Stare in casa è il nuovo uscire? Tutt’altro

  • 20 05 2016

Lo lascia intuire il successo di un gruppo Facebook popolatissimo. Adesso se n'è accorto pure il New York Times. Ma come si fa quando i figli sono troppo creativi e i genitori troppo disordinati?

Scrivo all’indomani di un weekend di clausura forzata. I primi due giorni di caldo sole primaverile dopo che il ciclone Poppea ci ha lungamente inzuppati, lasciando sul tappeto la Settenne. Mal di gola e febbrone. Ergo: tutti in casa per il weekend.

Ma i malanni dei piccoli, lungi dall’essere invalidanti, hanno l’effetto di un boost creativo. E così: forbici, carta, colla, colori, nastri, adesivi, tempere. Alla domenica sera: splendidi manufatti, casa inagibile.

Ho finto di non accorgermene e goduto di tutto ciò che la contemporaneità offre.

Ho cenato con i piatti del mio ristorante preferito ordinandoli su un’app di consegna a domicilio.

Ho visto per la prima volta l’intera saga di Star Wars, scaricandola su Google Play.

E ho letto, letto, letto senza dover andare in edicola.

Soddisfatta? Non proprio.

Eppure, secondo il New York Times, avrei trascorso un weekend molto cool.

Per gli americani Stare a casa è il nuovo uscire, come titola un articolo in cui si dice:

«Il cibo, il divertimento, il romanticismo: i fondamentali del nostro weekend sono ora disponibili su richiesta. La forza centripeta delle nostre case non è mai stata più forte».

E lo pensano pure gli italiani, a giudicare dal grande successo della pagina Facebook Stare in casa is the new uscire: 70.000 fan che condividono la filosofia della fondatrice, ovvero che non esiste un luogo di godimento che possa competere con la casa.

Ed eccola lì, la falla. Il punto è che con due bambine e un’indole profondamente disordinata, la casa per me non è affatto uno spazio di godimento, ma un terreno minato dove stare attenta a ciò che calpesto.

Un luogo dove tutto quello che mi occorre non è mai al suo posto.

E dove qualsiasi angolo-rifugio va prima liberato da ciò che lo occupa abusivamente.

E poi concordo con Molly Young, che alla fine del suo pezzo sul New York Times dice:

«Uscire è il modo in cui cresciamo, sfidiamo noi stessi e scopriamo cose che non sono state costruite su misura per i nostri interessi da un algoritmo».

«Mamma, questo weekend è sembrato lunghissimo» mi ha detto la Settenne domenica sera.

«Non dirlo a me, tesoro».

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