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Nuove cure per il melanoma: l’immunoterapia

Oggi la soluzione più all'avanguardia nella cura del melanoma è l'immunoterapia. La nostra esperta ci illustra le terapie più efficaci

Un neo che cambia colore oppure forma, o che comunque diventa “diverso” rispetto al solito: non perdere tempo, ma vai dal dermatologo per un controllo. E se è melanoma, non ti preoccupare, oggi ci sono cure che hanno ribaltato il destino di una persona, anche nei casi gravi.

Il melanoma

Se il melanoma è in fase iniziale è sufficiente l’intervento chirurgico. E il più delle volte non servono neppure trattamenti di chemio oppure radioterapia. Perché la guarigione è vicina al 100 % con la sola operazione. Ma è necessario ricordarsi sempre, quando ci si espone al sole, di proteggere la pelle con la massima attenzione. Cosa che non accade sempre, come hanno dimostrato i dati presentati all’Asco, il congresso mondiale di oncologia. Chi guarisce, infatti, in oltre cinque casi su dieci continua a mettere in pratica comportamenti sbagliati quando si espone al sole.

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Immunoterapia per il melanoma avanzato

Ancora oggi in molti casi, purtroppo, si ignorano i nei “strani”. E si rimandano i controlli dal dermatologo. Per fortuna però ci sono grandi novità proprio per i casi di melanoma avanzato. Oggi la soluzione più all’avanguardia è l’immunoterapia. “I dati ci hanno dimostrato che questa cura, quando funziona, è per tempi molto lunghi, ben oltre i cinque anni”, spiega Michele Maio, direttore di Immunoterapia Oncologica del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena. “E con numeri che sono destinati ad aumentare sempre di più, con le terapie future. Questo inoltre vale anche per le forme molto gravi, quando ci sono già metastasi: a un anno dall’inizio delle cure, oggi sta bene oltre il 70 % dei pazienti, contro il 25 % di qualche anno fa”.

Come funziona l’immunoterapia

“L’immunoterapia stimola il sistema immunitario del paziente a lottare contro il tumore”, aggiunge il professor Maio, tra i massimi esperti mondiali di queste cure innovative. “Sappiamo infatti che le cellule tumorali riescono a svilupparsi perché eludono il controllo del sistema immunitario“. Per non farsi riconoscere utilizzano dei particolari passaggi per insinuarsi nell’organismo, chiamati “checkpoint immunitari”. “Ne abbiamo già individuati due, chiamati con le sigle Ctla-4 e Pd-1, il più recente”, aggiunge il professor Maio. “Queste sostanze, chiamate biomarcatori, si possono rilevare con test sofisticati. E ci permettono di trattare solo pazienti selezionati e con il farmaco giusto”. Queste terapie bloccano l’effetto dei checkpoint e fanno sì che la cellula oncogena diventi visibile al sistema immunitario, che finalmente comincia a svolgere il suo compito fisiologico. Vale a dire, sconfiggere l’intruso. Insomma, è un modo del tutto diverso di affrontare il tumore rispetto a quanto avviene con le terapie classiche.

Immunoterapia combinata a chemio

“Nell’arco di pochi anni i cambiamenti sono già stati epocali, come abbiamo visto anche dallo studio Keynote-006 presentato al congresso mondiale di oncologia”, conclude il professor Maio. “E siamo solo all’inizio. I lavori continuano per identificare altri biomarcatori e per combinare vecchie e nuove terapie. Sono in corso ad esempio delle ricerche per valutare la combinazione tra immunoterapia e chemio, oppure radio. I primi dati ci stanno confermando che queste terapie possono lavorare in sinergia”.

La nuova molecola

In attesa che il vaccino allo studio in Germania diventi fattibile, non mancano dunque le opportunità di cura, alcune già nella pratica clinica, altre allo studio. “Le frontiere dell’immuno-oncologia si stanno allargando”, dice il professor Di Maio, tra i massimi ricercatori mondiali. “Basti pensare ad esempio alla molecola chiamata pembrolizumab, che è in fase di studio in più di 30 tipi di tumore. Ha già dimostrato la sua efficacia in molte neoplasie come il melanoma, il tumore del polmone, i tumori della testa e del collo, e alcune neoplasie ematologiche”.

Immunoterapia: gli studi in corso

L’importante adesso infatti non è più tanto il tipo di tumore, ma la presenza del “valico”. Se viene evidenziato coi test, può essere impostata la terapia. Questo ha permesso alla ricerca di indirizzarsi anche verso neoplasie fino ad ora orfane di trattamento, come il mesotelioma pleurico, quello causato dall’amianto, e i tumori della vescica. “Alcuni degli studi in corso sono chiamati “basket” perché includono pazienti con diversi tipi di tumore”, conclude il professor Di Maio. “Al momento ad esempio a Siena ne abbiamo in corso uno, chiamato Keynote-158, che coinvolge malati con dieci forme oncologiche differenti”.

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