Eutanasia: bocciato il referendum

Dopo la bocciatura dl referendum sull'eutanasia, la parola torna al Parlamento, che sta discutendo una proposta di legge. Il punto anche sul suicidio assistito

Dopo la bocciaatura del referendum sull’eutanasia, il 17 febbraio è iniziata la discussione della proposta di legge in Parlamento. Tante sono le proposte di modifica, che rendono incerta la navigazione parlamentare del fine vita, nonostante la spinta che viene dalla bocciatura da parte della Consulta del referendum. L’emendamento che voleva sopprimere tutto il testo è stato respinto con una maggioranza ampia benché con voto segreto e con molte assenze nelle file del centrodestra. Ora la proposta di legge deve affrontare 150 emendamenti e poi passare al Senato.

La Corte costituzionale i giorni scorsi aveva ritenuto inammissibile la consultazione popolare sul fine vita. Delusione da parte del comitato promotore, in particolare l’Associazione Luca Coscioni che aveva raccolto circa 1 milione 300mila firme e annunciava: «Il cammino verso la legalizzazione dell’eutanasia non si ferma. Come con Piergiorgio Welby e dj Fabo, andremo avanti con disobbedienza civile, faremo ricorsi. Eutanasia legale contro eutanasia clandestina».

Stop al referendum sull’eutanasia

«La Corte costituzionale – come si legge in una nota divulgata il 15 febbraio – si è riunita in Camera di consiglio per discutere sull’ammissibilità del referendum ritenendo inammissibile il quesito referendario» perché, pur prevedendo un’abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (“Omicidio del consenziente”), «non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».

La reazione dei promotori

«La Corte ha deciso. Abbiamo comunque gettato il seme per una nuova stagione laica e di democrazia nel nostro Paese. Grazie a tutti coloro che hanno dato forza alla nostra battaglia» ha commentato a caldo su Facebook Filomena Gallo, segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. Dura anche la reazione di Mina Welby, moglie di Piergiorgio: «Provo tanta tristezza pensando alle persone più vulnerabili le cui richieste resteranno inascoltate. Rimane l’ultima “speranza” del Parlamento…vorrei personalmente fare qualcosa per sensibilizzare al tema, non so ancora cosa». Sulla decisione della Consulta è intervenuto anche Beppino Englaro, padre di Eluana: «C’era da aspettarsi questo nel nostro contesto, purtroppo, questa è la situazione culturale nel nostro Paese. Ma questo problema va affrontato perché sono i cittadini che vogliono una risposta. Se il Parlamento non la dà, bisogna allora aspettare che maturino i tempi».

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Ora si lavora a una legge

Il 17 febbraio è iniziato l’iter in Parlamento, dove alla Camera riprende l’esame della proposta di legge sul fine vita. Nell’ultima seduta i lavori si erano conclusi con la discussione sull’insieme di tutti gli emendamenti. In realtà si attende da tempo di colmare il vuoto legislativo su questa materia. Già nel 2013 era stata presentata una proposta di legge popolare, che aveva ottenuto 67mila firme. Oggi sono 140mila, ma il testo è rimasto fermo alla Camera dei Deputati senza essere mai stato esaminato in 8 anni.

Il caso di Mario: si avvicina il suicidio assistito

Per Mario, l’uomo di 44 anni tetraplegico dopo un incidente stradale e che da quasi due anni attende di poter accedere al suicidio assistito, si avvicina il momento di dare il via al trattamento. Una commissione di esperti ha deciso quale farmaco potrà assumere, ossia il Tiopentone, e con che protocollo. Dopo questa decisione la vicenda potrà concludersi a breve, dopo che Mario ha dovuto procedere con più denunce nei confronti dell’Azienda sanitaria regionale delle Marche (Asur) per ritardi e inadempienze. Il suo è il primo caso in Italia in cui è stata applicata la sentenza della Corte costituzionale del 25 settembre del 2019, sul cosiddetto “caso Cappato”. I giudici hanno di fatto riconosciuto che per Mario sussistono le condizioni previste per il suicidio assistito. Anche il Comitato etico dell’Asur aveva dato il proprio assenso, lo scorso novembre, ma l’Azienda sanitaria tardava a indicare le procedure da seguire, come appunto il farmaco e il suo dosaggio. «La validazione del farmaco e delle modalità di auto-somministrazione creano finalmente un precedente che consentirà a coloro che si trovano e si troveranno in situazione simile a quella di Mario di ottenere, se lo chiedono, l’aiuto alla morte volontaria senza dover più aspettare mesi» ha commentato Marco Cappato, dell’Associazione Luca Coscioni, che ha assistito Mario e che ha raccolto le firme anche per il referendum sull’eutanasia legale.

L’iter sul suicidio assistito in Parlamento

Nei mesi scorsi si è tornati a parlare di fine vita per due motivi: da un lato la raccolta firme per un referendum sull’eutanasia legale, che ha ampiamente superato le 500.000 adesioni minime richieste. Dall’altro l’ordinanza “storica” e prima nel suo genere, da parte proprio del Tribunale di Ancona, che ha imposto alla Asur di verificare le condizioni di Mario per accedere al suicidio assistito, attuando di fatto la “sentenza Cappato”. Si tratta, infatti, di un tema di cui si discute da anni, soprattutto in occasione di casi clamorosi come quello di Dj Fabo, Fabiano Antoniani, che nel 2017 scelse di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera. Ad accompagnarlo era stato Marco Cappato, esponente dell’associazione Luca Coscioni, che poi si autodenunciò. Il 23 dicembre 2019 arrivò un’assoluzione, ma non solo.

La Corte costituzionale aveva chiesto un intervento urgente al Parlamento per colmare un “vuoto legislativo”, dando un anno di tempo, trascorso il quale (senza essere arrivati ad avere una legge) aveva deciso in materia, aprendo al suicidio assistito.

Oltre al caso di Mario c’è stato anche quello di Daniela, paziente oncologica morta il 5 giugno, lasciando un video messaggio.

Il caso di Daniela

«Ho vissuto una vita da persona libera. Vorrei essere libera di morire nel migliore dei modi». Così aveva dichiarato Daniela, 37enne pugliese affetta da una grave forma di tumore fulminante al pancreas che, diversamente da Dj Fabo, non ha fatto in tempo ad andare in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito. Aveva contattato l’Associazione Luca Coscioni e lo scorso febbraio aveva chiesto alla Asl di Roma dove viveva la verifica e l’attestazione delle condizioni per ricorrere al suicidio assistito, in sentenza 242/2019 della Consulta. Ma la domanda era stata rifiutata e così ha presentato ricorso d’urgenza al Tribunale di Roma, con un’udienza fissata per il 22 giugno. Troppo tardi, perché nel frattempo Daniela è morta.

«La raccolta firme era stata decisa prima e la richiesta risale ad aprile, ma certo il caso di Daniela è esemplare: in Italia non esiste ancora una legge sul suicidio assistito, ma solo la cosiddette sentenza Cappato» spiega Filomena Gallo, avvocato che ha assistito Daniela ed è segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni.

Cosa dice la legge attuale

«Il pronunciamento della Corte Costituzionale dice che l’aiuto fornito a un malato che è capace di autodeterminarsi, con una patologia irreversibile fonte di gravi sofferenze, dipendente da trattamenti di sostegno vitale, non è reato. Ma solo in quel caso – spiega Gallo – Il problema è che da quella sentenza rimangono esclusi moltissimi malati, come per esempio Daniela, perché non aveva ancora trattamenti di sostegno vitale, pur avendo una prognosi di patologia irreversibile». In pratica, non è previsto che un malato, pur con tutti gli altri requisiti, possa accedere al suicidio assistito perché non può assumere da solo il farmaco letale, per esempio perché completamente immobile.
«Oggi un malato può chiedere di sospendere i trattamenti di sostegno a cui è sottoposto ed essere accompagnato con le cure palliative, in base alla legge 219 del 2017 sul testamento biologico. Ma noi chiediamo di legiferare in tema di eutanasia, di fronte a un vuoto normativo» spiega l’avvocato.

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Suicidio assistito: la prima ordinanza “storica”

Intanto è arrivata solo pochi giorni fa un’ordinanza storica e prima nel suo genere, da parte del Tribunale di Ancona, che ha ribaltato la decisione del giudice precedente, imponendo alla ASL di verificare le condizioni del paziente per accedere al suicidio assistito e così attuando di fatto la sentenza Cappato. «È sempre più evidente quanto sia urgente una legge. La questione va avanti da anni, basta ricordare il caso Welby, che nel 2006 chiedeva l’eutanasia. L’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, invitò il Parlamento a intervenire. Nel 2018, 12 anni dopo, la Corte Costituzionale diede 11 mesi di tempo al Parlamento per legiferare, sospendendo il proprio giudizio sul caso Fabo, salvo poi dover emettere una sentenza di incostituzionaleità additiva, che – va ricordato – ha valore di legge, è inappellabile e immediatamente applicabile dal giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Significa che ha dichiarato incostituzionale una parte dell’Articolo 580 del codice penale dove non prevede la libertà per il malato che, pur capace di intendere e volere, ha bisogno di aiuto per decidere il proprio fine vita. È stato quindi deciso che il paziente, con patologia irreversibile che produce gravi sofferenze e dipendente da trattamenti di sostegno vitale, può chiedere di accedere alla verifica effettiva, da parte di una struttura pubblica e previo parere del Comitato etico, in modo che la prescrizione del farmaco letale non costituisce reato» spiega Gallo.

Perché un referendum adesso

Ma perché chiedere ora un referendum? «Perché la legge prevede che si debbano raccogliere 500mila firme entro il 30 settembre, altrimenti si dovrà aspettare fino alle prossime elezioni del 2023. Se riusciremo nell’obiettivo, invece, si potrà indire un referendum nel 2022. Il rischio è un rinvio» spiega Gallo, che conclude: «C’è chi dice si tratta solo di questione di tempo, che prima o poi una legge arriverà, ma è proprio il tempo che manca ai malati. Daniela è morta a 37 anni mentre chiedeva aiuto per una morte volontaria, in Italia o in Svizzera. Mario, il malato di Ancona, ha dovuto aspettare 10 mesi prima che il tribunale ordinasse alla ASL la verifica delle sue condizioni per ottenere l’aiuto a morire».  

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