Da 630 a 400 deputati, da 315 a 200 senatori: saranno così le nuove Camere ridisegnate dalla vittoria del “Sì” al referendum del 20 e 21 settembre. Ma per vedere Montecitorio e Palazzo Madama svuotati di un terzo, bisognerà attendere le prossime elezioni (nel 2023, se la legislatura arriva alla scadenza naturale). La riforma è ormai legge dello Stato, ma non è ancora effettiva. Perché lo diventi, c’è un po’ di strada da fare.

Il primo passo è ridisegnare i collegi elettorali

Il primo passo è ridisegnare i collegi elettorali per assicurare la rappresentatività dei cittadini. «È come se dopo una dieta fossimo passati da 100 a 70 chili, bisogna riprendere le misure ai vestiti» spiega il costituzionalista Sabino Cassese. «E, ancora, andranno aggiornati i regolamenti parlamentari, che disciplinano il lavoro e la composizione di giunte e commissioni». Toccherà a queste Camere farlo, tenendo conto delle nuove proporzioni: ci dovranno essere 1 deputato ogni 151.000 abitanti e un senatore ogni 302.000.

Ma i collegi sono un nodo semplice da sciogliere rispetto alla partita politicamente più delicata: quale sarà la nuova legge elettorale? Il 10 settembre alla Camera è stato depositato un testo base che prevede un sistema proporzionale puro (ogni partito ha un numero di seggi proporzionale ai voti ricevuti), con soglia di sbarramento al 5% e alcune tutele per i partiti più piccoli. «Questa ipotesi favorisce le coalizioni e piace a Pd e M5s, ma non convince le opposizioni, che preferirebbero un maggioritario dove la coalizione che vince ha i numeri per governare, a tutela della stabilità dell’esecutivo» continua il costituzionalista. «Leu e Italia Viva chiedono, invece, di abbassare lo sbarramento. La discussione potrebbe rivelarsi lunga».

L’età necessaria a votare per il Senato: 25 o 18?

Si discute anche di abbassare, da 25 a 18 anni, l’età necessaria a votare per il Senato. Spiega Cassese: «La logica è che riducendo il vertice della piramide elettorale, cioè gli eletti, è utile allargarne la base». Che intanto andrebbe resa differente. «Le Regioni sono molto diverse. Pensiamo a Lombardia e Valle D’Aosta: un elefante e una formica» osserva il costituzionalista.

Per tutelare entrambe, la prima dal rischio di essere sottorappresentata rispetto al suo peso e la seconda da quello di poter esprimere pochissimi candidati (penalizzando dunque soprattutto i partiti minori o locali), il voto va reso più omogeneo. «La soluzione in questo caso sembra essere suddividere i seggi su base circoscrizionale e non più regionale». Di questo si occupa un’altra proposta di legge già depositata alla Camera.