«Forse non sono all’altezza di questo palco e di questa attenzione, ma essere all’altezza non è più il mio problema, è un punto di vista». Se la psicologa inglese Sandi Mann avesse ascoltato Elodie al Festival di Sanremo, probabilmente avrebbe pensato: «Questa ragazza ha la sindrome dell’impostore, o quantomeno l’ha avuta». E, ammettiamolo, quanti di noi (io, sì) si sono ritrovati nelle sue parole, nella sua insicurezza, nell’incapacità di comprendere e accettare le belle cose che ci capitano e ci meritiamo?

«L’incredulità davanti a un successo, il sentire di non meritare ciò che invece ci siamo guadagnati è una “malattia” del nostro secolo»,

riflette Sandi Mann, che sulla sindrome dell’impostore ha appena scritto La sindrome dell’impostore. Perché pensi che gli altri ti sopravvalutino (Feltrinelli). E chiarisce: «Non è solo mancanza di autostima, l’auto-percezione di non essere abbastanza bravi. Ciò che caratterizza la sindrome dell’impostore è la discrepanza tra gli ottimi risultati ottenuti e la convinzione di non esserne comunque all’altezza. Se tutti pensano che sei bravo, è perché hai oggettivamente raggiunto certi livelli; eppure tu pensi lo stesso di non essere la persona che gli altri credono tu sia: perciò vivi con la costante paura di essere smascherato». La cosa incredibile, continua la psicologa, è che ne sono “vittime” soprattutto le persone che hanno tagliato traguardi importanti, gente di cui dici: «Wow! Vorrei essere come loro». Come Jodie Foster, vincitrice di un Oscar nel 1988 per Sotto accusa, che in un’intervista ha dichiarato: «Pensavo fosse un colpo di fortuna. Sarebbero venuti a casa mia, avrebbero bussato alla porta e avrebbero detto: “Ci scusi, in realtà intendevamo darlo a Meryl Streep”».

Nello studio di Sandi Mann, in Inghilterra, arrivano molti in preda a stress e ansia perché convinti che «tutti pensano che sia un figo, ma si sbagliano!». Tante le donne, che sono state oggetto di ricerca già negli anni ’70 da parte delle studiose Pauline R. Clance e Suzanne A. Imes, che per prime hanno coniato il termine. «Io l’ho ampliato con la mia esperienza clinica e ho notato che negli ultimi anni di sindrome dell’impostore soffrono sempre di più entrambi i generi, e fuori dagli ambiti lavorativi. È una questione di pressioni sociali e culturali. Agli uomini si richiedono alte performance nel lavoro, ma anche nell’aspetto fisico – la necessità di avere un corpo atletico, per esempio – mentre per le donne conta ancora l’area della maternità, che è quella dove si ritiene debbano dare il meglio».

Così, anche se sono soddisfatte della propria carriera, si sentono delle impostore come madri. «Arrivano pazienti che mi dicono: “Mi chiamano super mamma. eppure non sono così brava: i miei bambini vanno a scuola con i vestiti sporchi!”. Ritengono di dover essere perfette in ogni cosa, così da soddisfare le aspettative che gli altri hanno su di loro. Ma nessuno è perfetto. E il problema con la sindrome dell’impostore insorge quando queste pressioni esterne diventano troppo pesanti».

La domanda, a questo punto è: com’è che una persona inizia ad avere la sindrome dell’impostore?

«Ci sono diverse ragioni. Magari è cresciuta in una casa dove era criticata in continuazione. Oppure, al contrario, veniva messa su un piedistallo dai genitori, ha avuto successo molto presto e senza faticare: così quando arrivano i primi fallimenti va in crisi. Ancora, può appartenere a gruppi sociali poco rappresentati: donne che fanno carriera in un settore prettamente maschile, membri di una minoranza etnica… Non c’è una sola ragione. E non necessariamente è colpa della famiglia». Così come non c’entra l’autostima, ribadisce Sandi Mann: «Le persone con una bassa autostima sanno di non essere eccezionali, così come lo sa la gente che le circonda: quindi non vivono con la paura di essere smascherate, che è un tratto fondamentale della sindrome dell’impostore».

La sindrome dell’impostore “colpisce” 7 persone su 10

«Lo rivelano prestigiose ricerche, per esempio quella pubblicata sull’International Journal of Behavioral Science. Dicono che, entro certi limiti, è un aspetto normale della personalità. È il chiamarla sindrome che fa pensare di doverla trattare e curare: non è necessariamente così, se non porta a un disagio psicologico. Io ripeto sempre che sono quei 3 su 10 che non ce l’hanno a doversi preoccupare, perché affrontano la vita come se tutto fosse loro dovuto, come se quello che toccano diventasse oro, e non si interrogano mai sulle cose». Bene, penso, tirando un sospiro di sollievo. Perché ho fatto il test di autovalutazione che c’è nel libro di Sandi Mann e ho totalizzato 46: significa che non ho la sindrome dell’impostore, ma anche che non ho esattamente una granitica certezza in me stessa.

«A volte un po’ di insicurezza ci vuole. Ti spinge a migliorarti, a dire “forse non sono così brava come penso”, a continuare a esercitarti, a confrontarti con colleghi e capi. È positiva perché ti rende meno arrogante» sottolinea la psicologa. «Ma dobbiamo stare attenti a non farci sopraffare perché vuol dire diventare ansiosi o depressi. Darei questo consiglio: guardate ciò che avete fatto, i traguardi che avete raggiunto, le capacità che avete utilizzato. Metteteli su carta e chiedete a un’amica se queste cose ve le siete meritate. Poi pensate a come voi giudicate quell’amica in base ai suoi traguardi. E rendetevi conto di come spesso usiate un doppio standard per valutare: più severo con voi stessi, più indulgente con gli altri».

E tu, hai la sindrome dell’impostore? Scoprilo con questo test

1. Quanto vi è facile accettare gli elogi?

1. Molto difficile. 2. Piuttosto difficile. 3. Piuttosto facile. 4. Molto facile.

2. Quando fate bene qualche cosa, quanto è probabile che la sminuiate perché in realtà non era una gran cosa (dicendo, per esempio: era facile, chiunque ce l’avrebbe fatto, non era niente di speciale?)

1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

3. Quando fate qualcosa bene, quanto è probabile che attribuiate il successo alla fortuna?
1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

4. Quando fate qualcosa meno bene, quanto è probabile che attribuiate il fallimento alla sfortuna?
1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

5. Quando fate qualcosa non bene, o fallite, quanto è probabile che attribuiate il fallimento alla vostra man- canza di capacità o al non aver lavorato con sufficien- te impegno?

1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

6. Quando fate qualcosa bene, quanto è probabile che attribuiate il successo all’intervento di altri (dicendo per esempio: mi hanno aiutato)?
1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

7. Quando fate qualcosa male, quanto è probabile che attribuiate il fallimento all’intervento di altri (dicendo per esempio: è stata colpa loro)?
1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

8. Quanto è importante essere la persona più in gamba in qualcosa che conta molto per voi?
1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

9. Quanto è importante il successo per voi?

1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

10. Quanto è probabile che vi concentriate su quello che non avete fatto bene, anziché su quello che avete fatto bene?
1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

11. Quanto è importante trovare un “eroe” con cui fare amicizia e su cui fare colpo?
1.
Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto

12. Quanto spesso avete paura di esprimere le vostre idee perché gli altri non scoprano la vostra carenza di conoscenze?
1. Molto spesso. 2. Abbastanza spesso.

3. Non molto spesso. 4. Mai o raramente.

13. Quanto spesso non riuscite ad avviare un progetto per paura di fallire?
1. Molto spesso. 2. Abbastanza spesso.
3. Non molto spesso. 4. Mai o raramente.

14. Quanto spesso non vi sentite inclini a concludere un progetto perché non è abbastanza buono?
1. Molto spesso. 2. Abbastanza spesso.
3. Non molto spesso. 4. Mai o raramente.

15. Quanto potete convivere con un lavoro che avete concluso e che sapete non essere perfetto?
1. Per niente. 2. Non molto.
3. Abbastanza. 4. Tranquillamente.

16. Quanto spesso pensate di essere impostori?

1. Molto spesso. 2. Abbastanza spesso. 3. Non molto spesso. 4. Mai o raramente.

17. Quanto vi preoccupa che la vostra mancanza di competenza/talento/capacità venga scoperta?
1. Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Per nulla.

18. Quanto è importante per voi il riconoscimento da parte degli altri (per esempio, gli elogi)?
1.
Molto. 2. Abbastanza. 3. Non molto. 4. Nient’affatto.

Come valutare il punteggio

Il numero a sinistra di ciascuna risposta indica il punteggio. Il punteggio minimo è 17, il massimo 72. Quanto più basso è il punteggio, tanto più è probabile che soffriate di sindrome dell’impostore. Come indicazione molto generale: punteggi inferiori a 36 indicano che probabilmente avete qualche tratto della sindrome.