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Separazioni e affido: le risposte ai vostri dubbi

Il ddl Pillon sull’affido condiviso e la bigenitorialità ha sollevato polemiche e dubbi sulle novità, ma anche su quanto già previsto dalle norme attuali. A rispondere è l’esperto Lorenzo Puglisi, avvocato specializzato in Diritto di famiglia, fondatore dell’Associazione FamilyLegal

Il tema delle separazioni e dell’affido condiviso è al centro dell’attenzione a causa delle polemiche sollevate dal disegno di legge Pillon. L’obiettivo sarebbe rafforzare la bigenitorialità ma c’è chi ritiene che creerebbe ancora più probelmi di quelli già esistenti. All’argomento abbiamo dedicato una diretta sulla pagina Facebook di Donna Moderna, alla quale molte lettrici hanno partecipato, sottoponendoci le loro domande e i loro dubbi. A questi e ad altri aspetti risponde l’avvocato Lorenzo Puglisi, specializzato in Diritto di famiglia, fondatore dell’Associazione FamilyLegal.

Cos’è l’affido condiviso e cosa prevede la legge attuale del 2006?

Con la legge attuale entrambi i genitori interagiscono già nella scelta di tutto ciò che riguarda la crescita e la salute dei figli, dalla scuola alle attività sportive, ecc. Ben diverso è il collocamento: il genitore definito “collocatario” rappresenta il punto di riferimento stabile del bambino. Il giudice lo individua perché si ritiene che il bambino, specie in tenera età, non sia un” pacco postale” da spostare tra le case dei genitori, ma debba avere un “nido familiare”. Si prevede comunque una finestra temporale da dedicare all’altro genitore non collocatario, che in molti casi è il papà, e che spesso ottiene spazi molto ampi.

Cosa cambierà con il ddl Pillon, se dovesse passare?

Siamo in una fase prematura per poter prevedere le conseguenze. Il disegno di legge prevede che entrambi i genitori siano collocatari, quindi verrebbe meno il punto di riferimento stabile che, in genere è la ex casa coniugale. Ma gli ostacoli all’approvazione sono tanti, c’è persino il rischio di incostituzionalità. Una difficoltà pratica di immediata comprensione? Per esempio, non tutti i genitori hanno la disponibilità di tempo da dedicare alla cura dei figli, specie nel pomeriggio, per ragioni lavorative. Chi non può contare sui nonni, dovrebbe necessariamente ricorrere all’aiuto di una baby sitter o tata, ma non tutti possono permettersi questa spesa.

La nuova legge responsabilizzerà di più i padri?

Anche oggi i padri sono titolari dei medesimi diritti delle madri, per esempio possono interagire nella scelta della scuola, delle attività extrascolastici, del medico, ecc. A volte hanno meno spazi di tempo per occuparsi dei figli, anche se stanno già aumentando. Ciò che potrebbe cambiare è l’obbligo di pernottamento anche dal padre, che molti giudici tendono oggi a non concedere per evitare che i figli vivano situazioni di stress e sia garantita una certa omogeneità nella gestione della quotidianità.

Assegno di mantenimento: quanti sono e a cosa servono?

Esistono due tipologie di assegni: una per il/i figlio/i e una per l’ex coniuge. Quest’ultimo già oggi non è affatto scontato. Se un uomo o una donna è percettore di reddito o è in grado di lavorare (magari ha 30/35 anni, un titolo di studio e potrebbe immettersi nel mondo del lavoro), non può chiedere un sussidio. È da tempo, quindi che i tribunali non considerano più gli assegni di mantenimento all’ex coniuge come un “vitalizio”. Per quanto riguarda l’assegno ai figli, dipende molto dall’orientamento dei tribunali, con differenze anche territoriali: ci sono giudici che già oggi escludono il contributo al mantenimento dei figli se i padri (o le madri) trascorrono con loro metà della settimana, perché provvedono al loro mantenimento. 

Con il ddl Pillon sparirà l’assegno di mantenimento? Perché?

Ad oggi l’assegno di mantenimento per i figli copre le spese di vitto (cibo) e vestiario, ma spesso ha anche lo scopo di colmare le spese accessorie che incidono sul fabbisogno familiare, sostenute dal genitore collocatario (ad esempio per casa, condominio, ecc), dunque ha anche una funzione compensatoria. L’obiettivo del disegno di legge sarebbe quello di evitare che alcuni genitori possano approfittare di questa situazione. Resiste infatti il luogo comune (che di rado corrisponde alla realtà) secondo cui soprattutto le madri approfitterebbero dell’assegno per non lavorare.

Da questo punto di vista c’è un rischio di incostituzionalità. Se è vero che ciascun adulto deve essere messo nelle condizioni di poter lavorare, se ha una capacità lavorativa, e dunque non deve unicamente contare sull’assegno come se fosse un vitalizio, è altrettanto vero che, a una certa età, diventa complesso rientrare nel mondo del lavoro, dopo essersi occupati a lungo della cura dei figli. Escludere la funzione complementare dell’assegno potrebbe quindi creare disparità che inciderebbero sul benessere delle persone. Non bisogna infatti dimenticare che ci sono molte donne che, senza il supporto economico dell’ex marito non riuscirebbero neppure a fare la spesa.

Se non c’è accordo, chi decide con chi deve stare il figlio e quanto? (I mediatori? I giudici tutelari?)

Al momento in caso di disaccordo esiste la possibilità di ricorrere a un giudice tutelare. Non tutti però hanno le risorse economiche per potersi affidare a un avvocato, né il tempo di aspettare (anche tre o quattro mesi) l’udienza davanti al tribunale. In questi casi il mediatore può dare consigli utili e aiutare a trovare un accordo più rapidamente, magari in una settimana, nell’ottica di privilegiare gli interessi dei figli.

Con il ddl Pillon il ricorso al mediatore diventa obbligatorio?

È uno dei punti cardine della legge. Va detto che già oggi si ricorre spesso al mediatori, anche dopo le sentenze, perché spesso queste non vengono rispettate oppure rimangono sfumature che i i giudici non hanno regolamentato. Al momento spessi ci si rivolge agli avvocati per questioni quotidiane (ad esempio chi deve portare i figli a catechismo o se iscriverli o meno a corsi di nuoto o danza). Questo aumenta il carico di lavoro dei magistrati, che magari fissano udienze a due o tre mesi. Un mediatore potrebbe snellire le procedure. È pur vero che i dati dimostrano che nei settori civilistici dove la mediazione obbligatoria esiste già, come quello contrattuale, la novità non ha portato grandi risultati: spesso ci si limita a prendere atto dell’impossibilità di trovare un accordo senza ricorrere a una causa.

Il disegno di legge prevede una bigenitorialità “perfetta”, ma cosa succede se uno dei due non permette all’altra di delegare nessuno per poter prendere i bimbi a scuola? Bisogna rivolgersi al giudice tutelare?

Sì, assolutamente. Spesso si cade in queste situazioni quando un genitore mira a creare delle difficoltà all’altro. Ma bisogna stare attenti a creare questo tipo di problemi. Nella maggior parte dei casi il tribunale conferma la delega a una terza persona nell’interesse dei figli. Se non si arriva all’accordo, invece, i figli potrebbero addirittura essere affidati ad assistenti o comunità protette. Meglio mediare.

Chi decide e, soprattutto, chi paga le spese mediche?

Da un paio di anni a questa parte in quasi tutto il nord Italia le corti d’appello hanno diramato un protocollo che distingue in maniera precisa le singole voci per le quali si deve richiedere la preventiva autorizzazione dell’altro genitore e quelle per le quali invece il genitore collocatario può decidere autonomamente. Le nuova legge potrebbe recepire questo protocollo. Per esempio, le spese mediche quotidiane (lo sciroppo per la tosse) o l’acquisto dei libri a inizio anno non richiedono autorizzazione preventiva, ma possono essere anticipate dal genitore collocatario che poi sarà rimborsato in misura proporzionale, secondo quanto stabilito dal giudice.

E le spese straordinario come lo sport?

In questo caso occorre la preventiva autorizzazione dell’altro genitore, altrimenti sono sostenute interamente dal genitore che ha deciso l’attività, come ad esempio l’iscrizione a un corso sportivo.

Se l’ex coniuge non lavora da tempo, l’assegno di mantenimento decade?

La legge non prevede un termine. Di caso in caso è il tribunale che decide se farlo proseguire oppure no. In linea teorica può essere anche indefinito nel tempo, ma la tendenza dei tribunali in sede divorzile è quella di prevedere un termine esatto oppure di escluderlo del tutto, se ci sono i presupposti come la piena capacità lavorativa o un buon tenore di vita.

Un caso concreto: se l’ex coniuge è laureato/a, un’età media (45 anni), ma non lavora si è tenuti all’assegno di mantenimento?

Se una donna ha 40/45 anni, è diplomata o laureata, è molto difficile che ottenga dal giudice un assegno di mantenimento.  

Se la casa di residenza è dei suoceri, chi rimane dentro e chi deve andare via?

È un tema molto dibattuto, ma la legge prevede in linea generale che rimanga al genitore collocatario, anche se non è di proprietà condivisa tra lui e l’ex coniuge. Si tratta del classico caso di “diritto di assegnazione” di un immobile anche su una proprietà altrui, che vale fino all’indipendenza economica dei figli.

Chi paga le spese di casa? E se l’ex coniuge non lavora?

Le spese in genere sono carico dell’inquilino, dunque di chi ci abita, così come le utenze (luce, gas, telefono). Il genitore collocatario e assegnatario dell’immobile, dunque, riceverà un assegno di mantenimento, stabilito dal giudice in misura congrua a coprire le spese, nell’interesse dei figli.

Perché quando ci si separa o si divorzia si arriva a non voler più pagare neppure per i figli? 

Come spesso accade vanno fatte delle distinzioni. Esistono padri che vivono la genitorialità in modo sano e riescono a considerare prioritari gli interessi dei figli rispetto ai propri, ma ci sono anche genitori (non necessariamente padri), che invece per attitudine, fragilità personale o altri motivi non riescono a non considerare i figli come appendici della figura materna, dunque come oggetto di contesa o espressione di una volontà materna. In questi casi si può ricorrere alla mediazione, che comunque non è obbligatoria e serve nei casi nei quali non si riescono a dirimere le questioni quotidiane.

Fino a quando l’assegno ai figli è dovuto? Esiste un’età massima?

In genere si deve corrispondere l’assegno di mantenimento ai figli fino alla loro indipendenza economica. Normalmente, se vanno all’università, la media si attesta intorno ai 26 anni, altrimenti si attende che abbiano trovato un lavoro stabile, che non significa più a tempo indeterminato, perché la società cambia ed è cambiata. Piuttosto si intende un’occupazione che gli consenta di percepire un reddito per poter pagare un canone d’affitto o le proprie spese primarie. In ogni caso l’errore da non fare è quello di smettere di erogare l’assegno in modo unilaterale, quando si ritiene che il figlio sia autosufficiente: occorre, invece, trovare un accordo con l’altro genitore, oppure rivolgersi al tribunale per una rettifica degli accordi di separazione o divorzio. Se ciò non accade si rischia un’azione di recupero delle somme non più versate.

La reversibilità del coniuge che paga gli assegni decade nel momento in cui questo stesso si risposa?

Intanto prima di avere diritto alla reversibilità occorre ottenere, in sede di divorzio, l’assegno di mantenimento divorzile, senza il quale non si potrà avere diritto neppure alla reversibilità. In questo caso, al momento del decesso verrà fatta una ripartizione sulla base degli anni di durata del matrimonio. Per fare un esempio: se il primo matrimonio è durato 30 anni e il secondo 5 o 10, la reversibilità sarà calcolata in modo proporzionale.

Cosa succede se l’ex coniuge va in pensione? Resta l’assegno per il figlio maggiorenne e disoccupato?

È sempre tenuto al mantenimento dei figli. Se la pensione è di gran lunga inferiore al suo stipendio potrà fare istanza e chiedere di modificare le condizioni, diminuendone l’entità, ma non c’è un limite legato all’età dei figli. I giudici valuteranno eventualmente se revocare l’assegno, nel caso in cui si provi che il figlio è “pigro” o abbia  un lavoro in nero, ma il genitore non può sospenderlo in modo autonomo, pena una querela, perché incapperebbe nel reato di mancata corresponsione dell’assegno ai figli (570 bis cp).

Con questa legge i padri saranno più tutelati? Si eviterà l’”alienazione parentale”?

Sicuramente in passato c’è stato un eccesso di tutela nei confronti della figura femminile, soprattutto negli anni ‘90. Oggi non è più così: molti tribunali da anni non prevedono più assegni che mettano in ginocchio i papà. Per fare un esempio, nel momento in cui il padre guadagno circa 1.000 euro al mese, l’assegno di mantenimento si attesta intorno ai 200 euro. Occorre evitare di cadere nei luoghi comuni, perché è necessario conoscere le singole situazioni.

L’alienazione parentale esiste in molti casi, quando un genitore, spesso chi è stato tradito, cova del rancore nei confronti dell’ex coniuge e lo trasmette ai figli, tanto che questi arrivano a non chiamarlo più “papà” o “mamma”, ma col nome di battesimo. Esiste, però, già oggi lo strumento della CTU, quindi una consulenza tecnica affidata a un perito per accertare se i genitori tendono a isolare l’altra figura genitoriale. C’è anche la possibilità di spazi neutri per gli incontri o della presenza di assistenti che possono fornire un supporto al genitore isolato nella gestione dei figli. È però evidente che nessuno potrà mai entrare nelle singole case a controllare ogni singola conversazione, quindi il problema è di difficile soluzione.

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