Non sappiamo ancora se i raggi UV penetrino attraverso la placenta, quindi esporre il pancione al so
Non sappiamo ancora se i raggi UV penetrino attraverso la placenta, quindi esporre il pancione al sole è proprio un comportamento da evitare

Donne in gravidanza: occhio a inquinamento e sole

L'estate potrebbe essere un periodo critico per le future mamme. Ai rischi del caldo, si aggiungono quelli dell'inquinamento. Un nuovo studio dimostra il legame tra basso peso alla nascita ed esposizione alle ondate di calore, effetto dei cambiamenti climatici. Ma questo è solo la punta dell'iceberg: quindi meglio esporre il pancione al sole con le dovute cautele. Ecco i comportamenti da evitare col caldo, anche al mare

Il nostro destino si decide nel pancione. Abbiamo sempre pensato che la placenta fosse uno schermo contro le sostanze inquinanti e che il liquido amniotico fornisse una protezione assoluta al feto. Forse non è proprio così. Neanche nella pancia della mamma, il nido più ospitale e generoso che ognuno di noi possa mai incontrare, ci si può difendere dall’inquinamento e dai raggi dannosi del sole. Soprattutto in estate, quando le temperature e le polveri sottili espongono le future mamme e i loro bambini a seri rischi.

Non si tratta di una certezza assoluta (troppo difficile dimostrarlo in maniera inoppugnabile) ma di una possibile ipotesi, riportata da medici e scienziati di tutto il mondo, in studi e ricerche che negli ultimi anni stanno aumentando. L’ultimo a far discutere e preoccupare è uno studio americano che per numero di campioni (32 milioni di bambini) è davvero importante. È stato appena pubblicato sul Journal of American Medical Association. Dati alla mano, dimostra come le onde di calore tendono a causare nascite premature, aumentandone l’incidenza tra l’8,6 e il 21%. Anche un basso peso del bambino alla nascita sembra essere più comune con l’aumentare delle temperature. Ma non solo: ad ogni aumento di un grado centigrado durante la settimana prima del parto, corrisponde una probabilità del 6% di bambini nati morti nei mesi da maggio a settembre. Lo studio si concentra sulla relazione tra aumento della temperatura (provocato dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento) e nascite premature. «La relazione tra questi fattori e tante malattie e disturbi dello sviluppo nei bambini esiste, la constatiamo da 25 anni. Gli studi in tal senso stanno aumentando e nuove ricerche evidenziano sempre di più legami strettissimi tra l’ambiente in cui la futura mamma vive, quindi l’aria che respira, il cibo e l’acqua e la salute del piccolo». Ci aiuta a orientarci in questa geografia dei rischi in gravidanza legati all’inquinamento e al sole la dottoressa Stefania Russo, medico pediatra Presidente del comitato scientifico di Anter (Associazione italiana Tutela Energie Rinnovabili), associazione no profit che lavora per promuovere la cultura della tutela ambientale e lo sviluppo delle energie pulite. 

Inquinamento e raggi UV potrebbero penetrare la placenta

Le conclusioni a cui si sta arrivando portano a stabilire che molte sostanze inquinanti passino attraverso la placenta, come sottolinea la dottoressa. «Il rischio sarebbe più alto in estate quando l’inquinamento peggiora a causa della catena causa-effetto provocata dalle emissioni di sostanze fossili». Una storia che conosciamo, ma che vale la pena ricordare: «Per contrastare il caldo nelle nostre città (sempre più forte a causa del cambiamento climatico), aumentano appunto le emissioni nell’atmosfera. L’alta pressione e le temperature elevate favoriscono il persistere nell’aria delle sostanze inquinanti. Poi gli incendi fanno la loro triste parte nell’aumentare i rischi per tutti, e in particolare per donne in gravidanza e bambini». 

Le ondate di calore fanno male al feto

Anche il caldo e il sole sono pericolosi per la loro azione diretta. Il calore eccessivo, che ci investe ormai a “vampate” come nei climi tropicali, sicuramente crea un forte stress al feto e sarebbe capace di indurre nascite premature. «Non si può dimostrare che il calore alzi la temperatura del liquido amniotico, di certo però non si può escludere che i raggi UV passino attraverso la pelle e dalla placenta raggiungano il bambino». 

Non è per questi motivi che l’Italia è il Paese europeo a più basso tasso di natalità. Di sicuro, però, oggi il progetto di avere un bambino richiede una consapevolezza maggiore di un tempo, anche riguardo al benessere in gravidanza. Il mito del pancione al mare, magari scoperto, e della passeggiata sul bagnasciuga, va riconsiderato alla luce dei nuovi studi proprio sui danni del calore e del sole in gravidanza.

Gli studi più recenti sulla placenta

Difficile dimostrare che la placenta sia permeabile alle sostanze inquinanti. Però alcuni lavori scientifici già lo stanno verificando. Il problema è che spesso il campione è ridotto e gli studi devono durare nel tempo, come lamenta l’esperta, che ci cita proprio gli ultimi. «Uno studio belga appena uscito su Nature ha monitorato 20 donne in gravidanza, esposte al black carbon, il particolato fine. Gli scienziati hanno rilevato come questa polvere sottile superi la barriera alveolare e attraverso l’apparato circolatorio arrivi alla placenta, interessando feto ed embrione. Un altro studio effettuato a Londra su 23 donne ha evidenziato come la placenta non sia uno schermo impenetrabile, anzi: è risultata permeabile non solo all’alcol e ai farmaci (cosa già nota) ma anche alle nanoparticelle, come le polveri sottili. Le donne coinvolte nello studio ed esposte a questi inquinanti avevano un numero doppio di sostanze nella placenta rispetto ad altre. Anche la Fondazione Veronesi sta indagando il nesso tra inquinamento e placenta e finanziando diversi progetti: per esempio una ricerca della Queenmed University di Londra ha rilevato tracce di particelle di carbonio nella placenta di cinque donne».

Inquinamento e ondate di calore alla base di nascite premature e con basso peso

Un dato innegabile è l’aumento negli ultimi 20 anni delle malattie respiratorie e dei tumori sia negli adulti che nei bambini. «Naturalmente le donne incinte e i feti sono i bersagli più vulnerabili, come rivelano gli studi epidemiologici». La dottoressa Russo spiega come «Nei luoghi più inquinati, le future mamme vanno incontro più facilmente ad aborti e i bimbi a nascite premature o con basso peso, malformazioni, problemi nello sviluppo dei polmoni e disturbi del neurosviluppo. Inoltre uno studio appena uscito su Annal of Epidemiology dimostra che le donne esposte a sostanze inquinanti nella settimana che precede il parto, avrebbero un rischio più alto di partorire bimbi che necessitano di supporto alla nascita, come la terapia intensiva». Un altro studio pubblicato su Environmental International ha misurato il feto durante la gravidanza per concludere la «relazione tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico e il basso peso alla nascita. Sui bambini, che sono seguiti a distanza, si stanno riscontrando problemi del neurosviluppo».

In Italia, uno degli studi più importanti su questo argomento è lo studio Moniter, durato dal 2007 al 2010, condotto dalla Regione Emilia Romagna: l’Arpa ha indagato lo stato di salute nella popolazione che abita entro 4 km dagli inceneritori di rifiuti. «Si è evidenziato un incremento degli aborti spontanei del 29% nelle donne più esposte, che diventa il 44 in quelle alla prima gravidanza. I nati pre-termine sono aumentati del 30% nelle donne più esposte alle emissioni. Lo studio prende come riferimento il PM10 (le polveri sottili) anche se proprio da esso emerge che l’87 % del particolato emesso è PM2.5 (polveri ancora più piccole) che sappiamo essere più pericoloso perché penetra più in profondità nei polmoni, fino a raggiungere i bronchi».

Inquinamento e malformazioni cardiache e diabete

Recenti studi internazionali concludono inoltre che, se la madre entra a contatto con tossici ambientali, il feto può sviluppare una serie di modificazioni, anche genetiche, che si manifesteranno dopo tanti anni dalla nascita e che potranno diventare ereditarie. «Non ci sono dubbi che malattie cardiovascolari, tumori, disturbi metabolici (per esempio il diabete) e anche una serie di disturbi comportamentali trovino la loro origine anche da un inquinamento davvero precoce, cioè in gravidanza» spiega la dottoressa. «Una metanalisi del 2012 ha evidenziato che anche piccoli aumenti di polveri sottili sono in grado di provocare un peggioramento importante di certi problemi: l’incremento di 10ug/m3 di PM2.5 comporta un aumento del 15% di nascite premature e del 9% di basso peso alla nascita. L’incremento di 10ppb (parti per miliardo) di NO2 (biossido di azoto) comporterebbe invece un aumento del 20% di rischio di coartazione aortica e del 25 % di rischio di Tetralogia di Fallot, che sono malformazioni cardiache».

Inquinamento e autismo 

Nuovi studi poi stanno esplorando la relazione tra inquinamento e sviluppo del sistema nervoso: parliamo di autismo e deficit dell’attenzione. Se è vero che è migliorata la diagnosi dell’autismo, questo non può spiegare un aumento di casi come, per esempio, quello degli Stati Uniti, dove la prevalenza di autismo è cresciuta negli ultimi 12 anni del 289.5 %. Una ampia revisione sulla relazione tra esposizione a particolato in gravidanza e disturbi dello spettro autistico (ASD) ha messo in evidenza che per ogni incremento di 10 ug/m3 di PM 2.5 il rischio di autismo aumenta del 132%. Anche gli idrocarburi policiclici aromatici e i metalli, cioè piombo e mercurio, hanno una forte azione tossica sul sistema nervoso.

I danni dell’inquinamento all’apparato riproduttivo 

Gli studi sono concordi nel concludere che l’inquinamento avrebbe un ruolo importante nello sviluppo di malattie del sistema riproduttivo. Lo conferma la dottoressa Daniela Galliano, ginecologa ed esperta in medicina della riproduzione, direttrice di IVI Roma: «Le sostanze presenti nell’aria agiscono come ormoni, cioè interferenti endocrini. Quando gli organi genitali del feto si sviluppano, se l’apporto ormonale viene alterato dalle sostanze inquinanti, rischiano di non formarsi in modo corretto». Cosa può accadere? «Si è rilevato un aumento del criptorchidismo alla nascita (la mancata discesa di uno o entrambi i testicoli), ma anche l’aumento dell’infertilità sia maschile sia femminile a cui si assiste negli ultimi anni potrebbe essere legato all’inquinamento, sia in gravidanza sia nelle fasi successive. La prova di tutto ciò sono studi effettuati su migranti di seconda e terza generazione, che hanno sviluppato malattie del sistema riproduttivo assenti nei Paesi di origine».

Contro i danni creati dal sole, meglio non mostrare il pancione

La futura mamma deve proteggersi dal caldo e dal sole, anche in città, come raccomanda la dottoressa Russo. «Non abbiamo evidenze dei danni creati dal calore sul feto attraverso la placenta. Certo è che le ondate di calore a cui negli ultimi anni stiamo assistendo possono creano un forte scompenso al nascituro». Lo conferma anche la dottoressa Galliano. «È fondamentale evitare la disidratazione e un’esposizione eccessiva al sole. Quindi meglio non usare bikini ma coprire il pancione, magari con un costume chiaro o un pareo, soprattutto nei primi tre mesi, i più delicati per la vita intrauterina perché la pelle della pancia è molto fragile. E se è vero che il sole fa bene in gravidanza, nel tempo si è costruito un mito vero solo in parte: per favorire la sintesi della vitamina D (che è un ormone e si sintetizza a livello della cute) ne bastano 10 minuti al giorno. E soprattutto va preso nelle ore più fresche». La pelle poi va protetta con un solare a protezione totale (oggi ne esistono fino al fattore 100), anche per evitare le macchie gravidiche. «I cloasmi si formano sulla pelle a causa della gran quantità di estrogeni in circolazione, che creano fotosensibilizzazione» spiega la ginecologa. «Scompaiono dopo il parto e l’allattamento, ma possono persistere più a lungo. La crema comunque, per evitare complicanze che ancora non conosciamo fino in fondo, va sempre messa, a maggior ragione sulla pancia. È importante anche rinfrescare direttamente il pancione, per contenere la temperatura del corpo in generale ed evitare di soffrire troppo il caldo. La precauzione di bere molto, poi, è valida per tutti, ma soprattuto in gravidanza, per prevenire le infezioni alle vie urinarie, che sono molto frequenti a causa dell’aumento del flusso sanguigno, veicolo di batteri. Le passeggiate sul bagnasciuga – altro mito delle nostre nonne – aiutano a rinfrescarsi e a migliorare la circolazione, ma meglio evitarle nel primo trimestre e comunque occorre sempre proteggersi con cappello e occhiali».

Consigli che sembrano banali, ma che hanno in realtà un fondamento scientifico. Quindi è importante seguirli, anche in città. «In cima alla lista, il più facile (ma anche il più scontato, quindi snobbato): non uscire nelle ore più calde, soprattutto se in gravidanza, proprio per evitare l’altissima concentrazione di polveri sottili» dice la dottoressa Russo. Che invita a consultare meteo.it alla sezione “aria”, dove si trovano tutti i dati dell’aria della propria città, ora per ora. Vale la pena dare un’occhiata prima di uscire, per poi spalmarsi la crema, portarsi dietro il cappello e la bottiglietta d’acqua (non di plastica, possibilmente, per non contribuire all’inquinamento) e prendere i mezzi pubblici (pancione permettendo).

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