziativa europea” commenta Vallauri, che aggiunge: “Siamo però preoccupati per la distinzione tra riparatori professionisti e non, che penalizza riparatori indipendenti, cioè chi non lo fa come attività lavorativa o chi, per esempio, gestisce un’ attività di riparazione comunitaria come i Restart Party o Repair Cafe”.

Uno dei nodi affrontati riguarda proprio la figura del riparatore: “I riparatori vengono definiti ‘professionisti’ se hanno alcuni requisiti di competenze e assicurazione sul lavoro che svolgono, oppure se iscritti a un registro dei riparatori professionisti, creato nel loro stato. Al momento questi registri non esistono ancora”. È però intenzione dell’UE crearli in modo da avere un circuito di professionisti che operi nel settore, escludendo però di fatto i restarters come quelli del The Restart Project, un’organizzazione che promuove l’importanza della riparazione. “Continueremo a batterci perché i manuali per la riparazione di tutti i prodotti, così come i pezzi di ricambio, siano disponibili per tutti i consumatori” conclude Vallauri.

Il “caso” smartphone e i rifiuti elettronici

Il fatto di poter “allungare” la vita minima permette anche di avere un impatto positivo sull’ambiente, perché consente di ridurre la quantità di rifiuti (anche pericolosi) da smaltire. Solo per il 2018 si è stimata una produzione di circa 50 milioni di tonnellate di materiale. Secondo l’European Environmental Bureau, che riunisce 150 associazioni ambientaliste in 30 Paesi europei, “quelli elettronici sono la frazione di rifiuti che sta crescendo più velocemente al mondo e nell’UE solo il 35% viene raccolto e trattato in maniera appropriata”.

Le aziende contrastano le nuove norme, però, in nome della difesa della ”proprietà intellettuale”: in pratica sostengono il diritto a essere gli unici conoscitori dei meccanismi di funzionamento dei prodotti elettronici e diffidano dalle riparazioni fai-da-te, ritenendole pericolose. È un po’ quello che già accade con gli smartphone, riparabili solo dalla casa madre e già al centro di una clamorosa sentenza dello scorso autunno da parte del Garante per la concorrenza.

Il precedente di Apple e Samsung

Lo scorso ottobre l’Authority per la Concorrenza ha sanzionato Apple e Samsung (rispettivamente per 10 e 5 milioni di euro) per avere imposto “aggiornamenti software per rendere vecchi i loro smartphone”. È stata la prima volta che un’autorità si è pronunciata in modo esplicito contro l’obsolescenza programmata. In precedenza, invece, la giustizia francese aveva accusato Apple di “truffa” per lo stesso motivo, dopo il richiamo di una serie di iPhone6 e 6Plus: per risolvere il problema dello spegnimento improvviso era stato installato un aggiornamento che però ne comprometteva le prestazioni. Da qui la decisione dell’azienda americana di fornire batterie a prezzi scontati ai possessori di quel modello di telefonino.

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