Medico del lavoro: cosa fa e cosa farà nella fase 2

Con il rientro negli uffici e nelle fabbriche la figura del medico del lavoro diventa centrale. Chi è, cosa fa e cosa dovrebbe fare

Nella “fase 2”, quella della tanto attesa “ripartenza” delle attività lavorative dopo il lockdown causato dal coronavirus, sarà importantissima la figura del medico competente. Ossia il medico del lavoro, che si occupa di sicurezza e prevenzione sanitaria per i dipendenti di una società.

Il ruolo centrale del medico del lavoro

È la figura che deve conoscere le specificità di un ufficio, fabbrica, impresa o contesto lavorativo, e che quindi dovrà valutare le misure e gli accorgimenti da adottare per permettere una ripresa dell’attività in sicurezza. Lo sostengono gli esperti, lo sottolinea anche un documento tecnico dell’Inail diffuso pochi giorni fa: con la riapertura «c’è la necessità di adottare una serie di azioni (…) atte a prevenire il rischio di infezione SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro contribuendo, altresì, alla prevenzione della diffusione dell’epidemia». L’Inail sottolinea il «ruolo cardine del medico competente nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori» ed evidenzia che il suo coinvolgimento in una situazione del genere debba andare «al di là dell’ordinarietà». Questo ruolo centrale si manifesta soprattutto «nell’identificazione dei soggetti suscettibili e per il reinserimento lavorativo di soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2».

Chi è il medico del lavoro?

La professoressa Giovanna Spatari, docente all’Università di Messina, è presidente della SIML, la Società italiana di medicina del lavoro. «Il medico competente – spiega – è normalmente uno specialista in Medicina del lavoro; può essere anche specializzato in Igiene o in Medicina legale, ma in questi casi per accedere al ruolo deve prima affrontare un master abilitante». Questa figura è prevista dal decreto legislativo numero 81/2008. «Sono 6-7000 i medici competenti in Italia, e sono iscritti in un registro apposito tenuto dal Ministero della Salute», spiega Spatari. «Possono svolgere la loro attività da dipendenti o collaboratori di una struttura esterna all’azienda, convenzionata con l’imprenditore che ne richiede la consulenza. Oppure possono essere liberi professionisti o anche dipendenti del datore di lavoro cui prestano la loro opera».

Uno studio del CERGAS (Centro di Ricerche sulla Gestione della Assistenza Sanitaria e Sociale dell’Università Bocconi) del 2012 evidenziava queste percentuali: 85% sono liberi professionisti, 27% collaboratori di strutture che erogano servizi alle imprese, una quota minima di medici assunti come dipendenti delle aziende in cui operano.

Quali sono le attività principali?

«Il medico competente si occupa di prevenzione a 360 gradi. È un consulente globale del datore di lavoro. Significa che partecipa attivamente alla valutazione del rischio sanitario, collaborando alla stesura dal Documento di valutazione di rischio previsto dalla legge; effettua sopralluoghi nei luoghi di lavoro, partecipa alle riunioni in tema sicurezza, organizza corsi di primo soccorso e controlla la salute dei singoli lavoratori» spiega la professoressa Spatari. Quest’ultima è la classica visita di cui tutti abbiamo avuto esperienza, che serve a valutare l’idoneità della singola persona in funzione della mansione che ricopre e del rischio professionale a cui è esposta. «Queste sono le attività previste per legge, ma il medico competente può andare oltre: può partecipare ad attività di promozione della salute all’interno delle aziende. Siamo degli osservatori privilegiati, perché ogni anno circa 12 milioni di persone sono soggette a sorveglianza sanitaria operata da noi medici del lavoro. Visitiamo fasce di popolazione che, per età e stato di salute, non hanno ragione apparente per farsi visitare in altro modo. Spesso siamo gli unici che possono fare controllo e diagnosi precoce di malattie croniche».

Come cambieranno i compiti del medico del lavoro

Ora l’emergenza coronavirus porta in prima fila il medico competente. Anche se è indicato come figura centrale, nelle file della task force guidata dal supermanager Vittorio Colao, che sta progettando con il Governo il piano per la ripartenza, non siede un rappresentante della categoria. «Ma la SIML ha siglato un protocollo di intesa con il Minisero della Salute in gennaio, veniamo consultati e ascoltati e abbiamo rapporti fruttuosi di collaborazione con le istituzioni», spiega la presidente Spatari. «Il nostro sforzo operativo dovrà cambiare. Contribuiremo a identificare i soggetti fragili – immunodepressi o portatori di malattie croniche – e il personale che deve restare in smart working; incrementeremo l’attività informativa verso i lavoratori, sulle nuove procedure da adottare e su cosa fare in caso di sintomi di infezione – buone pratiche che spesso filtrano anche a casa, oltre i confini dell’ufficio. Nella Fase 2 avremo il problema della gestione dei pazienti che rientrano al lavoro post infezione, e della re-ingegnerizzazione degli spazi, dell’organizzazione del lavoro e del ricollocamento delle persone».

Poco budget e poca cultura sul medico del lavoro

Insomma, un vero ruolo di consulenza tout court, come e anche più di quanto previsto dalle norme. «Il problema è che su questa professione rimangono alcune criticità non risolte», spiega Marco Sartirana, ricercatore del Cargas-Bocconi. «Per certi versi quella del medico del lavoro è una disciplina cenerentola. Le grandi imprese strutturate la prendono sul serio, ma in tante realtà italiane è vista ancora come una figura burocratica e poco più. Le aziende hanno spesso ridotto all’osso i budget, pagando pochissimo il professionista che è, così, spinto a massimizzare le collaborazioni – e le visite – nel minor tempo possibile, e consentendogli pochi contatti con gli altri interlocutori dell’azienda, come il responsabile delle risorse umane o quello della prevenzione e sicurezza». Lo studio già citato sottolineava la frammentazione dell’attività dei medici competenti in numerose aziende di piccole dimensioni, e anche il fatto che molti operassero anche in altro settore (per la maggior parte come medici generici). L’emergenza è l’occasione per recuperare un ruolo centrale, anche perché il medico competente vive da sempre dentro una sorta di “conflitto di interessi”: è sì un collaboratore privato pagato dall’imprenditore, ma svolge anche un compito di interesse pubblico, perché opera per la tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori. Conclude la professoressa Spatari: «Il ruolo pubblicistico del medico del lavoro è una cosa sulla quale riflettere. Va rafforzato l’approccio di consulenza globale, non più di mero adempimento di visite mediche. Perché non è solo questo, è anche questo».

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