Condom

I giovani non usano il preservativo: ecco i rischi

I dati sono allarmanti: i giovani non usano il preservativo. E così aumentano le malattie a trasmissione sessuale, clamidia in testa. Ecco cosa provoca e i rischi per la salute 

Negli Stati Uniti per i teenager al primo posto tra le malattie sessualmente trasmissibili oggi c’è la clamidia. Che è tra le più infide: se non viene diagnosticata e curata tempestivamente, può anche portare a sterilità nelle donne. La colpa di questo picco? Il mancato uso del profilattico.

I rischi per la salute

Ma non puntiamo il dito contro i ragazzi oltreoceano. L’Europa, Italia compresa, sta rapidamente raggiungendo il podio. «Purtroppo si è sensibilmente abbassato il livello di attenzione», spiega Massimo Origoni, professore di ginecologia, Università Vita Salute San Raffaele di Milano. «E questo porta con sé rischi importanti per la salute. Non dimentichiamoci infatti che l’utilizzo del profilattico tiene lontano anche il pericolo di HIV, oltre che di tutte le altre malattie sessualmente trasmissibili».

L’emergenza clamidia

Il problema della clamidia è che molto spesso non ha sintomi. È provocata da un batterio che si chiama Chlamydia trachomatis. E si trasmette unicamente quando si ha un rapporto sessuale non protetto con chi a sua volta ha già la malattia. I dati dicono che se uno dei due partner è infetto, le probabilità di trasmissione all’altro sono del 20% e la durata media dell’infettività, se l’infezione non viene curata, può arrivare fino ad un anno.

Clamidia e HIV

Non solo. Secondo alcuni dati, le donne affette da clamidia potrebbero avere una probabilità di rischio di contrarre il virus dell’HIV cinque volte più alta rispetto a una donna sana. Per questo è importante utilizzare sempre il preservativo, sia con un compagno occasionale, sia all’inizio di una relazione più stabile. Il lattice di cui è composto il profilattico infatti funziona come una barriera insuperabile. Il preservativo però va indossato anche durante i rapporti preliminari dal momento che la Clamidia, come tutte le malattie a trasmissione sessuale, si può contrarre anche attraverso il contatto con le mucose genitali, anali e della bocca.

Il test per la clamidia

Negli States comunque qualcosa è stato fatto. Il CDC di Atlanta, Center for Diseases Control and Prevention, l’ente statunitense che si occupa di prevenzione, ha raccomandato il test per la clamidia agli adolescenti che frequentano la High School, cioè nella fascia di età tra i 17 e i 19 anni. Che rappresenta la fascia più a rischio perché è il periodo in cui le ragazze cambiano il partner con maggiore frequenza. Secondo gli esperti americani, con un controllo annuale preventivo la malattia verrebbe colta e curata in circa otto casi su dieci, spezzando la catena di trasmissione. «E’ un tampone da effettuare per via vaginale», aggiunge il professor Origoni. «Il test si può effettuare in qualsiasi ambulatorio ginecologico se c’è la prescrizione del proprio medico curante. E’ indicato quando ci sono episodi ricorrenti di altre malattie sessualmente trasmesse, come anche una semplice candida. Questo perché molto spesso la clamidia porta con sé un aumento di co-infezioni».

Come si cura la clamidia

Di per sé non è una malattia grave se viene ben curata. «Se il test è positivo, è sufficiente una cura antibiotica per eliminare il batterio e di conseguenza abbattere il rischio di infertilità negli anni a venire», aggiunge il nostro esperto. «A patto poi di iniziare a utilizzare il profilattico». Nel 2013 proprio per arginare le malattie sessualmente trasmissibili, l’American pediatrics decise di promuovere la distribuzione gratuita di profilattici nelle scuole. L’iniziativa però ha portato con sé grandi polemiche e non sappiamo se è stata messa in pratica. Certo è che l’alternativa al preservativo è l’astinenza sessuale, poco proponibile agli adolescenti. «Nelle scuole medie italiane vengono programmati incontri informativi sulla sessualità e sull’utilizzo del condom per la prevenzione delle infezioni», conclude il professor Origoni. «Ma non sono sufficienti. Bisogna riattivare e incentivare campagne di informazione di più ampio respiro, che coinvolgano la fascia di teenager più a rischio».

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